Il blog di Italians for Darfur

venerdì, ottobre 31, 2008

Se il Congo piange, il Darfur non ride

Il Congo sta vivendo un nuovo dramma, una guerra tra etnie che si sta trasformando in un massacro che non risparmia anziani, donne, bambini.
Il mondo si mobilita e anche l'Italia ha deciso di partecipare attivamente con un contributo per affrontare la crisi umanitaria, attivando un fondo di 900mila euro. La somma sarà utilizzata per interventi sanitari e di accoglienza in favore degli sfollati dalla regione del Kivu. I profughi sarebbero già un milione.
Il caos scoppiato con gli scontri tra i ribelli e i soldati governativi hanno costretto alla fuga migliaia di civili da Goma, la capitale al confine con il Randa, minacciata dall’occupazione da parte dei guerriglieri tutsi.
La situazione appare più grave di ora in ora, l’emergenza umanitaria è ormai al limite e il contingente dei Caschi Blu della MONUC non riesce ad arginare le violenze. Sia l’Onu che l’Ue discutono dell’invio di nuove forze, prima che il cessate il fuoco proclamato dai ribelli venga interrotto e riprendano i combattimenti. In particolare il comitato Politico e di Sicurezza dell’Unione europea è pronto ad autorizzare una missione di militari da inviare nella provincia del Nord Kivu, al centro dei violenti scontri
Non possiamo che essere contenti di questa solerte azione comune e ci auguriamo che alle parole seguano a breve i fatti. Ci rimane in bocca l’amarezza per i mancati interventi – più volte annunciati e mai realizzati – per il Darfur. Da mesi l’Unamid chiede 18 elicotteri da poter utilizzare per il controllo del territorio della provincia sudanese, grande quanto la Francia, garantendo coì la sicurezza della popolazione darfuriana. Ma ad oggi nessuno dei Paesi che ha a disposizione questi mezzi ha assunto l’impegno di fornirli. E in Darfur continuano a susseguirsi attacchi ai villaggi con centinaia di morti e migliaia di sfollati. Pensavamo che l’epoca dei conflitti di serie A e di serie B fosse finita. Ci eravamo sbagliati…

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mercoledì, ottobre 29, 2008

Non scoraggiamoci mai


Darfur senza pace, ma andiamo avanti

Oggi la giornata è iniziata con una lunga discussione con una cara amica di Aegis Trust che mi aggiornava sulle informazioni che ricevono periodicamente dai loro cooperanti in Darfur. La situazione si aggrava di giorno in giorno. Si susseguono notizie di attacchi ai villaggi nel sud della regione e i morti sarebbero oltre un centinaio in soli tre giorni. Eppure l’opinione pubblica, la minima parte che si informa sull’argomento, è a conoscenza di un solo raid nei dintorni di Mouhagiriya, ad est di Nyala, capitale del Sud Darfur.
L’Apcom ha diffuso domenica scorsa la notizia che – cito integralmente - quaranta persone sono state uccise e 12mila costrette alla fuga a seguito degli attacchi sferrati da miliziani arabi contro una serie di villaggi. La fonte è l'organizzazione non governativa Human Rights Watch (Hrw).Gli operatori umanitari non hanno potuto dare informazioni sul numero esatto di vittime e la portata dei danni che sono difficili da accertare, anche perchè le missioni umanitarie non possono accedere alla zona dove le violenze si sono verificate.
Quello che l’Apcom non dice è che gli eccidi sono stati perpetrati in molti altri villaggi, attaccati e incendiati dalle spietate milizie janjaweed che non si sono ‘limitate’ a incendiare case e rubare bestiame. Queste azioni vanno inquadrate nella strategia di distruzione e terrorismo nei confronti della popolazione che sostiene i gruppi ribelli, dicono fonti non governative. Noi, aggiungiamo, che non è altro che il proseguimento del piano degli ispiratori di tali violenze, ovvero l’annientamento delle etnie - non arabe - che popolano il Darfur. Tutto questo a fronte dell’ennesima iniziativa pubblica del presidente sudanese Omar al Bashir, sul quale pende una richiesta di incriminazione della Corte penale internazionale per genocidio, che ha proposto un tavolo di colloqui di pace in questa provincia.
Ovviamente il regime sudanese chiede in cambio che il Consiglio di sicurezza dell'Onu tenga ‘congelati’ eventuali procedimenti internazionali nei suoi confronti. Secondo fonti Apcom, responsabili di associazioni umanitarie sostengono che i combattimenti contrappongono la tribù dei Maaliya (arabi) a quella dei Zaghawa (africani), e le milizie arabe ai ribelli dell'Slm. Queste fonti però non sono in gradi di stabilire se gli arabi agiscano indipendentemente dal governo o meno. L’Unamid, intanto, avrebbe promosso una serie di incontri ‘riconciliatori’ tra tribù, in particolare per risolvere i problemi relativi al bestiame, e non soltanto tra Maaliya e Zaghawa, una delle principali cause degli scontri fra etnie… mah!
A volte mi chiedo anch’io, caro Mauro, se non stiamo combattendo una battaglia persa, e non parlo solo da presidente di Italians for Darfur ma anche da giornalista che in quei luoghi è stata e ha toccato con mano la sofferenza di questo popolo. Prima di Suliman, altri rappresentanti dei rifugiati darfuriani in Italia mi hanno palesato la convinzione che per il Darfur l’unico linguaggio utile sia quello delle armi, per difendersi aggiungono rassicuranti, ma può un tale pensiero ‘rassicurare’ chi, invece, crede in un’altra battaglia. Una battaglia che a volte sembra persa in partenza, ma che riserva anche piccole, si intende, soddisfazioni. In Italia prima che iniziasse la nostra opera di sensibilizzazione, nessuno – e sottolineo NESSUNO – si occupava di Darfur. Oggi non c’è organizzazione che non abbia un progetto – se poi lo realizzano è un altro discorso… - per il Darfur tra i loro obiettivi. Proprio in questi giorni è partita la campagna di Emergency per la costruzione di un ospedale pediatrico a Nyala.
E a proposito di Nyala… sulla questione Contni da tempo ho alcune precisazioni da fare. E le farò. Intanto ringrazio l’onestà intellettuale di Trombatore e lo invito a raccontarci anche tutto quello che finora non ha detto e sottolineo, di nuovo, TUTTO.
Un caro saluto,
Antonella

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martedì, ottobre 28, 2008

"Italiani in Darfur": qualche domanda a Giorgio Trombatore

Giorgio Trombatore non ha peli sulla lingua, perchè se li avesse sarebbero un bel problema... ve lo immaginate ogni mattina far la piega sulla lingua?
Ecco allora qualche domanda al futurista della Cooperazione, ex capo Progetto per la Cooperazione e Coordinatore Politico della Dott.ssa Contini, inviato Speciale del Governo in Darfur. E' da tempo che arricchisce il nostro blog con le sue testimonianze, purtroppo ancora senza contraddittorio, con la speranza che quello che ci ha scritto possa essere al più presto smentito!

Giorgio, leggendo il tuo ultimo articolo nel nostro blog, mi sembra ci sia stata nel frattempo una radicalizzazione della tua posizione nei confronti di Barbara Contini, rispetto alle prime testimonianze.
Quindi ricapitolando: le idee erano buone, le volontà dei singoli ottime, ma la Contini avrebbe gestito in maniera troppo personale e autoritaria la missione.. Qundi avevano ragione quelli, tra cui la Dott.ssa Garau, che polemizzavano con la sua gestione? Come mai secondo te la Contini ha avuto tutta questa libertà di movimento? Quale gruppo di potere la sosteneva?

Le idee erano ottime non buone, i risultati potevano essere positivi per il processo di pace in Darfur,ma i casini li ha creati proprio la Contini.
Primo: La rottura con Enzo Angeloni, l'ambasciatore e tutta l'ambasciata sono stati sempre messi alla gogna.
Secondo: con le ong, troppo spesso usate come mezzo per le visite dei giornalisti.
La verità era che la Contini aveva incassato il supporto di Berlusconi dopo il suo lavoro in Iraq.
I suoi contatti diretti erano Bondi e Letta, anche se Letta sempre meno.Vicini a Berlusconi godeva poi dell'appoggio di Martino il Ministro della Difesa.
Così si spiegano i voli da Brindisi, la scorta del 9 col moschin e tutto il resto.
Nel frattempo aveva trovato (e li fece la grossa cazzata) il tempo di litigare con Mantica,(ti ho raccontato che l'ho portato in giro io stesso su un Taxi giallo) e con la Bonniver.

Dulcis in fundo, forse aveva ragione quel Montanaro di rai tre quando affermava che si stava preparando la sua campagna politica....per carità , lo fanno tutti, però così i risultati sono andati a puttane.
Sulla Garau permittimi inoltre di dire una cosa:
Quando la Contini chiamò la Garau già tutto il casino stava succedendo. Io chiesi alla Garau di usare diplomazia e metodo per non vanificare due anni lavoro e la costruzione dell'ospedale.
Come tutta risposta dopo un mese già c'era aria di crisi.
Io non ho mai nascosto le difficoltà a lavorare con la Contini, comunque si era difficile a causa del suo comportamento.

Il contrasto tra Garau e Contini nasce dalla insistenza della Contini a voler inaugurare a55 come ospedale, mentre la Garau si rifiutava di farlo, a mio parere giustamente, perché a55 nn poteva che essere considerato un pronto soccorso. Ti torna?

Verissimo, pero' a quel tempo io ero in Somalia, e contattavo giornalmente la Garau.
Lei ruppe con le suore che gestivano il centro, e scelse fin da subito la linea dura quella dei contatti con i giornali che non aspettavano altro!
Che motivo c'era? poi venne il suo compagno con la storia del libro, dopo neanche un mese...

..non lo so ...eri a casa senza lavorare, parti con la cooperazione per un contratto di 14.000 euro al mese.
Io portai la Garau, e fu detto tutto chiaro.
L'ospedale è nella merda, non ci sono fondi, non funziona, te la senti?
Lei accetta, parte e fa scoppiare la bomba, ma rimane li tutto l'anno e si porta a casa oltre 150.000 euro senza tasse...
Questo lei non lo dice...ma sai i soldi fanno sempre schifo quelli degli altri....poi a me diede una pugnalata...
Lei era da tempo che non la chiamava nessuno, io gli offri il Darfur e le spiegai che era anche una situazione di facciata.....mica so scemo, lei accetta e poi da giù con il maritino fa venire rai tre...ed il resto lo sai..

In un tuo articolo critichi la decisione di Barbara Contini di non affidare la gestione di Avamposto 55 al Ministero della Sanità sudanese nel momento in cui la Cooperazione stava abbandonando il progetto. A parte le possibili motivazioni di prestigio personale di Barbara Contini, non è forse vero che ribelli e donne stuprate non sarebbero mai andati in un ospedale a gestione sudanese? Altri operatori mi hanno riferito che nei campi ad esempio è difficile dare assistenza a tutti e soprattutto tutte, proprio perché c' è l intermediazione degli uomini del governo, la famigerata HAC. Suliman Hamed, rappresentante dei rifugiati del Darfur, mi conferma inoltre che il governo usa anche finti addetti della stampa, giornalisti, per controllare i movimenti delle commissioni estere e degli operatori umanitari.
Il principio della Contini così su due piedi mi pare corretto.. Ma capisco che in termini pragmatici meglio un ospedale per pochi che il nulla..si può anche immaginare certo che ci fosse anche la volontà della Contini di non rinunciare alla sua 'creatura' di prestigio ma una cosa che invece non capisco è perché, al solito, si sia preferito distruggere piuttosto che cercare di salvare il salvabile. Dici che dopo la dipartita della Contini si è fermato tutto, per la scelta assurda di creare una 'finta' fondazione. Che comunque continua a ricevere donazioni.
Ma la cooperazione italiana non poteva intervenire anche in seguito su Avamposto55? Forse si era creato soprattutto un vuoto politico e un interesse a negativizzare l'operato precedente?

Mauro, vedi la Contini non era dell'ambiente della Cooperazione ed era schierata già a quei tempi con Berlusconi....tanto è che oggi veste la carica di senatrice al Senato.
La Cooperazione è un ghetto, quando lei arrivo' in Darfur porto' il suo personale, tra cui io, licenziando i cooperanti in loco.
Poi inizio' un braccio di ferro con l'ambasciata e l'ufficio VI di Roma.
Inoltre è vero senza dubbio che cercava sempre la spettacolarizzazione delle cose.
L'ospedale nasce in questa ottica, ma non puoi aprire un ospedale a Nyala non fare l'MOU con il governo e poi partire e lasciare uno stagista a portarlo avanti.

I fondi piano piano sono venuti a mancare e con l'arrivo del governo Prodi ed il cambio alla cooperazione, esce Deodato ed entra la Sentinelli, è finito tutto.
Tieni conto che sono mancati anche i soldi di Sanremo... poi sulla situazione nei campi ,come sai li è disperata i ribelli devono fare affidamento a quelle piccole ong che lavorano nelle loro zone e nient'altro...
Anche il partner di avamposto si rivelò pessimo, quello di Tariqa al tTijani troppo debole .....
La fondazione in realtà non è mai nata, ossia firmatario in loco rimase solo Mohammad Sabuna, ma da li a poco, dopo che lo stesso organizzo' un saccheggio nell'ufficio della Cooperazione ne usci' fuori pure lui. Proprio cosi', il Sabuna, che ha scritto anche qui nel blog tempo fa, organizzo' un saccheggio all'ufficio, dopo che fece partire l'ultimo sfigato di Cooperante della Contini, un certo Andrea Mazzantini...

Ora di quello che ne è nel 2008 di Avamposto non ne so niente, quello che so è che l'ultima volta che la Contini scese in Darfur lo consegno' defintivamente al governo locale...

...del tipo prima ne parlo male, ma poi come ultima risorsa gli mollo la patata bollente!


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Giorgio Trombatore: ecco perchè è fallito il sistema Contini

2.8 Sistema Contini
di Giorgio Trombatore



Nel febbraio del 2005 il Ministero degli Affari Esteri ha pubblicato il libro “ Darfur un dramma dimenticato”. Il libro è stato stampato con il contributo della Direzione Generale per la cooperazione allo sviluppo. Un libro di fotografie realizzato dal fotografo Giovanni Santi che nel 2005 fu accompagnato dal sottoscritto per le tre regioni del Darfur per testimoniare il dramma del popolo sudanese ed il lavoro ed il contributo della cooperazione italiana .

Per usare le parole del Direttore Generale per la Cooperazione allo sviluppo il Dott. Giuseppe Deodato, “l’idea del libro nasce perché il Darfur non sia più un dramma dimenticato e per testimoniare il lavoro della Cooperazione Italiana che ha potuto contare su Barbara Contini, che alla non comune esperienza unisce straordinaria professionalità ed una rara umanità”.
All’interno del libro inoltre c’erano degli interventi del già Ministro degli Affari Esteri Gianfranco Fini, un intervento del direttore di Vita Riccardo Bonacina, di Bianca Rita Tonetti per Intersos, di Cinzia Giudici per il Cosv e di Lorenzo Latini per il Cesvi e Michele Romano per il Coopi. Infine il libro terminava con una poesia scritta proprio dall’Inviato Speciale del governo Italiano che si cimentava insolitamente nel ruolo di poetessa contemporanea.

Il libro doveva essere una testimonianza che per usare le parole del Ministro degli Affari Esteri Gianfranco Fini “doveva fare parlare del dramma del Darfur attraverso la voce dell’assistenza del nostro paese resa ancora più visibile ed efficace dall’ufficio di cooperazione che abbiamo aperto a Nyala , nel cuore di quella martoriata regione, sotto il coordinamento di Barbara Contini, e grazie al contributo continuo delle organizzazioni non governative italiane che prosegue ininterrotto ,nonostante le obbiettive difficoltà sul terreno”..

Nemmeno un anno dopo la pubblicazione di quel libro (facciata sugli onori del gruppo del Mae in Darfur) in pochi mesi il castello di sabbia si sbriciolava vanificando l’operato di centinaia di persone che a quel progetto avevano creduto.

In poco tempo la Dott.ssa Contini che non tollerava nessun tipo di interferenza da parte dei suoi collaboratori terminava i rapporti professionali instaurati con le varie organizzazioni non governative e con gli enti locali gli stessi che il Ministro Fini aveva citato nell’apertura del libro donato ed organizzato dall’ufficio del Dott. Antonio Morabito del Mae.
Come dire, il solito spot (come del resto avevo denunciato in un altro intervento su questo blog.)


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I primi a chiedere di interrompere la collaborazione con l’ufficio della cooperazione gestito dalla Dott.ssa Contini furono proprio le stesse Ong italiane che scrissero una lettera all’ambasciatore italiano Enzo Angeloni chiedendo che l’ufficio della Dott. Ssa Contini programmasse le visite presso i progetti previa autorizzazione da parte delle ong .
Inoltre le ong chiedevano che le visite si svolgessero senza la presenza dei giornalisti e senza l’accompagnamento degli uomini armati della Contini in veicoli umanitari.
Le ong stanche delle visite della Dott.ssa insieme al suo codazzo di giornalisti, chiesero di avere un atteggiamento più consono alla realtà del dramma del Darfur.
Più volte io stesso fui costretto ad organizzare il trasporto e la logistica di molti giornalisti nelle aree del Darfur .Una volta nel campo di Garsila gestito da Intersos organizzai un pulmino di chiassosi giornalisti che visitarono quel campo neanche fossero stati in uno zoo.

A seguire ad abbandonare la barca furono le Suore della Carità di Suor Piera di Nyala.
Suor Piera da oltre venti anni gestisce un dispensario a Nyala con l’aiuto di altre sorelle sudanesi. La Dott.ssa Contini chiese alla Suora di gestire l’ospedale di Avamposto .Quando qualche tempo dopo la Suora sollevò alcuni problemi di gestione e di logistica dell’ospedale la Suora fu immediatamente allontanata.
Allontanata per avere espresso dei dubbi sulla fattibilità del progetto! Ci rendiamo conto?

Qualche tempo dopo toccò persino all’ufficio del WFP di Brindisi che entrò in collisione con l’ufficio della Cooperazione Italiana di Nyala nella gestione dei voli umanitari.
Oltre 8 voli umanitari (come ho già fatto presente in un altro intervento sul blog del Darfur) che venivano caricati con aiuti di privati . Questi voli venivano fatti partire a piacere della Dott.ssa che gestiva i voli come una operazione privata.
Un giorno un volo di Brindisi arrivò pieno di legname inservibile che fu immediatamente distribuito nel Suq di Mantiqa Assinaa a Nyala. Quel volo fece incazzare gli operatori di Brindisi che osarono protestare con la Contini.

Un paio di telefonate giuste e la Contini continuò ad avere i suoi voli, del resto come diceva sempre lei “ora chiamo il mio amico il Ministro della Difesa Martino, cosa che fece anche con tranquillità per avere la scorta che voleva lei. Non una scorta scelta dal Ministero , ma la scorta scelta da lei”.

Per quello che riguarda i rapporti tra l’ufficio della Cooperazione Italiana e l’ambasciata italiana guidata dall’ambasciatore Enzo Angeloni sono noti a tutti per la loro tensione dovuta all’atteggiamento spesso scorbutico e poco collaborativo dell’allora Inviato Speciale del governo italiano .

Infine cito anche la rottura con la dott.sa Sara Fumagalli , presidentessa dell’Umanitaria Padana, che con il suo contributo riuscì a rifornire l’ospedale di Avamposto di parecchie attrezzature ospedaliere.La Signora Fumagalli come le Suore, e tanti altri fu allontanata dalla Dott.ssa Contini per avere espresso dei dubbi sull’andamento delle attività.

Oggi sono passati tre anni dall’uscita di quel libro, ed io apprendo che un gruppo di profughi sudanesi in Italia sta cercando un contributo per andare a protestare a Ginevra sulla situazione nel loro paese.Mi duole constatare che il nostro paese non è riuscito ad andare oltre a sterili litigi che non hanno beneficiato nessuno ma anzi portano disonore al nostro paese.
E’ pazzesco, ma forse considerando tutto si comporta meglio la Cina di noi, che non ha mai condannato Al Bashir e che almeno ci guadagna qualcosa dal Sudan esportando materie prime ed il greggio tanto utile per la sua economia in ascesa.

Questo è il nostro paese e noi abbiamo quello che meritiamo!.

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sabato, ottobre 25, 2008

Nella mestizia solitaria di un uomo leggo la nostra sconfitta

E' quel gesto, il serrare la porta grigia dietro di sè, che chiude e riassume la giornata di Suliman Ahmed, rifugiato del Darfur in Italia. Il 25 ottobre, nel giorno in cui la sinistra partitica sfila per le strade ma soprattutto nei televisori delle famiglie, Suleiman Ahmed è solo. Non ci sono cortei dietro quella porta, non ci sono bandiere ma soprattutto nessuna telecamera. La porta si chiude, su una strada deserta.

Mi mostra le sue foto, cela ai miei occhi il suo sguardo e, infine, mi invita ad andare in Sudan a vedere le ferite della sua terra, a battere i sentieri nascosti ai governativi. Lo dice a me che non posso - vorrei - con il timore però di non serbare più in cuore messaggi di pace da consegnare.

"Le armi sono il linguaggio dell'Africa" mi dice.
E nelle sue parole leggo la nostra sconfitta.

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giovedì, ottobre 23, 2008

La vita di ogni giorno nel campo profughi di Nyala

Pubblichiamo la nuova lettera di Daniel da Nyala, che ci giunge attraverso Fiorenzo e il suo gruppo, con il quale condividiamo da tempo preoccupazioni e speranze per i più deboli del Darfur.
"

NYALA 20-10-08

Carissimi,

... Non so cosa pensate di questo mio lungo silenzio ma ho voluto fare questa esperienza che mi ha fatto comprendere come vivono queste poverette del campo stando con loro l' intero giorno. Oggi è il primo giorno che apro il compiuter dopo 20 giorni che è stato chiuso per la mancanza di tempo da parte mia e dalla stanchezza.
Ho passato questi giorni con loro dalle 8 del mattino fino alle cinque del pomeriggio lavorando insieme per la raccolta degli arachidi naturalmente loro parlavano la loro lingua nativa e di arabo quasi niente. Quello che sono riuscito a capire è che queste poverete devono andare per i campi per trovare qualche lavoro con un po di soldi e la legna per farsi un po di polenta per sopravvivere. E i mariti se ne stanno a casa tutto il santo giorno a dormire e far niente. Quella che lavorava con me picchiava il marito perchè da sola non ce la fa a mantenere 4 figli con il marito in ozio tutto il santo giorno e cosi giu botte a non finire. Tutte mi dicevano che stanno soffrendo la fame perchè gli aiuti gli danno con il conta goccie e ogni due mesi che basta per una decina di giorni. ... ci sentiremo più spesso.
Dopo questa esperienza posso parlare come esperienza vissuta nella mia pelle.

Ciao a tutti
Daniel"

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martedì, ottobre 21, 2008

I rifugiati ci chiedono un aiuto: due autobus per la giustizia, 31 ottobre

Il giorno 31 OTTOBRE i rifugiati del Darfur in Italia dovrebbero unirsi agli altri rifugiati del Darfur presenti in altri Paesi europei per manifestare insieme a L'AIA, nei Paesi Bassi in favore dell'incriminazione del Presidente sudanese Al Bashir di crimini di guerra e contro l'umanità.

Per fare questo, ci dice Suliman Ahmed, rappresentante dei rifugiati in Italia, occorrono i soldi necessari al noleggio di due autobus e relativi autisti.

Suliman ci chiede un aiuto. Abbiamo già espresso internamente alla nostra associazione dubbi circa la reale efficacia di simili inziative, considerando appunto il costo di una simile trasferta. Eppure, non si può negare che niente di più autentico e vigoroso si può chiedere a un uomo dello slancio che lo anima ad attraversare un continente per dare voce alle proprie aspirazioni di giustizia e pace. Parliamo degli attori veri del dramma del Darfur: i rifugiati del Darfur non chiedono altro che poter dare alla propria speranza anche una sola possibilità di concretizzarsi. Se anche non dovesse cambiare niente per il Darfur, i figli del Darfur ci avranno comunque provato. E noi con loro.

Per informazioni su come donare, contattateci al più presto. Per chi ci conosce sin dall'inizio, sa che la nostra scelta è stata di non chiedere mai soldi confidando nelle potenzialità dei singoli, ed è per questo che, ingenuamente, abbiamo rinunciato ad aprire uno specifico spazio per le donazioni. Se la fiducia in noi può compensare questa mancanza, metteremo per ora a disposizione un riferimento unico, seppur ancora personale, per i vostri contributi per gli autobus dei rifugiati.

Scrivete a blog[at]italianblogsfordarfur o info[at]italianblogsfordarfur.it entro il 28 OTTOBRE.

Cordiali saluti

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Le tende della morte di Tulùm

Tra tutti i campi profughi del Chad, uno dei più incredibili è Tulùm. Si trova a circa venti km da Mile verso nord. A renderlo speciale sono le sue dimensioni: ospita infatti quasi mezzo milione di profughi, in realtà un po' di meno, ma sempre molti di più dei campi normali.

Ovviamente a Tulùm tutti i servizi sono gestiti in maniera diversa da quella dei campi piccoli, ma di questo parlerò altrove. Qui di seguito voglio raccontare una storia diversa.

Le tende della morte
In Sudan e in Chad fa caldo, molto caldo. Nei campi di accoglienza le organizzazioni mettono a disposizione solo delle tende, al cui interno di giorno fa molto, molto caldo.
Per chi è in buona salute questo non è un problema, perché di giorno, quando fa più caldo, le persone vanno in giro e cercano aria ed ombra e frescura.
Per i malati e gli anziani, però, servirebbe una maggiore attenzione, perché essi non possono andare in giro e quindi restano al caldo della tenda. Respirano male. Non riescono a mangiare. Muoiono più velocemente.
I familiari vengono a salutarli prima dell'inveitabile fine della vita. Nei campi ho incontrato molte di queste persone, come Surù e la figlia Fatimè, come Idriss Sabil e il figlio Adam.
Ecco, per malati ed anziani queste tende sembrano l'ultimo posto dove abitare prima di morire. Il campo di Tulùm è gestito dall'UNHCR, e a questa Organizzazione delle Nazioni Unite io rivolgo una domanda: sarebbe così difficile costruire delle tettoie riparate, in modo da dare a queste persone un po' di refrigerio?
I rifugiati che hanno la possibilità si costruiscono una piccola area riparata dal sole ma all'aria aperta, quindi la cosa in sé è possibile. L'UNHCR si dedica molto ai bambini e noi tutti glie ne siamo molto grati. Ma ai malati e agli anziani, che da noi sono persone molto importanti, chi ci pensa?

Violenza sulle donne

Queste persone già devono vivere in condizioni terribili. Per dirne una, ad ogni famiglia spettano solo nove kg di legna da fuoco alla settimana. E ciascuna famiglia è composta mediamente da 15 persone. In Europa sono ormai pochi quelli che riscaldano l'acqua e cucinano con la legna, ma si sa che la necessità normale andrebbe misurata in quintali, non in kg.
Adesso alcuni campi hanno a disposizione dei sistemi di ricaldamento e cottura che usano l'energia del sole, ma sono veramente pochissimi.
La raccolta di legna è poi uno dei problemi principali dei profughi, che devono uscire dai campi. Poiché questo lavoro viene affidato alle donne, le poverette diventano facili prede dei janjaweed, che le stuprano e non per motivi sessuali, come spesso si crede, ma per rubare loro l'anima.
Per evitare questa vergogna, adesso sono i bambini -maschi e femmine- a uscire dai campi per cercare legna ed acqua.

(c) Suliman Ahmed Hamed 2008

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Darfur, Darfur, Darfur ... on.line la newsletter di ottobre

di CattivaMaestra (Ib4D)

Mentre i governi del mondo progredito si arrovellano le meningi per arginare la crisi finanziaria, ci sono luoghi in cui per ora il crollo delle borse e dei mercati non cambiano sostanzialmente il quadro di miseria e desolazione che li contraddistingue. È il caso del Darfur, quella ferita ancora aperta nel cuore dell'Africa che nessuno sembra essere veramente interessato a sanare, almeno tra "i potenti". Si continua a morire in Darfur, a prescindere dal Dow Jones e da Lehman Brothers, dalle parole dei governi che hanno promesso aiuti, senza poi dare seguito alle loro parole con fatti e azioni concrete.

Nell'indifferenza di buona parte dei media, e purtroppo dell'opinione pubblica, Italians For Darfur continua la sua battaglia quotidiana per riportare un po' di luce e speranza in quell'angolo d'Africa così duramente martoriato. Lo si fa con gli strumenti che offre la Rete, con il passaparola e con un filo diretto con le aree di crisi del Sudan, da cui giungono periodicamente invocazioni di aiuto, cui è sempre più difficile dare risposta.

La recente iniziativa di Emergency per l'attivazione di un nuovo centro ospedaliero ha ridestato per un attimo l'attenzione sul Darfur, ma fatalmente si è finito per parlare più dell'iniziativa di Strada che delle cause della crisi e delle attuali condizioni dei milioni di donne, uomini e bambini che hanno perso tutto e ora vivono ammassati in sterminati campi profughi. Conoscere il Darfur, ciò che sta accadendo e comprenderne le cause non è sempre semplice. Per questo motivo, periodicamente Italians for Darfur rilascia una breve e circostanziata Newsletter. Un semplice documento in formato PDF che può essere condiviso in Rete, stampato e distribuito anche al di qua dello schermo. Uno strumento utile per incentivare una nuova consapevolezza sulla più grande crisi umanitaria dei nostri tempi. Bastano un click e un poco di buona volontà per strappare dall'oblio il Darfur. Cosa aspettate?

Ottobre2008

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lunedì, ottobre 20, 2008

Il Darfur non è Trash, nemmeno per Caccaman.

Emilio Battiato, in arte Caccaman, è fumettista di professione, oltre che fondatore della Edizioni TrashComix(2001), che annovera tra le sue pubblicazioni la miniserie Napoli Violenta.
Eclettico quanto basta, l'artista di Acireale sventa rapine e disegna deliri: per ben due volte è stato decorato (Medaglia di Bronzo al Valore, Encomio Solenne dal Presidente della Repubblica). Un personaggio simile non poteva mancare nella galleria di Italian Blogs for Darfur. E' sua l'llustrazione qui accanto, dedicata al Darfur, come contributo alla campagna italiana per i diritti umani in Darfur. Secondo Caccaman i disegni non hanno bisogno di essere accompagnati:
" ...i bambini di 8anni nel nostro paese pensano ad avere un cellulare (se già nn lo hanno)
in Darfur i bimbi di 8anni (che non sanno cosa sia un cellulare) pensano ad arrivare a 9 senza dover prima morire di fame....
ma vi ripeto, io disegno fumetti e vorrei che le immagini si commentassero da sole"

Vedi anche la galleria "Una vignetta per il Darfur - diamo colore all'informazione"

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Per il Darfur solo Spot

2.7.Requiem ………Per il Darfur solo Spot e piccole meschinerie tutte Italiane

Autore del presente testo è Giorgio Trombatore. Italians for Darfur e IB4D non sono responsabili di quanto espresso dall'autore.

di Giorgio Trombatore


Ho servito il mio paese in Darfur per quattro lunghi anni.
Quando un giorno di novembre la Cooperazione Italiana mi ha chiamato per una missione in Darfur ero onorato.
Si aprivano anche per me dopo tanti anni le porte del Ministero di Roma.

Per chi come me lavora nel mondo delle organizzazioni non governative sa bene quanto può essere difficile accedere ad un contratto con la Cooperazione Italiana.Il MAE……
Altro che Casta…. Un blocco granitico chiuso a chiunque dall’esterno tenti un contatto, dove accedere è quasi impossibile se non si vanta un parente all’interno del Ministero.
Non è questione di Master, di esperienza o di quante lingue conosci, si tratta di avere un “Santo alla Farnesina”.
Ma se è vero che chi la dura la vince, alla fine anche il sottoscritto riuscì a procurarsi un contatto ed accedere all’Olimpo degli esteri.
Non c’erano solo i 7,500 Euro di salario(come i maligni potrebbero insinuare) a spingermi per lavorare con la cooperazione, ma la sincera fierezza di svolgere il lavoro che amo sotto l’insegna del mio paese.
La Farnesina appunto ed il Mae ovvero il braccio diretto del governo italiano per gli aiuti umanitari nel mondo .

Come cooperante atipico, vicino da sempre alle ideologie di Destra di Patria e Famiglia, l’idea di muovermi tra le dune del deserto al servizio diretto del nostro Ministero degli Affari Esteri era un piacere che attendevo da tempo, troppo tempo…..
Per quasi due anni ho svolto il mio lavoro tra le Tre grandi regioni del Darfur schivando insidie e pericoli sempre mosso da quell’amore per l’audacia e le imprese che ho sempre ammirato in personaggi come il grande Gabriele D’Annunzio.
L’epico ed il solidale sembravano essere finalmente vicini in una terra che era sconvolta da guerre intestine.
Ma la delusione di essere partecipe ed attore di uno show ben orchestrato da parte della politica italiana non tardò a turbare gli ultimi mesi del mio lavoro nel martoriato Darfur.

Come responsabile politico per la Cooperazione Italiana (qualifica che mi sono guadagnato sul posto ) ero ,tra l’altro, l’addetto alla ricezione ed al protocollo ogni qualvolta dall’Italia arrivavano visite di parlamentari .
E, Dio solo sa quanti ne sono venuti di parlamentari in cerca di visibilità .Dal parlamento europeo, dal parlamento italiano, dai comuni sono giunti da ogni dove.

Le richieste erano sempre le stesse visitare un campo profughi, possibilmente vicino alla sede della cooperazione italiana a Nyala e poi prendere subito il primo volo per tornare a Khartoum.
Il campo profughi era sempre quello di Calma, a soli dieci minuti di macchina da Nyala, poi se qualcuno si voleva avventurare oltre si procedeva con l’affitto di un elicottero dell’Onu solitamente un Mi8.
Finito il giretto tutti venivano riportati presso la sede della Cooperazione Italiana a Nyala per rifocillarsi con un bicchiere di vino fresco giunto appositamente con i voli militari da Brindisi.
Così piano piano sono venuti tutti, senza distinzione di colore politico e tutti con lo stesso messaggio: “ TANTA SOLIDARIETA’…NON VI ABBANDONEREMO”.
Un po’ come il locale estivo che va di moda.
Parto da Fiumicino con un volo di stato, mi fermo due giorni in Sudan ed ho uno spazio nel telegiornale delle venti serale magari annunciato dal David Sassuolo in persona.
Così è venuta la Dott.ssa Bonniver per ben due volte.
Arrivava, scambiava a stento due chiacchiere con noi operatori del campo, e poi l’energia le tornava quando un telecronista della Rai la riprendeva davanti ad un campo profughi.
Le solite parole di rito e poi via di corsa all’aeroporto per tornare a Khartoum .

Poi è venuto persino il sottosegretario Mantica di Alleanza Nazionale.
A lui la visita è andata male, poverino .
Infatti all’indomani di uno screzio con la Contini ,quando Mantica giunse a Nyala all’aeroporto di Nyala c’era solo il sottoscritto ad attenderlo con un Taxi locale per accompagnarlo a visitare i progetti .
Proprio così il sottosegretario agli esteri si è visitato i progetti di Garba Intifada a Nyala con un Taxi giallo.
Un taxi giallo sudanese che a metà strada si era pure fermato perché aveva finito la benzina. La Dott.ssa Contini che gestiva la cooperazione italiana come gestisce il suo appartamento privato a Milano gli negò l’utilizzo delle macchine della cooperazione, dei Toyota nuovi che rimasero parcheggiati durante tutta la visita di Mantica a Nyala.
Piccole vergogne del nostro paese.

Poi è stata la volta di Rutelli, anche lui è venuto sino al campo di Calma. Ha promesso un azione forte contro il governo e gli attacchi dei Janjaweed .
Finito il giro del campo anche lui ha terminato il viaggio prendendo un tè presso la nostra delegazione ed inviando sms a casa.Con lui c’era pure il francese Bayrout ( lo sfidante di Sarkozy per l’Eliseo).

Non sono mancati nemmeno i giornalisti, le grande penne del giornalismo italiano, che al seguito dei più noti politici si fermavano con loro per qualche ora a Nyala e dopo aver fatto la solita foto strappa lacrime ad un bambino riempivano d’inchiostro pagine e pagine di giornali.
Il pezzo andava scritto in fretta ed in furia. L’unico giornalista che è rimasto per settimane vivendo in un container in Darfur è stato Carlo Romeo il direttore del segretariato sociale della Rai, una vera e propria mosca bianca.

La cosa più assurda e se vogliamo triste e che aldilà dei viaggi dei nostri parlamentari con costosi costi logistici spesso all’interno della struttura regnava sempre e solo la maldicenza,un po’ come siamo abituati allo spettacolo giornaliero dei nostri telegiornali.
Il politico di turno che attacca l’opposizione e viceversa .
Questo teatrino vergognoso che vede coinvolti sia la Destra che la Sinistra non ha risparmiato nemmeno il martoriato Darfur.
Da Deodato alla Sentinelli non è cambiato molto.In effetti sono cambiati solo i cooperanti che partivano in missione . Prima quelli vicini ad una particolare classe politica poi con il cambio di governo toccava a gli altri.

Mi duole ripeterlo, ma l’unica libertà per i sudanesi del Darfur è legata al destino dei loro movimenti di ribellione.
Non si può costruire un nuovo futuro con gente che prende una missione politica come un viaggio per ottenere solo visibilità.
La lotta contro il governo di Al Bashir (già condannato dal tribunale dell’Aia) è l’unica strada percorribile per giungere ad una soluzione del conflitto.Infine vorrei ricordare ai lettori che al desolante quadretto che ho descritto sopra, bisogna anche ricordare tutte quelle persone che in silenzio lavorano per i profughi del Darfur.
Mi riferisco infatti alle Suore di Nyala con la gestione degli orfanotrofi, ai padri comboniani, a tutte quelle ong italiane e non che lavorano da anni in queste zone difficili.

Giorgio Trombatore

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giovedì, ottobre 16, 2008

Tutto sulle armi al Sudan: dall'Italia armi per un valore di 300.000 dollari tra il 2004 e 2005

Human Rights First ha pubblicato un nuovo dossier sul commercio di armi al Sudan, il cui governo si è macchiato di numerosi crimini contro l'umanità nel corso delle diverse guerre che hanno afflitto il Paese, tra cui quella in corso in Darfur da oltre cinque anni.
Le Nazioni Unite hanno imposto l'embargo delle armi al Sudan, pretendendo il controllo del rispetto del provvedimento da parte dei Paesi potenzialmente venditori e da parte dello stesso Sudan. Ma la realtà dei continui bombardamenti e attacchi che scuotono il Darfur rivela che molti Stati ancora vendono armi a Khartoum e proseguono i trasferimenti clandestini da altre regioni africane.
Tra i Paesi più coinvolti la Cina, che guida la classifica con oltre 55 milioni di dollari e l'Iran con 12 milioni di dollari di fatturato. L'Italia, si legge nel rapporto, avrebbe esportato, anche indirettamente, armi al Sudan per circa 300.000 dollari, in un periodo compreso tra il 2004 e il 2005.

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domenica, ottobre 12, 2008

Darfur, Congo, Somalia, Zimbabwe, Nigeria.. Un problema di dirigenza?

A 21 anni di distanza dalla morte di Thomas Sankara il 15 ottobre 1987, dittatore illuminato del Burkina Faso, l'Africa conta i suoi morti e i suoi boia.
Milioni di persone in fuga, centinaia di migliaia di morti, economie al collasso, enormi risorse e materie prime bruciate, una pesante eredità del secondo dopoguerra.
La corruzione è il male endemico dei Paesi africani: in Nigeria, ad esempio, uno dei pricinpali produttori di greggio al mondo, la corruzione assorbe l'80% delle entrate del petrolio e del gas, mentre il 70% della popolazione sopravvive con meno di un dollaro al giorno.
I presidenti si eleggono con le armi, come in Sudan, dove il Presidente Omar Hasan Al BAshir scalzò nel 1989 il democraticamente eletto Sadeq al-Mahdi con un colpo di Stato, o con elezioni falsamente democratiche, come in Zimbabwe, autosufficiente in epoca coloniale e nei primi decenni successivi per alcuni prodotti agricoli, oggi con l'inflazione oltre il 100% e il sistema produttivo agricolo e di allevamento allo sfascio. Proprio in questi giorni precipita inoltre la situazione in Congo, nella cui provincia di Kivu si combatte pesantemente: migliaia in fuga verso il Sudan. Non va meglio in Somalia.
Il primo problema dell'Africa, dal Sudan alla Sierra Leone, è proprio una dirigenza autoreferenziale e corrotta. Che senso hanno le donazioni milionarie della comunità indistrializzata senza un controllo accurato delle spese e dei progetti a cui sono destinate? Migliaia sono inoltre i cittadini africani che studiano nelle scuole dei Paesi sviluppati, ma pochissimi ritornano nei loro Paesi. La solidarietà non deve essere semplice elemosina. Formare le nuove generazioni di leaders e costruire le strutture e le condizioni per cui essi non debbano scappare più dalla propria terra, questo è investire nella pace.

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giovedì, ottobre 09, 2008

Youtube censurato in Sudan: "What my friends know about Darfur? I have to say nothing."

Nella genesi quanto nello sviluppo di un conflitto, la componente mediatica assume un ruolo di primo piano, ed è per questo che essa è sottoposta a un rigido controllo da parte dell’autoritas. L’informazione, ma soprattutto la disinformazione, svolgono il delicato compito di guidare e sviare le attenzioni dell’una e dell’altra parte e settori importanti dell’intelligence militare vengono ad essa destinata.

Non deve sorprendere, quindi, se anche in Darfur diffondere notizie, attendibili o meno, e celarne delle altre è parte caratterizzante il conflitto non solo a livello regionale, ma anche a livello globale, permettendo la creazione e la conservazione di una permissiva indifferenza mal celata dai provvedimenti sovranazionali, destinati a restare sulla carta di chi li propone, e degli interessi nazionalistici delle superpotenze in corsa per il primato mondiale, che incidono, al contrario, sugli equilibri delle forze in campo.

Un caso esemplare del controllo dell’informazione operato da Karthoum in Sudan è la chiusura di numerose testate giornalistiche indipendenti.

Più recentemente, lo è la chiusura di Youtube in Sudan, una notizia che avrebbe destato clamore per altre parti del mondo, come per la Cina e il Pakistan, ma che in questo caso passa in silenzio nei media mainstream italiani e internazionali. Ne abbiamo parlato nel nostro blog diverse settimane fa, con le conferme di alcuni operatori umanitari italiani presenti nel Paese, e vogliamo saperne di più oggi, grazie a Ahmad Mahmoud, blogger sudanese e promotore di un gruppo di denuncia su Facebook.
Ahmad Mahmoud, 21 anni, vive in Sudan, Khartoum. Frequenta la SUST, Sudan University for Science & Technology, e nel suo tempo libero lavora in un internet café.

Hello Ahmad Mahmoud, You are the promoter of a Facebook group against the shutdown of Youtube in Sudan, few weeks ago. Why NTC shut down Youtube?

No one knows for sure, but rumors are it was shut for moral issues, some sudanese users posted videos with sexual content, most people believes its the moral corruption that led to the blocking of the site. But I really think it was blocked for political issues, videos have been posted about the atrocities committed by the Sudanese Army against the children prisoners of JEM May 10th Attacks on Omdurman, documentaries about the early days of the “Salvation Revolution” and its “Ghost Houses” were posted, simple funny cartoon videos about Omar Al-Bashir, etc. these videos and many more are the real reason for blocking the site. Which by the way is back online now.

Is Youtube interesting for a sudanese youth?

Yes it is, for entertaining and as a learning tool.

How do you think new media can help people to spread the world about their opinions on sudanese problems?

The interesting thing about new media is that it gives regular people a chance to speak their minds, and usually regular people don’t have an agenda of their own so what they say won’t be bound by certain lines, unlike the mainstream media (both here in Sudan and the ones in what’s known as The West) which tend to hide facts and oppress opposition to the official story. I think blogs and video services like Youtube give a great opportunity to the masses to learn a side of the story that they might not get from the mainstream media, and knowing is always good.

Is it the answer of sudanese youths to your facebook initiative good or do you think they could do more?

It was really great, actually I have to admit I neglected the group after finding out that we can still view Youtube through other servers (i.e. Canada’s Servers “ca.youtube.com”), but having a 1000 member in less than a week made me realize that Sudanese people care about their rights.

How much do you use internet and especially youtube to read and see news?

Almost everyday, usually I use Youtube for music, I love that it gives me a chance to follow my favorite underground artists who we don’t see on TV because their message is opposed to the mainstream media, they use Youtube and services like Myspace to spread their art and message.

Can sudaneses in your city easily gain access to internet or is not so widespread among the people?

It’s easy to get online in Sudan, Net cafes are almost everywhere, and DSL connection are easy to have at homes, and Mobile Phone Corporations compete to present Mobile Internet services at lo prices. I went to Shendi (200 Km. north of Khartoum) last summer and I could easily get online using my uncle’s laptop and a wireless phone, or just go out to a net café.

Also you are one of the first sudanese bloggers reporting the censorship. A lot of youths in the West world type in a blog, easily, but we know it’s not so easy in other sides of the world, like in Sudan, where internet has been checked by the national security forces. What are your impressions about? How do you appraise the freedom of press and speech in your country today compared with the situation in past years? And abroad?

Well, in past years, Local journalists could be arrested for publishing articles that the government see as harmful, this stopped after signing the Peace Agreement, and many newspapers were allowed to be printed after being blocked for almost a decade. But The “Salvation Government” still enjoys the ability to censor and cut what they want. Being a pure corporate fascist regime, security of that kind is really important for its maintenance.

What do you know about Darfur crisis and what do you think about the International Criminal Court genocide incrimination of President Bashir?

I really hated what International Criminal Court, they gave the Sudanese Government a golden opportunity to polish its image and it’s President Bashir’s. Sudanese People are mostly simple people, after the ICC’s request to arrest Al-Bashir, the government went on and on about how this is a targeting of Islam, and how it’s an insult to the Sudanese Pride and how if this happened the US will surly have it’s clutches around Sudan, blah, blah. It wasn’t more than propaganda and a pethatric attempt to make Al-Bashir worthy of the coming elections, because honestly, before this, nobody liked this idiot. But suddenly I hear people in the bus talking about supporting him against the ICC. He became a hero.

Is the situation in Darfur explained in sudanese media ? What your friends know about South Sudan and Darfur?

Well, you can read an interesting article from time to time about the situation in Anti-NC (National Congress, The Ruling Party) newspapers, but it wouldn’t go further, TV stations don’t really seem to care to inform the people of anything other than praising the government. What my friends know about Darfur? I have to say nothing.

Would you like to see the UNAMID mission (UN and UA mission in Darfur) deployed in Darfur to guarantee the peace in all Sudan, or do you think is a treath to the sovereignity of Sudan?

Nobody wants to see foreign soldiers in his homeland, but if they’re going to provide help to those who need it and were let down by their own government, then It’s really important to have UN mission in Darfur, even though the UN proved it’s not trustworthy.

Darfuri are muslims as in Khartoum, but a lot of mosques are destroyed and many muslims killed and women raped. In persecutors opinion, Darfuri are not “good muslims”. In your opinion, religion should be a public or a personal matter in your country?

Darfuris are poor and the different governments that ruled this country have neglected them for decades. This is a racial and a class problem I think, it have nothing to do with religion. here in Khartoum, Darfuri people are known for owning small grocery shops that don’t sell cigarettes unlike other shops owned by “arabs” (Smoking is said to be forbidden in Islam but the only ones who seem to obey this are the Darfuris).

In my opinion, Islam has been misinterpret by many different powers to serve these powers, and it reflects only on the powerless, history tell us how Nimiri (former President/dictator) applied the Sharia laws to find an excuse to get rid of the Communists. Sharia laws which was one of the main reasons of the North-South conflict that broke out for a long time. I believe religion should be separated from the State, it is a personal matter and should not be forced, this is exactly what Quran says, but that doesn’t serve the rulers, so they follow their own desires which end up destroying them. I want to end up this with words of a great person, Jimi Hendrix: “The world won’t know peace, untill the power of love overcomes the love of power”.

thanks"

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domenica, ottobre 05, 2008

Processo ad Al-Bashir: il Governo italiano chiarisca la sua posizione

Apprendiamo che venerdì scorso i senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti hanno depositato una interrogazione rivolta al Ministero degli Esteri per chiedere quale posizione intenda prendere l’Italia, come membro “a rotazione” del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite relativamente alla possibilità di sospensione delle azioni della Corte Penale Internazionale nei confronti del Presidente del Sudan Omar Al-Bashir. Il Consiglio di Sicurezza ha, infatti, tra le sue prerogative – secondo l’articolo 16 dello Statuto della Corte - quella di sospendere per un anno le azioni della Corte Penale Internazionale: è necessario però un voto unanime dei cinque membri permanenti.
Francia e Gran Bretagna si sono dette favorevoli a questa eventualità, incerta rimane la posizione dell'Italia, che ci si augura voglia attestarsi, al contrario, su una posizione che confermi l'eventuale luogo a procedere dei giudici della Corte Penale Internazionale, qualora la richiesta del Procuratore Capo Luis Moreno Ocampo venga accettata.
Il 14 luglio scorso Ocampo aveva chiesto l'incriminazione del Presidente sudanese per crimini contro l'umanità.
Simili iniziative parlamentari sono passaggi fondamentali, altre volte ispirate da Italians for Darfur, grazie alla mediazione di parlamentari quali il Sen. Enrico Pianetta (PDL) o Marco Beltrandi (Radicali), fondamentali per la costruzione di una linea governativa solida ed intransigente sulla difesa dei diritti umani.

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Convegno L'Africa e Noi: Risorse e conflitti in Sudan

Segnalo, per chi ci legge da Milano, il convegno "L’Africa e Noi - Economia Giustizia Solidarietà" che si terrà sabato 11 ottobre, dalle 9 alle 17 presso il salone Pio XII in Via S. Antonio, 5, promosso, tra gli altri, da Caritas Ambrosiana e Comune di Milano.
Il Convegno si propone di porre al centro dell’attenzione la realtà africana a partire dall’Economia nella prospettiva di sollecitare relazioni internazionali improntate a criteri di Giustizia e Solidarietà.

Durante la mattinata si terranno le relazioni, nel pomeriggio invece si svolgeranno i laboratori tematici, il primo dei quali sarà dedicato al tema delle risorse e dei conflitti in Sudan.

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giovedì, ottobre 02, 2008

4 ottobre - Italians for Darfur al DemCamp Esperimenti democratici


Sabato 4 ottobre (dalle ore 9 alle 19), Italians for Darfur sarà presente al DemCamp - Esperimenti democratici, organizzato da Radio Radicale. L'evento si terrà presso la sede dell'Università popolare di Roma, nel suggestivo palazzo Englefield (Via 4 Novembre 157) a pochi passi da Piazza Venezia.
Link: http://barcamp.org/demcamp
Saremo presenti con l'intervento "Italians for Darfur": da movimento online ad associazione. Un tentativo di sormontare l'oblio politico e mediatico sul massacro in Darfur.

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E' guerra all'Islam moderato. In Darfur bruciano moschee e Corano ma i media arabi tacciono.

Se è errato definire il conflitto in Darfur come una guerra di religione, è invece facile cogliere la discriminazione violenta da parte della minoranza mussulmana araba ed estremista di Karthoum di quella parte della società sudanese moderata, composta da mussulmani di origine africana, ma anche da animisti e cristiani. In Darfur sono quasi tutti mussulmani come a Karthoum, ma tra essi molti la pensano come Mahgoud Hussein, portavoce nel 2004 dei ribelli del Sudan Liberation Movement, che chiede la separazione di stato e moschea. "Sono musulmano anch’io, ma vogliamo che la religione sia un fatto privato e che ciascuno abbia la libertà di praticarla" "Nonostante io sia Mussulmano, vogliamo che la religione rimanga confinata nella sfera personale e conviva con la libertà di ogni cittadino di praticare ciò in cui crede". Ma nel Darfur il governo centrale di Khartoum applica la sharia e condanna di "apostasia" i musulmani moderati, come i Sufi. I tribunali sudanesi inoltre, sulla base della sharia, condannano alla fustigazione le donne che hanno il coraggio di denunciare le violenze subite da miliziani e soldati sudanesi ma che non riescano a provarlo. Lo stupro, in Darfur, è praticato dai janjaweed come un' arma, come lo era a Srebrenica, ma già in tanti lo hanno dimenticato.
Nella sola zona di Dar Masalit, nel Darfur occidentale si sono registrate sin dagli inizi del conflitto efferati attacchi alle moschee e ai simboli dell'Islam. Human Rights Watch riporta, ad esempio, un elenco di 39 moschee, tra le altre, distrutte dagli attacchi dei janjaweed supportati dal governo sudanese. Il problema, si legge nel dossier del 2004 della Human Rights Watch, "DARFUR DESTROYED - Ethnic Cleansing by Government and Militia Forces in Western Sudan", è che i masalit, una delle tre etnie del Darfur di origine africana, non sono "buoni musulmani".
Nonostante ciò, i media arabi, sucettibili alla satira danese ma non alla demolizione delle moschee del Darfur, tacciono.
Intellettuali mussulmani come il moderato e liberale Abd Al-Hamid Al-Ansari , Qatar, dovrebbero avere più spazio. Poche settimane fa dichiarava: "The Arab Lawyers' Union Defends Al-Bashir Instead of the Victims in Darfur]...] Al-Bashir does not need the Arab Lawyers' Union to defend him. It is the victims of Darfur and the millions of the crushed and pulverized who are most in need of the legal support of masses of lawyers".

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