Il blog di Italians for Darfur

lunedì, settembre 21, 2009

Nasce il coordinamento internazionale dei darfuri per la risoluzione della crisi in Darfur: no all’ingerenza straniera.

di Mauro Annarumma

A fronte degli insuccessi della politica internazionale, i rappresentanti delle comunità di rifugiati del Darfur nel mondo si riuniscono ad Addis Ababa per trovare una exit strategy al conflitto in corso. La forte presenza della stampa filogovernativa sudanese, però, getta ombre sulle finalità dell’operazione.

Il conflitto in Darfur dura ormai da quasi sette anni.
Una crisi profonda, politica e militare, ma soprattutto una immane tragedia umanitaria, che ha coinvolto oltre tre milioni di persone, tra rifugiati, morti e sfollati, alla quale sembra
non si riesca a trovare una via di uscita
Nonostante l’impegno profuso in questi anni da parte della comunità internazionale e, in particolare, degli attivisti e delle ONG della Save Darfur Coalition, della cui coalizione fa parte anche l’associazione italiana per i diritti umani Italians for Darfur ONLUS, i tentativi di pacificare l’area si risolvono spesso in sterili comunicati delle Nazioni Unite, mentre le diplomazie si affannano nella speranza di portare a termine difficili trattative e colloqui di pace.
La missione ibrida delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, che avrebbe rappresentato un efficace cuscinetto tra la popolazione e le milizie armate, con oltre 30.000 unità previste tra peacekeepers e poliziotti, è ben lungi dall’essere operativa, insufficiente sia in termini di uomini, circa la metà di quelli pianificati, sia di mezzi di trasporto.
Dilaniato dagli interessi di interni ed esterni al Paese, il Darfur rischia quindi una lenta agonia.
L’8 settembre, ad Addis Ababa, Suliman Ahmed Hamed e altri nove tra rappresentanti dei rifugiati del Darfur ed ex combattenti ribelli, giunti da tutto il mondo, hann
o presentato alla stampa il National Group for Correcting the Track of Darfur Crisis, una nuova organizzazione di rifugiati e profughi del Darfur che chiedono il rispetto dei diritti del loro popolo, senza l’uso delle armi, ma attraverso lo sviluppo, la trattativa e l’istruzione
Nel comunicato, saltano all’occhio alcune dichiarazioni di denuncia dell’ingerenza straniera nella crisi in Darfur, che sarebbe finalizzata al perseguimento di propri interessi nazionali, divenendo essi stessi ostacolo alla pace nella regione.Tale passaggio è stato ripreso e sottolineato dalla stampa sudanese, stranamente numerosa in sala, che ne ha colto una chiusura verso la comunità internazionale, la quale avrebbe esagerato la portata del conflitto in Darfur e ne avrebbe manipolato le sorti per coltivare propri interessi e per dividere il Sudan come l’Iraq e la Jugoslavia.
Parole forti, registrate dall’agenzia di stampa ufficiale del Sudan, la SUNA, e dal Sudanese Media Center (SMC), il cui sito si ritiene sia gestito dai servizi di intelligence governativi, la National Intelligence and Security Services (NISS). Gli esponenti della nuova piattaforma affermano che ribelli, traduttori e mediatori hanno da sempre esagerato le cifre delle morti e delle vittime di violenze dei janjaweed e delle forze militari governative.
A sei anni dall’inizio della crisi, fonti ONU hanno fissato a 400.000 le morti in Darfur, mentre il governo sudanese parla di massimo 10.000 civili uccisi nel corso del conflitto.
Una guerra, che nelle ultime settimane, il governo sudanese sembra voglia combattere anche sui media.

nelle foto, alcuni momenti del meeting fondativo ad Addis Ababa

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