Il blog di Italians for Darfur

sabato, maggio 30, 2009

Lettera di Yasha Reibman a Frattini sùlla laurea ad honorem a Gheddafi, Univ. di Sassari

Lettera a Franco Frattini Sulla bizzarra idea di laureare  ad honorem il colonnello Gheddafi.Quale considerazione ha dei diritti umani un dittatore africano che ha bollato il Tribunale penale internazionale di “terrorismo” per aver chiesto l’arresto dell’amico Bashir, il tiranno sudanese responsabile dello sterminio in Darfur? di Yasha Reibman
Tratto da: www.tempi.it

La laurea honoris causa viene conferita dalle università a personalità che si sono distinte particolarmente e che, accettando il conferimento, ricevono e nello stesso tempo danno onore all’ateneo che li celebra. Ebbene, questo ambìto riconoscimento verrà conferito al leader libico Muhammar Gheddafi dall’Università degli studi di Sassari. La proposta viene dal professor Giovanni Lobrano, preside di Giurisprudenza, ed è stata approvata dal Consiglio di facoltà. Ora si è formata una commissione per scrivere le motivazioni. Quale onore potrà mai sperare di ricevere l’ateneo sardo dal dittatore libico? In Libia vige un regime con un solo partito, con un solo leader, che da quarant’anni regna con la violenza sul paese e reprime i dissidenti. Secondo l’annuale rapporto di Freedom House sulla libertà nel mondo, la Libia ha il peggior voto possibile. In Libia viene praticata sistematicamente la pena di morte e, secondo l’associazione radicale Nessuno tocchi Caino, avvengono anche esecuzioni extragiudiziarie, cioè senza alcun processo. Le maggiori organizzazioni non governative per i diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch, dalla Federazione internazionale delle leghe dei diritti umani a Medici senza frontiere e Reporters Without Borders, hanno in più occasioni denunciato la sistematica violazione dei diritti di donne, bambini e migranti. Organizzazioni non governative libiche semplicemente non esistono.L’alta considerazione che il colonnello Gheddafi ha nei confronti dei diritti umani è ben sintetizzata dalla sua scelta, nel 2000, di onorare con il prestigioso “Premio Gheddafi per i diritti umani” il dittatore cubano Fidel Castro. Mentre solo un paio di mesi fa, in qualità di presidente dell’Unione Africana, ha bollato il Tribunale penale internazionale di “terrorismo” per aver chiesto l’incriminazione e l’arresto dell’amico Omar Hasan Ahmad al Bashir, il dittatore sudanese responsabile dello sterminio in Darfur. Quali siano le ragioni che escogiteranno a Sassari per giustificare l’onorificenza a Gheddafi non è dato sapere, ma voi a quest’uomo dareste una laurea ad honorem?

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martedì, maggio 26, 2009

Pesanti scontri tra JEM ed esercito a Umm Baru, Nord Darfur

Fonti dell'UNAMID confermano pesanti scontri a fuoco tra i ribelli del JEM e l'esercito sudanese intorno alla città di Umm Baru, uno dei più grandi centri del Nord Darfur, vicino al confine ciadiano. Almeno 350 gli sfollati, più di 50 i feriti, un centinaio i morti accertati domenica scorsa.

La città, dapprima sotto il controllo dello SLM - Minnawi, unico firmatario del trattato di Abuja del 2006, sarebbe stata conquistata dal JEM, il movimento meglio armato del Darfur che sarebbe legato all'islamista HAssan Al-Turabi, e infine ripresa dall'esercito regolare, dopo ore di scontri e bombardamenti confermati da osservatori della missione ONU-UA. Il JEM, secondo quanto riferito dal Governo sudanese, avrebbe portato l'attacco alle postazioni militari del centro abitato con 80 veicoli e 40 pezzi di artiglieria di origine ciadiana: un'altra prova di forza del movimento ribelle in cerca di maggiore potere contrattuale, dopo quella di pochi giorni fa a Kornoy, altra cittadina a 50 Km dal confine con il Ciad, prima dell'inizio degli ennesimi colloqui di pace a Doha, domani 27 maggio, con il governo sudanese.


Nel frattempo, il Sudan Liberation Movement/Army, il più rappresentativo dell'eterogenea popolazione del Darfur ma il meno armato e diviso in più fazioni, cerca la via della riunificazione in Libia, plausibilmente nelle prossime settimane, nel tentativo di giungere compatto al prossimo tavolo di trattative.

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domenica, maggio 24, 2009

25 Maggio, Giornata Mondiale dell'Africa: più informazione sulle crisi umanitarie

Il 25 maggio è la Giornata Mondiale dell'Africa: lo hanno ricordato la FOCSIV e la Fondazione MISSIO (Conferenza Episcopale Italiana), in una lettera inviata ieri ai Presidenti e Direttori Generali delle principali Reti televisive italiane, al Presidente della Commissione di Vigilanza della RAI e al Presidente e Segretario Generale della FNSI (Federazione nazionale stampa italiana).
Nella lettera si chiede venga fatta più informazione sulle numerose e sempre ignorate crisi umanitarie del continente, appello condiviso e rilanciato da Italians for Darfur, che da maggio 2006 chiede a Rai, La7 e Mediaset che si parli del conflitto in Darfur, e non solo.
La ricorrenza è stata proposta dall'Unione Africana per ricordare la fondazione, nel 1965, dell’Organizzazione per l’Unità Africana, che nel 2002 ha preso l'attuale denominazione.

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Il Governo Italiano stanzia nuovi fondi per fronteggiare la crisi sanitaria in Darfur

Il Governo Italiano ha reso noto di aver stanziato 300.000 euro alla World Health Organization per far fronte alla nuova allarmante crisi sanitaria che mette a rischio la sopravvivenza di milioni di sfollati in Darfur, anche in seguito al dilagare di focolai di meningite nei campi profughi.

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lunedì, maggio 18, 2009

Kornoy in mano ai ribelli del JEM

Militari sudanesi, giunti alla base UNAMID di Ambaro, dichiarano di essere scampati a un pesante attacco delle forze ribelli del JEM nella città di Kornoy, nel Nord Darfur, a 50 km dalla base dei peacekeepers. I ribelli, con 70 veicoli e ben armati, ieri avrebbero conquistato in circa tre ore la cittadina, usata come base dai soldati regolari.

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Si aggrava la situazione umanitaria nel Darfur dopo l espulsione delle 13 ONG straniere

I nuovi dati sulle condizioni sanitarie degli sfollati mettono in luce la crisi del sistema assistenziale dopo l’espulsione di 13 ONG straniere e di tre organizzazioni locali.

Il 12 maggio scorso all’Università di Sassari, insieme alla testimonianza del rappresentante dei rifugiati del Darfur in Italia Suliman Ahmed, Italians for Darfur ha presentato agli studenti i più recenti dati delle agenzie delle Nazioni Unite, OCHA (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs), WFP (World Food Programme) e WHO (World Health Organization), e delle maggiori ONG internazionali, come la statunitense USAID l’agenzia governativa per lo sviluppo internazionale, sulla crisi del Darfur, dai quali si evince l’aggravarsi della già drammatica situazione umanitaria nella immensa regione del Sudan. Se, infatti, John Holmes, coordinatore degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, riconosceva il 7 maggio scorso che i combattimenti in Darfur stanno diminuendo, allo stesso tempo denunciava il disfacimento del complesso sistema di aiuti umanitari nella regione, che garantiva, fino al 2008, assistenza a tre milioni e settecento mila persone ogni mese. Attualmente, dopo l’espulsione di 13 ONG straniere e il blocco di altre tre ONG sudanesi nel marzo scorso, circa un milione di persone rischia la sopravvivenza con l’approssimarsi della stagione delle piogge per il venire meno della loro costante presenza.

In tutto il Darfur si registrano gravi carenze nella distribuzione dell’acqua potabile e del cibo, nell’assistenza sanitaria e nella sicurezza dei campi profughi. In particolare, a subire le peggiori conseguenze ancora una volta sono donne e bambini: il capillare servizio di supporto ostetrico per giovani madri e lattanti, infatti, è andato completamente distrutto e oltre 300.000 bambini sono a rischio sopravvivenza per carenza di cibo, secondo quanto denuncia il World Food Programme. Si stima, inoltre, che circa 600.000 persone non possano più ricevere assistenza medica, proprio in un momento critico, in cui si accendono numerosi focolai di meningite e il rischio colera, con l’arrivo della stagione delle piogge da maggio a ottobre, diventa più alto. L’USAID ha registrato sino a fine aprile 182 casi di meningite nel Sud Darfur; sarebbero invece 13 nell’area di Jebel Marra (West Darfur) e 6 nel Nord Darfur i casi secondo la World Health Organization.

La situazione è resa ancora più drammatica dallo spostamento in massa dei civili in fuga dalla violenza che non si arresta: solo nel 2008, riportano i dossier dell’OCHA, si sono avuti oltre 300.000 profughi. Gli scontri di fine marzo hanno causato la fuga di 42.000 persone dal Sud al Nord Darfur, e numerosi sono anche gli spostamenti dal Nord alle altre regioni limitrofe, dopo i recenti bombardamenti di alcuni villaggi dell’area due settimane fa.

Se non si ricostituirà al più presto il complesso sistema di aiuti precedente al provvedimento del governo sudanese del marzo scorso, denuncia John Holmes, ovvero se le ONG espulse non saranno autorizzate a rientrare o non verranno sostituite da organizzazioni di pari capacità, le condizioni sanitarie ed alimentari andranno peggiorando drasticamente a partire dalle prossime settimane.

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sabato, maggio 16, 2009

Il Sudan accusa il Chad di "un atto di guerra"

Il Governo sudanese non usa mezzi termini: l'accusa lanciata al goveno del vicino Idriss Deby è quella di "atto di guerra" e violazione dello spazio aereo nazionale.
Forze aeree ciadiane avrebbero bombardato due volte il territorio sudanese, venerdì scorso, oltrepassando il proprio confine di circa 60 Km. L'azione militare sarebbe stata intrapresa a seguito dell'ammmassamento di miliziani al soldo di Khartoum oltre il confine ciadiano.

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venerdì, maggio 15, 2009

Peacekeepers dell' UNAMID testimoni del bombardamento di Umm Baru

Ieri, alcuni membri della forza di pace dell'UNAMID hanno denunciato di aver visto aerei della SAF bombardare alcune delle posizioni ribelli del JEM nel Nord Darfur, ben cinque esplosioni a Nord del villaggio di Umm Baru, intorno alle 10.00 del mattino. Immediata la smentita del Governo.

L'attacco segue di pochi giorni la ripresa dei colloqui tra il JEM e il Governo sudanese.
Dopo una prima apertura al dialogo tra le due parti, agli inizi del 2009 in Qatar, alcuni giorni fa, il 7 maggio scorso, Khartoum aveva sollecitato e ottenuto un ulteriore ripresa del confronto in Qatar, nel quale il governo sudanese si diceva disposto a riconsiderare il provvedimento di espulsione delle 13 ONG in Darfur.

Approfondisci: Who are Sudan's Jem rebels?

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mercoledì, maggio 13, 2009

Nascono anche in Sudan i primi gruppi di combattenti kamikaze

I movimenti vicini ad Al Qaeda, che in Sudan avevano la propria roccaforte fino al 1999, si starebbero ricostituendo, dando vita a ben otto gruppi di estremisti pronti ad attacchi suicidi contro le forze ribelli e le postazioni UNAMID. Lo afferma Suliman Ahmed, rappresentante dei rifugiati del Darfur in Italia, nel corso della conferenza sul Darfur tenutasi a Sassari ieri 12 Maggio ed organizzata da Italians for Darfur ONLUS e l'associazione Quadrifoglio. Gli attentatori, tutti di provenienza estera, sarebbero stati reclutati da Libia, Egitto, Algeria, Mauritania, Iraq e Pakistan.
Una notizia che, se confermata, segnerebbe una tragica svolta nelle dinamiche del conflitto in corso in Darfur.

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La Corte Penale Internazionale accusa il presidente del Sudan: un drammatico "Valzer con Bashir"?

di Stefano Cera

Nel luglio 2008 il Procuratore della Corte Penale Internazionale (attivata con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 1593/2005) Luis Moreno Ocampo accusa il Presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, chiedendo l’emissione di un mandato d’arresto.
Secondo le prove raccolte il presidente sudanese avrebbe diretto e applicato un piano per distruggere in modo sostanziale i gruppi africani Fur, Zaghawa e Masalit sulla base della loro etnia: «Per cinque anni le forze armate e la milizia Janjaweed, sotto gli ordini di Bashir, hanno attaccato e distrutto villaggi. Poi attaccavano i sopravvissuti nel deserto. Quelli che raggiungevano i campi erano soggetti a condizioni messe in atto in modo calcolato allo scopo di distruggerli». Secondo Ocampo «i suoi motivi erano largamente politici, il suo alibi è stato l'insurrezione, il suo intento è stato il genocidio». Le «forze e gli agenti» che agivano sotto il controllo di Bashir avrebbero ucciso direttamente almeno 35.000 civili e causato la morte di un numero di persone compreso tra 80 e 265.000, sradicate dai loro villaggi.
Il 4 marzo, dopo oltre sette mesi dalla presentazione delle accuse, attraverso una decisione inedita nella storia della Corte (perché per la prima volta riguarda un presidente in carica) la Camera preliminare uno della Corte Penale Internazionale emette un mandato di arresto nei confronti di Bashir, riconoscendo i capi d’imputazione per crimini contro l’umanità e per crimini di guerra, ma non quelli riguardanti le accuse di genocidio (con la maggioranza di due giudici su tre).
Il confronto nella Comunità Internazionale
Dalla presentazione delle accuse, inizia un acceso dibattito nella comunità internazionale, che prosegue, con rinnovato vigore, dopo la richiesta di arresto. Indicativo è il commento di Antonio Cassese (che nel 2005 ha presieduto l’ICID, la «Commissione internazionale incaricata di investigare le violazioni dei diritti umani e l’accertamento dell’eventuale genocidio»), secondo cui l’iniziativa della Corte è importante soprattutto per «scuotere l’attenzione del pubblico», ma servirebbe a poco in termini pratici e anzi potrebbe rivelarsi un boomerang in grado di vanificarne il lavoro, considerata la difficoltà di rendere effettivo il mandato di arresto. Per questo motivo sarebbe stato preferibile richiedere un ordine di comparizione: «in tal modo il Presidente sudanese, volendo far valere le proprie ragioni, avrebbe potuto presentarsi alla Corte da uomo libero, per contestare le accuse» (la Repubblica, 5 marzo 2009).
All’interno della Comunità internazionale, si confrontano due diverse priorità: fare giustizia, attraverso il rispetto del mandato, e favorire il processo di pace, dando la priorità al ruolo ipotetico che Bashir potrebbe avere nei negoziati, trascurando le sue responsabilità nei massacri compiuti nel Darfur. Chi sostiene la seconda, teme soprattutto le ripercussioni negative che la condanna di Bashir potrebbe avere sulla situazione in Darfur. Si sottolinea, ad esempio, il rischio di una «polarizzazione» delle posizioni delle parti. Da una parte i movimenti di opposizione, che hanno più volte affermato il rifiuto del dialogare con un ricercato internazionale (come dimostrato anche dall’abbandono del JEM – Justice and Equality Movement – del processo di pace intrapreso a Doha solo due mesi fa). Dall’altra il Presidente Bashir, che potrebbe ostacolare il già lento dispiegamento della missione di peacekeeping UNAMID e il lavoro delle organizzazioni umanitarie (come dimostrato dall’espulsione di tredici organizzazioni non governative all’indomani della richiesta di arresto), con conseguenze drammatiche per la popolazione. Inoltre, un governo centrale solido è ritenuto necessario per garantire il progresso dei colloqui di pace.
Pertanto, la richiesta di molti (Lega Araba, Unione Africana, Movimento dei paesi non allineati, Organizzazione della Conferenza islamica, il Consiglio per la Cooperazione nel Golfo e, all’interno del Consiglio di Sicurezza ONU, Cina - principale partner commerciale del Sudan - e Russia) è la sospensione della procedura previsto dall’articolo 16 dello Statuto della Corte, secondo il quale il Consiglio di Sicurezza ONU ha il potere di sospendere (con voto unanime dei cinque membri permanenti) per un periodo rinnovabile di dodici mesi le indagini del Procuratore o un qualsiasi procedimento penale in atto. Sono a favore della sospensione anche alcuni esperti di questioni sudanesi, come ad es. Alex De Waal (già consulente dell’Unione Africana durante la mediazione che ha portato al Darfur Peace Agreement del maggio 2006), che motiva l’applicazione dell’art. 16 sulla base del timore che il National Congress Party del presidente Bashir potrebbe ostacolare non solo il processo di pace in Darfur, ma anche il Comprehensive Peace Agreement, sottoscritto con il Sudan meridionale nel gennaio 2005, con conseguenti rischi di instabilità in tutto il paese (Sudan Tribune, 29 gennaio 2009). Altri, come Eric Reeves, non credono invece all’efficacia di un’eventuale sospensione: «Per quale motivo l’impunità dovrebbe portare alla pace in Darfur? I sostenitori del processo di pace ci chiedono di aver fiducia in un governo brutale e cospiratore, che in venti anni di potere non ha mai rispettato alcun accordo con gli altri partiti. Ci chiedono di credere che questa volta le cose andranno diversamente» (Internazionale, n. 784, 27 febbraio 2009).
L’ipotesi di sospensione “condizionata”
L’International Crisis Group ha evidenziato che, in funzione della particolare situazione del paese, l’ipotesi di sospensione dovrebbe essere sottoposta a precise condizioni; tra queste, garanzie per evitare ogni tipo di rappresaglia nei confronti del personale diplomatico e civile. Inoltre, è necessario che si realizzi un vero cambiamento della politica del governo che passi attraverso alcune tappe: la costituzione di un serio ed efficace sistema interno d’indagini nei confronti dei responsabili dei crimini commessi nel Darfur, come rilevato dallo stesso Segretario Generale ONU Ban Ki-Moon; un impegno credibile nei confronti del processo di pace, per esempio tramite l’allargamento della partecipazione ai colloqui anche agli altri movimenti di opposizione; infine l’impegno di Bashir a non presentare la propria candidatura alle prossime elezioni presidenziali (purtroppo disatteso dallo stesso presidente che ha recentemente presentato ufficialmente la propria candidatura per le elezioni del febbraio del prossimo anno). Tuttavia, per fare questo è necessario che i paesi e le organizzazioni internazionali più vicini al Sudan (per i legami economici Cina e Russia e per i legami politici soprattutto Egitto, Libia, Unione Africana e Lega Araba) non si limitino a fare da eco alle richieste di Khartoum, ma cerchino di utilizzare i propri legami per stimolare i cambiamenti necessari, puntando soprattutto sul rischio d’isolamento per il paese.
Le argomentazioni dai fautori del mandato di arresto
Louise Arbour, già procuratore del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, ha spesso affermato che osservare un imperativo di giustizia non significa sabotare la pace, ma anzi contribuire a essa. Questa è l’opinione di chi ritiene la sospensione un rischio, per diversi motivi. Innanzitutto perché costituirebbe un pericoloso precedente, in grado di minare la credibilità della Corte e della stessa ONU; infatti, stabilendo una presunta «negoziabilità dei diritti umani», metterebbe in secondo piano le responsabilità di Bashir nei confronti delle persecuzioni dei civili, che anzi potrebbero continuare anche grazie al clima di impunità creatosi. Inoltre, è forte il timore che la sospensione finisca per annullare gli sforzi della Corte, secondo il principio «justice delayed, justice denied». Infine, perché il mandato di arresto potrebbe costituire un efficace mezzo di pressione, in grado di provocare cambiamenti anche all’interno dello stesso regime, comunque diviso da tensioni interne. Tuttavia, per fare questo è necessario che tutti gli stati diano il loro sostegno, forte e senza ambiguità, all’attività della Corte.
in Meridiano 42 (http://lnx.meridiano42.org/index.php?option=com_content&task=view&id=66&Itemid=40)
(Anno III, numero 4 – aprile 2009)

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sabato, maggio 09, 2009

12 Maggio, Sassari: "Emergenza Africa"

“EMERGENZA AFRICA”
Testimonianza di Suliman Ahmed,
portavoce dei rifugiati del Darfur in Italia
12 Maggio 2009
Sassari

L’associazione Quadrifoglio e Italians for Darfur ONLUS organizzano per il giorno martedì 12 Maggio 2009, dalle ore 18.00 alle ore 20.00, presso i locali del Quadrilatero, Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sassari in Sassari, la conferenza dal tema “Emergenza Africa”.

L’incontro, che vuole essere un momento di approfondimento e denuncia delle violazioni dei diritti umani nel continente dal punto di vista giuridico e sanitario, verterà, in particolare, sulla grave crisi umanitaria in Darfur.
Il conflitto dura da sei anni e ha provocato non meno di 300.000 morti e ha costretto almeno due milioni e mezzo di persone alla fuga (stime Onu), destinandole ad una vita da sfollati sia all'interno del Sudan, sia nei campi profughi in Ciad, circostanza che di fatto ha allargato il conflitto anche a questo paese confinante.
Interverranno:
- Suliman Ahmed, sopravvissuto al genocidio in Darfur, portavoce rifugiati del Darfur in Italia, con la proiezione del video documentario di Italians for Darfur;
- -Prof. Rodolfo Ragionieri, docente di Relazioni Internazionali presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Ateneo sassarese, per un inquadramento del tema dal punto di vista geopolitico;
- Prof. Paolo Fois docente di Diritto Internazionale, Internazionale Privato e Diritto dell’Unione Europea presso la Facoltà di Giurisprudenza, per gli aspetti di Diritto Internazionale con riferimento ai crimini internazionali.

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venerdì, maggio 08, 2009

Smontata la campagna di disinformazione sul Darfur

SUDAN: ITALIANS FOR DARFUR, NUOVE ONG ABBIANO AUTOREVOLEZZA =
Rimane alta preoccupazione per diniego a rientro delle 13 espulse. Nuovo rischio epidemie

Roma, 8 mag. (Adnkronos) - "Accogliamo con soddisfazione le notizie provenienti dal Sudan che attraverso Hassabo Mohammed Abdelrahman, presidente della Commissione sudanese per gli affari umanitari, si dice pronto ad accogliere nuove organizzazioni non governative occidentali nella regione del Darfur. Ma ci preme sottolineare che la preoccupazione per il diniego al rientro delle 13 ong espulse lo scorso marzo rimane alta".
E' quanto afferma, in una nota, Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur.Sottolineando come la preoccupazione sia stata espressa anche dall'onorevole Margherita Boniver, in missione in Darfur come inviato speciale del Ministro degli Esteri per le emergenze umanitarie, Napoli aggiunge che "ci auguriamo che le organizzazioni autorizzate ad operare in Darfur siano di pari autorevolezza ed adeguatezza al ruolo che dovranno svolgere nella regione sudanese"."Speriamo che l'appello rivolto dal responsabile per gli Affari umanitari dell'Onu John Holmes, affinche' si approntino interventi immediati per il Darfur, sia presto accolto e che gli annunci di Khartoum si trasformino in provvedimenti concreti" si legge ancora nella nota della associazione onlus da anni impegnata nella campagna pro - Darfur.
"Come abbiamo piu' volte denunciato nelle ultime settimane - prosegue Napoli - la situazione in Darfur e' di grande emergenza e Ocha, il Coordinamento degli aiuti umanitari dell'Onu, insieme alle organizzazioni locali riesce a garantire il minimo di sussistenza agli sfollati. Ma le limitazioni sono enormi e lo standard attuale e' al limite della sopravvivenza come ha sottolineato lo stesso responsabile per gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite al suo arrivo a Khartoum. Il funzionario Onu ha ribadito che l'espulsione delle 13 ong ha creato un vuoto in termini di capacita' (di distribuzione degli aiuti) che si deve riempire al piu' presto per evitare un ulteriore aggravamento della crisi umanitaria"."Come da noi denunciato durante la Giornata mondiale per il Darfur - sottolinea il presidente dell'associazione -l'emergenza piu' pressante e' quella per la salute. Da settimane, infatti, in alcuni campi del Darfur e' in atto un'epidemia di meningite e con la stagione delle piogge potrebbe diffondersi il colera. Bisogna, quindi, fare presto e permettere a operatori qualificati di riprendere l'assistenza di milioni di persone che - conclude Napoli - altrimenti saranno esposte al diffondersi di queste gravi malattie'.

(Ses/Gs/Adnkronos) 08-MAG-09 11:18

mercoledì, maggio 06, 2009

Seminario: MALATI DI GUERRA - 14 maggio 2009

Riceviamo e pubblichiamo quanto segue. Italians for Darfur, a partire dal 2007, ha fornito il dvd video documentario sul Darfur per l'esperienza dei laboratori didattici.

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Giovedì 14 maggio dalle ore 18.15 alle 20.00 presso l'aula Marotta dell'Istituto Superiore di Sanità (a Roma in viale Regina Elena 299) si svolgerà un incontro sul tema:
MALATI DI GUERRA- un laboratorio didattico di educazione alla pace.

L'incontro è rivolto a insegnanti, ricercatori e ricercatrici di sanità pubblica ed ha lo scopo di presentare un'esperienza di collaborazione fra la scuola e il mondo della ricerca, finalizzata a sensibilizzare i giovani circa le conseguenze che una guerra può avere sulle condizioni sanitarie dei civili coinvolti.

Nell'incontro verrà presentato un Rapporto che descrive modalità, materiali e metodi di un laboratorio didattico sperimentato in una scuola superiore di Roma.
Il Rapporto fornisce suggerimenti per favorire la replicazione e lo sviluppo dell'esperienza ed è scaricabile dal sito:
http://www.iss.it/binary/publ/cont/09_8_web.pdf

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martedì, maggio 05, 2009

Campagne mediatiche scorrette

Facili entusiasmi per il conflitto ridimensionato
ma il rischio di nuove vittime in Darfur cresce

di Antonella Napoli

Nei giorni scorsi il capo della missione congiunta Onu-UA inviata per un sopralluogo in Darfur, Rodolphe Adada, ha riferito in Consiglio di sicurezza sulla situazione del conflitto, definito in questa fase a ’bassa intensità’. Adada, ex ministro degli Esteri del Congo, ha evidenziato che “il Darfur, oggi è una guerra di tutti contro tutti. Le forze governative si scontrano con i movimenti armati. I movimenti armati lottano tra loro, e i membri delle forze di sicurezza governative combattono l’uno contro l’altro, e contro con le milizie. Tutte le parti hanno ucciso civili”. (1).Informazioni che tracciano un quadro della crisi nella regione sudanese che appare, a chi legge con parzialità tali notizie, ridimensionato. Quanto meno nei numeri. Dal gennaio 2008 a oggi, ha sottolineato l’analista congolese, le morti causate da atti violenti in Darfur sono state circa 2000. Quei pochi organi di informazione che ne hanno parlato hanno posto l’accento sulla situazione militare, sottolineando che rispetto al periodo di intense ostilità degli anni 2003-2004, durante i quali decine di migliaia di persone sono state uccise, le cifre sono decisamente più basse e «in termini puramente numerici si tratta di un conflitto a bassa intensità». (2). Resoconto ineccepibile. Peccato che Adada abbia anche rimarcato la grande preoccupazione per il peggioramento dell’emergenza umanitaria determinato dalla decisione del regime di Khartoum di espellere 13 organizzazioni non-governative dal Darfur, dopo averle accusate di aver “inventato” informazioni poi fornite alla Corte penale internazionale. L’inviato Onu – Ua ha dichiarato che l’espulsione di queste ong ha causato “l’interruzione nel flusso di aiuti e servizi alla popolazione e agli sfollati”.“Siamo profondamente preoccupati per il rischio di una catastrofe umanitaria - ha detto Adada - Non da ultimo perché siamo i più visibili rappresentanti della comunità internazionale nel Darfur”. L’esponente delle Nazioni Unite ha anche ricordato che finora sono stati dispiegati sul terreno il 69% dei 26mila uomini previsti per la missione congiunta che attualmente funziona a circa un terzo della sua piena capacità, a causa delle continue difficoltà logistiche tra cui la mancanza di elicotteri da trasporto.Di questo, però, nessuno ne ha parlato. Partendo dal presupposto che la situazione del conflitto, al momento, sia in una fase di stallo, quasi di attesa, va ricordato che nelle ultime settimane sono stati intercettati carichi di armi che sono arrivati, ma per qualcuno ‘solo’ transitati, in Sudan provenienti dalla Cina. Il governo sudanese, inoltre, ha denunciato lo scorso febbraio che le fazioni ribelli avevano ricevuto ingenti quantitativi di armi grazie alle quali il Jem, il movimento attualmente più attivo in Darfur, è stato in grado di conquistare la città di Muhajriya.Per non parlare dei camion individuati qualche mese fa dalla Bbc, autocarri di fabbricazione cinese 'Dong Feng' armati con mitragliatrici antiaeree - impiegati in almeno un attacco nella località di Sirba nella parte occidentale del Darfur - e alcuni cacciabombardieri prodotti dalla cinese 'Nachang', utilizzati nei raid aerei che di solito precedono l'assalto dei janjaweed, pastori arabi nomadi contro i residenti, agricoltori, neri e animisti.Inizialmente si pensava che si trattasse di jet di fabbricazione russa ma la Bbc ha ottenuto le fotografie satellitari di due Fantan A5 nell'aeroporto di Nyala, capoluogo del Darfur meridionale, il 18 giugno 2008. Il 19 febbraio dello stesso anno proprio quei caccia, ha stabilito la Bbc, sono stati usati per colpire la città di Beybey. (3). In tutto ciò non vanno sottovalutate le tensioni che si percepiscono nel Sud Sudan - dilaniato da una guerra civile durata oltre vent’anni e terminata nel 2005 con un bilancio di quasi due milioni di morti - che rischia di vedere riaccendersi le vecchie dispute in vista del referendum indipendentista del 2011. Gli ex ribelli cristiani dell'Esercito di Liberazione Popolare del Sudan (Spla) che oggi governano la regione di Juba ma non i suoi giacimenti petroliferi (l'85 percento di quelli sudanesi), si stanno riarmando. (4). E mentre si discute sull’aspetto politico e militare del conflitto, la gente continua a morire per fame e malattie. Come ha avuto modo di denunciare a più riprese ‘Italians for Darfur’, rilanciando le informazioni del Coordinamento degli aiuti umanitari in Darfur delle Nazioni Unite, la situazione umanitaria è ormai al collasso. Le condizioni di vita degli sfollati assistiti nei campi profughi si sono aggravate dopo l'espulsione di 13 delle più importanti ong internazionali.L'espulsione è stata decisa all'inizio di marzo dopo la decisione della Corte penale internazionale dell'Aia di spiccare un mandato di arresto contro il presidente sudanese Omar al Bashir per crimini di guerra e contro l'umanità. Il governo di Khartoum si era impegnato a sostituirle con altre ong in grado di garantire le stesse capacità di aiuto, ma finora non ha onorato questo impegno e al momento possono operare esclusivamente cooperanti sudanesi e poche altre organizzazioni che non riescono a far fronte ai bisogni di tutta la popolazione sfollata. Stando a un rapporto dell'Onu, l'espulsione di Oxfam, Care International, Medici senza frontiere e Save the Children, ha messo fine ai programmi speciali di alimentazione destinati a migliaia di bambini affetti da grave malnutrizione e alle donne in stato di gravidanza, mettendo a rischio anche le cure sanitarie e i ripari per centinaia di migliaia di persone.Se il governo di Khartoum e le Nazioni Unite non riusciranno a colmare tali lacune, circa 1,1 milione di persone oggi dipendenti dagli aiuti alimentari non riceveranno piú le loro razioni di cibo a partire dal mese di maggio.Il rischio? Il conto dei morti riprenderà inesorabilmente. Ma questo aspetto deve essere apparso poco rilevante a chi si è affrettato a raccontare con entusiasmo della declassazione della crisi in atto in Darfur a ‘ conflitto di bassa intensità’.

1 Sudan Tribune, 27 aprile 2009
2 Il Manifesto, 29 aprile 2009
3 Agi Mondo 14 luglio 2008
4 PeaceReporter, 23 marzo 2009

lunedì, maggio 04, 2009

Rapporti Stati Uniti e Sudan verso la normalizzazione

Gli Stati Uniti si apprestano a riallacciare migliori rapporti diplomatici con il Sudan, secondo quanto riferito dal Gulf News.
Numerose le critiche alla svolta dell'amministrazione Obama, che punta sulla normalizzazione dei rapporti bilaterali per imprimere una svolta verso la pace della crisi in Darfur.
Il governo del Sudan, secondo gli ultimi rapporti di intelligence statunitense, collabora alla lotta al terrorismo internazionale, sebbene ne rimanga, allo stesso tempo, uno degli sponsor più importanti.

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