Il blog di Italians for Darfur

lunedì, novembre 30, 2009

2° Civicratic Facebook Day: "Faccia a faccia contro ogni facciata"

Italians for Darfur ha partecipato al 2° Civicratic Facebook Day promosso dal Laboratorio Privacy Sviluppo il 27 novembre scorso. E' intervenuta Sharon Nizza, tesoriere dell'associazione.

Italians for Darfur ha ritenuto da subito che Internet, indipendente dai tradizionali media, sebbene non sia ancora alternativo a questi in termini di accessibilità e penetrazione, esprima potenzialità comunicative finora inattese di riverberazione dell’ informazione: è quindi attiva, dal 2006, una campagna on-line che fa leva sulla partecipazione degli utenti dei blog e dei principali social network italiani e internazionali, prima di tutti Facebook, per chiedere ai media mainstream italiani una maggiore copertura della crisi in Darfur e nelle altre regioni del mondo dimenticate.

Presente su Facebook con un gruppo dedicato, e con una pagina sulla campagna di disinvestimento lanciata da Italians for Darfur in collaborazione con Aegis Trust, Italians for Darfur propone anche un’applicazione che permette una maggiore diffusione delle pagine informative tra gli “amici”, offrendo la possibilità agli stessi di firmare l’appello on-line.

L’’informazione riveste, come in molteplici campi, un ruolo fondamentale nelle sorti della risoluzione di un conflitto, soprattutto se le azioni internazionali dipendono strettamente dall’opinione pubblica e dalla risposta politica che ad essa viene data dalle singole nazioni democratiche.

Molto spesso, tuttavia, assistiamo, soprattutto nel nostro Paese, a un incarceramento dell’informazione e a una riduzione progressiva dei lanci giornalistici a slogan d’effetto che lasciano poco spazio all’approfondimento e al confronto. Un’informazione di “facciata” quindi, che rischia di appiattire l’opinione pubblica su un atteggiamento diffuso di disinteresse e disaffezione verso tutti i temi e le problematiche che, solo apparentemente, non incidano direttamente sul quotidiano e il contingente.

L’occasione di confronto offerta da questa iniziativa, che fa proprio del protagonismo collaborativo il suo manifesto, è una preziosa opportunità di cammino collettivo di crescita e di consolidamento della rete tra gruppi spontanei e motivati di cittadini che hanno a cuore aspetti diversi, ma innegabilmente parte di una unica realtà, della sfera sociale e individuale insieme.

Una piattaforma aperta, libera dai vincoli spaziali e temporali e garante della libera espressione dei singoli, come è quella di Facebook, si presta ad essere il campo ideale per lo sviluppo del nuovo modello civicratico: associazioni e gruppi di persone che, nel perseguire i loro obiettivi statuari, contribuiscono a disegnare insieme un nuovo modello di società e un panorama politico più sensibile ai bisogni reali dei cittadini, contro le scelte dietro la cui facciata si nascondono spesso interessi e finalità diverse. Un progetto che può crescere solo nel confronto costante e produttivo tra cittadini, che non siano più meri numeri in un dato statistico ma singoli individui pronti a mettere in gioco la propria faccia, così come lo stesso Facebook ci sta abituando,e le Istituzioni nazionali e territoriali, dietro la cui facciata non possano più nascondersi le facce di chi le amministra.

Mauro Annarumma

Coordinatore Campagna on-line

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venerdì, novembre 27, 2009

Attacco a due villaggi nel Nord Darfur

Secondo quanto dichiarato da fonti del Sudan Liberation Movement di Abdel Wahid al Nur, due villaggi nel Nord Darfur sarebbero stati attaccati da milizie filogovernative, mercoledì scorso.

I villaggi di Al-Harra e Jabel Issa sarebbero stati saccheggiati dai janjaweed, giunti con 25 veicoli: 11 i detenuti, fra di essi non ci sarebbero ribelli del movimento SLM/AW.

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giovedì, novembre 26, 2009

Roma, 16 dicembre: concerto "Darfur...urgente - A chi deve ascoltare, per chi non può sentire"

Mercoledì 16 dicembre 2009 ore 21:00
al Teatro Albertino
via Crivellucci 3/a Roma

Artisti Socialmente Utili – Circolo ACLI Municipio I Roma

ORGANIZZA

"DARFUR… urgente"
A chi deve ascoltare… per chi non può sentire

L’incasso sarà devoluto a Italians For Darfur.

Il conflitto in Darfur, nell'arco di sei anni, ha provocato non meno di 300.000 morti, e ha costretto almeno due milioni di persone alla fuga, sia all'interno del Sudan, sia nei campi profughi in Ciad. Lo scopo del concerto è quello di portare in evidenza il grave problema che affligge le popolazioni di quei luoghi e tutte le iniziative che l'associazione "Italians For Darfur" sta portando avanti in questi anni, assicurando una corretta e completa informazione, facendo in modo che le istituzioni si mobilitino per trovare una soluzione al conflitto in corso.

Hanno aderito e parteciperanno al concerto:
Luigi Montagna, Pino Tossici, Claudio Crescentini, Echos, Frankie's Jazz Trio, The Bulldogs.

Visto l'importanza dell'evento ed i posti limitati, è consigliabile prenotare via e-mail o acquistare in prevendita il biglietto presso il teatro dal 9/12 al 13/12 dalle ore 19:00. Il prezzo del biglietto è di €10.

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mercoledì, novembre 25, 2009

Nostra denuncia

DARFUR: ASSOCIAZIONE, MAI PARTITA MISSIONE ITALIANA

SOTTOSEGRETARIO COSSIGA IN PARLAMENTO, SUDAN NON DA' VISTI

ROMA, 24 NOV - 'Come purtroppo temevamo la missione italiana in Darfur, annunciata dal ministro della Difesa nell'ambito dell'ultima discussione in parlamento sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero, non e' mai partita'. Lo denuncia l'associazione 'Italians for Darfur', promotrice della campagna per la promozione e la tutela dei diritti umani in Sudan.
L'associazione cita il resoconto della seduta dell'11 novembre scorso delle Commissioni Difesa ed Esteri riunite del Senato relativa all'esame del decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali. In quella occasione il sottosegretario alla Difesa, Giuseppe Cossiga, ha dichiarato, 'con specifico riferimento alla partecipazione italiana alla missione Unamid in Darfur', che 'essa non ha di fatto potuto aver corso - si legge nel resoconto - a seguito dell'atteggiamento assunto dal Governo sudanese in ordine al rilascio dei necessari visti d'ingresso'.
'Ci auguriamo che, non essendo stato possibile finora dare corso all'impegno assunto meritevolmente dal nostro Governo con Unamid - auspica Italians for Darfur - le risorse destinate al Darfur non siano utilizzate diversamente. L'emergenza nella regione e nel Sud Sudan, dove la tensione in vista delle elezioni e del referendum per l'indipendenza e' sempre piu' alta, - conclude la nota - e' ancora pressante e il supporto del nostro Paese rimane fondamentale'. (ANSA).

SV 24-NOV-09 19:23 NNNN


MARCENARO, APPROVATO ODG PER SUPPORTO A UNAMID


(ANSA) - ROMA, 24 NOV - ''Nella seduta dell'11 novembre delleCommissioni riunite Difesa e Esteri il sottosegretario GiuseppeCossiga in merito alla partecipazione italiana alla missioneUnamid in Darfur, ha rilevato che essa non ha, di fatto, potutoaver corso a seguito dell'atteggiamento assunto dal Governosudanese in ordine al rilascio dei necessari visti d'ingresso''.Lo conferma il presidente della Commissione Diritti Umani, ilsenatore Pietro Marcenaro (Pd), in merito alla notizia dellamancata missione italiana in Sudan. ''In quella occasione e' stato approvato un ordine del giorno- prosegue Marcenaro - che impegnava il Governo a dare seguitoall'invio dei due elicotteri e della logistica necessaria per lamissione Unamid e a prestare particolare attenzioneall'evoluzione delle missioni internazionali in quell'area,prevedendo anche la possibile estensione della collaborazionemilitare italiana''. Inoltre, dice ancora Marcenaro, ''in merito a quelli che sonogli intendimenti del ministero della Difesa e del Governoitaliano nei confronti della crisi umanitaria in Darfur e dellasempre piu' pressante emergenza in Sud Sudan, ho presentato unamozione attraverso la quale, insieme ad altri colleghi,chiediamo un impegno del nostro Paese e un sostegnopolitico-diplomatico al processo di pace che mi auguro possariprendere al piu' presto e portare a una soluzione delconflitto e della crisi nella regione occidentale del Paese cherischia di aggravarsi ulteriormente visto che le 13 ong espulsea marzo scorso - conclude l'esponente Pd - non sono ancora stateriammesse in Sudan''. (ANSA).

SV24-NOV-09 20:10 NNNN

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Orrore senza fine in Darfur

Appello contro la pena di morte per sei bambini
mentre in Darfur la guerra riprende con violenza


Khartoum boicotta la missione di pace: in un attacco feriti cinque caschi blu

Sono passati pochi mesi da quando denunciammo il tentativo maldestro di voler ridimensionare il conflitto in Darfur definendolo ‘una guerra finita, ridotta a un profilo di bassa intensità’. Oggi la notizia di un nuovo scontro, solo l’ultimo di una lunga serie dall'inizio del dispiegamento nel gennaio 2008 di Unamid, che conta attualmente 18mila tra soldati e poliziotti sul campo a fronte dei 26mila previsti. Per fortuna questa volta non ci sono state vittime ma cinque caschi blu sono rimasti feriti.
Ma l’orrore non impregna solo il ‘cuore’ della regione orientale del Paese. Nei giorni scorsi, nella capitale Khartoum, sei minorenni – di età compresa tra gli 11 e i 16 anni - sono stati condannati a morte per aver partecipato nel 2008 all’assalto dei ribelli del Jem contro l’esercito del Sudan.
Durissime le proteste delle Nazioni Unite che attraverso il rappresentante del Segretario Generale per i bambini nei conflitti armati, Radhika Coomaraswamy, ha espresso sconcerto per questa assurda decisione del tribunale sudanese.
Al Palazzo di vetro sono, nel frattempo, alle prese con una imbarazzante retromarcia. I vertici Onu. corsi ai ripari per rimediare al clamoroso autogol delle dichiarazioni dell’ex comandante di Unamid, Rodolphe Adada (quello della ‘guerra finita’), hanno deciso di nominare un nuovo capo missione: Ibrahim Gambari, ex ministro degli esteri nigeriano e già inviato speciale dell’Onu in Birmania. La notizia dovrebbe essere ufficializzata a breve.
Tutto questo avviene alla vigilia delle elezioni generali in Sudan, verso cui si sperava di avviarsi con una consapevolezza diversa: la disponibilità del governo sudanese a confrontarsi con tutti i partiti affinché si svolgessero le prime elezioni ‘libere’ dopo ventiquattro anni. Ma questa speranza si è presto infranta.
Nelle scorse settimane è stato infatti deciso l’ennesimo slittamento della data del voto. E la tensione nel Paese è sempre più alta. A causa di scontri avvenuti in due villaggi Dinka nella zona di Bulok, contea di Awerial, sono morte una cinquantina di persone e almeno venti sono rimaste ferite. Ad attaccarli un gruppo armato dell'etnia Mundari che si contrappone ai dinka per il controllo del territorio. Solo poche ore prima era scampato a un attentato il ministro dell'Agricoltura, Samson Kwaje, che ha riportato ferite gravi mentre sei uomini della sua scorta sono stati trucidati.
L’escalation di violenza sta compromettendo il processo elettorale avviato con la costituzione di un’apposita commissione voluta dai vertici del regime.
I rappresentanti delle diverse forze, durante il primo incontro, avevano sollevato rilievi e chiesto chiarimenti per accertare il corretto andamento dei preparativi in vista dell’Election day (si vota per i governi nazionale, regionali e locali), in particolare delle procedure per l’istituzione del registro elettorale che hanno preso il via all'inizio di novembre. Per questo la data delle elezioni era slittata dal 5 all'11 aprile 2010.
Intanto l'Onu, già critico nei confronti del Sudan per l’ostruzionismo interno, lo accusa di continuare a boicottare la missione di pace in Darfur.
Il governo sudanese, nel solo 2009, ha bloccato le operazioni delle pattuglie di peacekeeping nella regione occidentale del Paese in ben 42 occasioni.
Lo ha riferito il Segretario Generale Ban ki Moon relazionando alle Nazioni Unite sullo stato della forza congiunta ONU-Unione Africana, dispiegata in Darfur dal 2007 attraverso la risoluzione 1769 approvata all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza.
Il contingente, a causa dei rallentamenti e della scarsa collaborazione da parte di Paesi che avrebbero dovuto fornire un contributo alla missione, non è mai stato pienamente schierato. Ban ki Moon ha sottolineato la grave responsabilità del governo sudanese nel perseguire l'ostruzionismo attuato per ostacolare lo svolgimento del compito di controllo e di sicurezza dell'Unamid con continue intimidazioni, come sorvoli di elicotteri militari, spari e rallentamenti nelle procedure burocratiche (basti pensare alla mancata partenza della delegazione italiana che doveva supportare lo schieramento delle truppe perché non sono mai stati forniti i viti necessari).
Gli episodi, documentati, sono numerosi. Nel frattempo le condizioni di sicurezza dei peacekeepers, nel mezzo di sempre più frequenti scontri tra etnie in Darfur e la ripresa delle ostilità tra fazioni politiche contrapposte con l'approssimarsi delle elezioni, peggiorano di giorno in giorno. L'Onu ritiene fondato il timore di una nuova e più cruenta guerra nella regione. E gli episodi delle ultime ore lo confermano.
Ban Ki-moon ha parlato chiaramente di 'aumento del rischio di un nuovo conflitto' e ha 'esortato' il Sudan a dare un freno alle azioni tese a impedire lo svolgimento del mandato di Unamid.
Ma la risposta del Sudan, attraverso l'ambasciatore alle Nazioni Unite Abdalmahmoud Abdalhaleem, non è stata delle più cordiali e disponibili. L'esponente del regime ha criticato la relazione e ha ribadito che 'la guerra in Darfur è finita' e che 'in vista della pace, le Nazioni Unite dovrebbero, in coordinamento con l'Unione africana e il governo sudanese, pensare a un exit strategy dal Darfur".
Se i presupposti sono questi, il clima politico – diplomatico tra Khartoum e comunità internazionale non potrà che arroventarsi. Soprattutto se l’appello a sospendere la pena di morte per i sei minori avanzato dalle organizzazioni umanitarie impegnate nella difesa dei diritti umani, tra cui Italians for Darfur.

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martedì, novembre 24, 2009

ONU: il Sudan ha posto serie restrizioni all'operatività di UNAMID

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban ki Moon ha riferito lunedì scorso sullo stato della missione congiunta ONU-Unione Africana, approvata nel 2007 con la risoluzione 1769 del Consiglio di Sicurezza, ma mai pienamente dispiegatasi in Darfur: conta, infatti, circa 20.000 militari contro i 26.000 previsti.
Ban ki Moon ha sottolineato la grave responsabilità del governo sudanese nell aver ostacolato lo svolgimento del compito di controllo e sicurezza del contingente con intimidazioni, come sorvoli di elicotteri militari e spari,e rallentamenti nelle procedure burocratiche.
Gli episodi, documentati, sono numerosi.
Nel frattempo peggiorano anche le condizioni di sicurezza dei peacekeepers, nel mezzo di sempre più frequenti scontri tra etnie e fazioni diverse, rivalità riaccesesi con l approssimarsi delle elezioni presidenziali dell'Aprile 2010. Ora si teme una nuova ripresa delle ostilità anche tra governativi e ribelli.

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giovedì, novembre 19, 2009

50 morti e venti feriti nel Sud Sudan e in Darfur negli ultimi giorni

Dopo l'attentato di poco sventato al vicepresidente del Sud Sudan, domenica scorsa, in cui sono morti 4 uomini della scorta e feriti altri 5, altre 50 persone sono state uccise e una ventina ferite nel sud del Sudan e nel Darfur negli ultimi giorni. 47 persone sono morte negli scontri tra le tribu' Mundari e Dinka. Altre sei persone sono morte in scontri tra le tribu' Rizaiqat e Habbanyah nel distretto di Buram nel Darfur del sud.
L'incrementarsi del numero degli scontri tribali e degli episodi di violenza in Darfur e Sud Sudan fa temere ci possa essere un legame con le elezioni dell'aprile 2010, le prime dopo 24 anni, alle quali seguiranno le consultazioni per il referendum sull'indipendenza del Sud Sudan.

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martedì, novembre 17, 2009

Videoclip "Io bloggo per il Darfur" di Emilio Caccaman con suoni di Anthony Kev (C) TRASHCOMIX

STOPPA IL GENOCIDIO IN DARFUR - Emilio Caccaman
suoni ANTHONY KEV (C) TRASHCOMIX


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domenica, novembre 08, 2009

Sudan a un bivio: referendum o guerra?

Il Sud Sudan tra autodeterminazione e armi


da Limes - rivista italiana di geopolitica


Nel 2001 è previsto il voto sul futuro del Sudan meridionale, ma ci sono ancora molti nodi da sciogliere. La nuova politica di Obama.
La notizia è passata quasi in silenzio. Cosa che capita spesso quando si parla di Sudan. Il 16 ottobre, dopo lunghe trattative e qualche cedimento da entrambe le parti, Sud Sudan e governo centrale hanno raggiunto l’accordo sul referendum per l’indipendenza della regione meridionale del paese, che dovrebbe tenersi nel 2011. Il punto più importante, la determinazione del quorum fissato al 75% degli aventi diritto ad esprimersi sul quesito.

Con la definizione delle regole del voto si è scongiurata la ripresa palese delle ostilità tra Khartoum e Sudan People’s Liberation Movement (principale movimento politico-militare del Sud Sudan) che dall’83 hanno combattuto una guerra ultra ventennale che ha causato 2 milioni di morti ed oltre 4 milioni di rifugiati.

Mentre il National Congress Party del presidente Omar al Bashir fa affidamento sulle elezioni generali (slittate di un anno rispetto alla tabella di marcia del Comprehensive Peace Agreement, che sancì la fine al conflitto nel 2005 nda) per legittimare il proprio potere e quello del candidato unico, Bashir appunto (nonostante su di lui penda un mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati in Darfur), l’Splm si concentra sul referendum che dovrebbe determinare la separazione tra Sud e Nord Sudan.
I nodi da sciogliere risultano alquanto intricati, come delinea chiaramente Sadig al Mahdi, ex primo ministro e presidente dell’Umma Party. In primis il varo della legge sulla sicurezza nazionale e la contestazione dei dati dell’ultima relazione demografica del governo sudanese.

“Servono regole e metodi che garantiscano un democratico e libero confronto fra le forze politiche – sottolinea Sadiq, seduto su una comoda poltrona di vimini nel gazebo del giardino della sua villa nella periferia di Khartoum.
Nella sua ‘candida’ jalabia, la tipica tunica bianca sudanese, spiega perché l’accordo non delinei chiaramente "come utilizzare i risultati del censimento nazionale del 2008, dati contestati dal Sud perché la popolazione sarebbe stata sottostimata. Se il Cpa rischia di arenarsi è anche a causa della sfiducia crescente tra le parti. Ma il punto è un altro: così com’è strutturato, l’Accordo - insiste Sadiq - non attribuisce alcun ruolo ai partiti minori che non lo hanno firmato e garantirebbe esclusivamente il Sud Sudan, senza tenere conto di altre aree, come l’Est del Paese e il Darfur, penalizzate allo stesso modo.
Per rilanciare il processo di attuazione dell’Accordo è necessario ampliare il confronto sul futuro del Paese. Costituire un’assemblea con tutte le formazioni politiche, comprese quelle dell’opposizione, che abbia il sostegno della Comunità Internazionale che rilancia le riforme in Sudan e garantisca la transizione democratica su basi più ampie e condivise, dando vita a un vero decentramento a vantaggio di tutte le aree finora marginalizzate”.

Ancora più netta la posizione di Hassan Al Turabi, leader del maggiore partito di opposizione del Sudan, il Popular congress party, più volte arrestato per gli aspri attacchi politici rivolti a Bashir.
“Non ho alcuna fiducia nel processo elettorale che dovrebbe portare alle presidenziali e alle legislative del 2010, tanto meno nel referendum – afferma sicuro circondato dalla sua corte di consiglieri e addetti alla sicurezza che per discrezione vengono presentati come ‘colleghi di partito’ – E’ tutto fermo e non credo che le urne saranno mai aperte. Dopo la firma del Cpa il governo sudanese non ha fatto nulla per preservare l’unità del Paese. Anzi. Ha alimentato le tendenze secessioniste dell’Splm che, però, non credo sia capace di governare un Sud Sudan totalmente indipendente. Bashir conta su questo e se può rallentare il processo elettorale e referendario lo farà”.

Su quest’ultimo punto anche gli osservatori esterni hanno qualche dubbio: non sono in pochi a ritenere che il regime sudanese possa attuare un subdolo ostruzionismo per far slittare la data del referendum. Cosa che di fatto decreterebbe la fine dell’Accordo e potrebbe riaccendere il conflitto. Eppure gli ultimi avvenimenti farebbero pensare il contrario. E Khartoum lo rivendica con decisione. Esponenti di spicco del governo, negli incontri con gli inviati della diplomazia internazionale. anche nelle ultime settimane hanno espresso valutazioni positive sulle prospettive di piena attuazione del Cpa.
Dal ministero degli Esteri hanno più volte fatto filtrare la convinzione che “le questioni in sospeso possano essere risolte dalle parti entro la fine dell’anno”.

Osman Hussein Mudawi, responsabile delle Relazioni internazionali del Parlamento, si spinge oltre sottolineando come “lo svolgimento delle elezioni e del referendum sia un obbligo costituzionale e malgrado oggettive difficoltà di carattere logistico-operativo il Governo sudanese stia profondendo il massimo impegno affinché sia garantito un processo elettorale il più ‘inclusivo’ e democratico possibile”. Eppure, nonostante le rassicurazioni di Khartoum, lo scetticismo di esperti e analisti resta forte. Per comprenderne i motivi è necessario fare un passo indietro e capire cosa sia successo negli ultimi quattro anni e quali prospettive (reali) abbia la totale attuazione del Cpa.

“Con l’Accordo Globale di Pace sottoscritto a Nairobi il 9 gennaio 2005 dal Governo di Khartoum e dall’Splm – spiega Mauro Annarumma, vice presidente di Italians for Darfur, l’associazione italiana che da anni si batte per la difesa dei diritti umani in Sudan e Darfur e che ha recentemente partecipato a una missione nel paese subsahariano con l’Intergruppo parlamentare Italia – Darfur - furono tracciati nuovi parametri della distribuzione del potere politico ed economico nel Paese, garantiti dalla nascita di un Governo semi-autonomo del Sud Sudan con capitale Juba. Fu stabilito che il presidente designato assumesse anche la carica di Primo vice presidente del Sudan (il primo a ricoprire questo ruolo fu John Garang, morto in un sospetto incidente di elicottero in Uganda, al quale successe Salva Kiir che è tuttora in carica nda). Punti fondamentali dell’accordo, la suddivisione al 50% dei proventi petroliferi dei pozzi sud sudanesi, la definizione dei confini e il ‘diritto di autodeterminazione del Sud’ attraverso un referendum previsto per la fine di un periodo interinale di cinque anni. Il 2011. Ed è proprio il rischio che questo termine ultimo non venga rispettato a suscitare la preoccupazione della Comunità Internazionale”.

In questo contesto geopolitico è maturata e ha preso corpo nelle ultime settimane la nuova policy, nei confronti del Sudan, dell’amministrazione Obama fatta di ‘incentivi e disincentivi’, la classica politica ‘del bastone e della carota’.
Obiettivo degli States: accelerare l’attuazione dell’Accordo e convincere Khartoum a sospendere attacchi e azioni che violino i diritti umani sia in Sud Sudan sia in Darfur, utilizzando per quest’ultima area di crisi il termine ‘genocidio’.
Sull’annuncio della nuova strategia americana si sono animate non poche polemiche e l’atteggiamento del governo sudanese è stato alquanto freddo, infastidito soprattutto dalla definizione, assai sgradita, usata da Obama.
Dal regime sono arrivati velati avvertimenti su come “assumendo atteggiamenti punitivi nei confronti del Sudan, come sanzioni e mancata cancellazione del debito, si metterebbero a rischio sia la riconciliazione in Darfur sia lo sviluppo di altre aree depresse del Paese come l’Est Sudan”.

Nonostante le criticità siano numerose, l’elemento più preoccupante resta l’instabilità dell’accordo di pace, in bilico fino a quando non sarà attuata una precisa e incontestabile definizione e delimitazione dei confini tra Nord e Sud Sudan, fondamentale per potere dare attuazione agli altri punti del Comprehensive Peace Agreement.
Tra le aree contese Abyei, ricca di petrolio e posta proprio al confine tra Nord e Sud (attualmente ha uno status amministrativo autonomo) e Sud Kordofan.
Il referendum per l’autodeterminazione del Sudan meridionale, nel 2011, sarà l’occasione per Abyei di pronunciarsi sul mantenimento del proprio status speciale rimanendo nel Nord o sulla sua inclusione nel Sud.
Le tensioni nell’area non mancano essendo abitata sia dagli autoctoni Dinka, etnia vicina all’Splm, sia da gruppi nomadi, in particolare Misseriya e Nuer, filogovernativi. Proprio a causa delle divergenze etniche, ma anche per ll controllo di acqua e terra destinata alle attività agricole e pastorali, si sono susseguiti negli ultimi mesi violenti scontri (il più grave poche settimane fa, oltre 400 vittime in poche ore) che non hanno risparmiato donne e bambini.
Per cercare di dare un freno alle violenze nella regione nel giugno 2008 i governi di Khartoum e Juba hanno delineato una road map per la risoluzione dei problemi dell’area. Ma tale iniziativa non ha sortito gli effetti sperati.
Le speranze, ora, sono affidate al protocollo proposto dalla Corte Permanete di Arbitrato dell’Aja, che investita della questione ha determinato la posizione dei campi petroliferi in Sud Kordofan (dove nel frattempo è stato nominato governatore Ahmed Harun, ex ministro per gli Affari umanitari del gabinetto di Bashir, anch’egli incriminato dal Tribunale penale internazionale di crimini di guerra e contro l’umanità) e ha parzialmente ridefinito, lo scorso 22 luglio, i confini dell’area di Abyei, aumentando le zone attribuite al Nord. La decisione è stata accettata dalle parti politiche, ma non ha placato il malcontento della popolazione locale.

La situazione, dunque, è tutt’altro che sotto controllo. E poco o nulla può fare la missione di pace dell’Onu, Unmis (United Nation Mission in the Sudan), istituita con la Risoluzione 1590 del 24 marzo 2005 (8.400 soldati e 680 poliziotti) per sostenere l’assistenza umanitaria e garantire il rispetto dei diritti umani.
Lo stato della crisi, visto il costante deterioramento delle condizioni umanitarie e di sicurezza, desta grandi preoccupazioni in tutta la comunità internazionale. Dall’inizio dell’anno i morti sarebbero circa 3mila.

E il contesto non può che peggiorare. Continua infatti a registrarsi un flusso di carichi di armi che, attraverso Port Sudan, arrivano nelle mani dei militari dell’Splm. E’ di pochi mesi fa la notizia del sequestro, ad opera dei pirati somali, della nave cargo ucraina ‘MV Faina’ che trasportava 33 carri armati, 150 lanciarazzi e 6 sistemi missilistici antiaerei destinati al Sudan meridionale. I marinai a bordo dell’imbarcazione hanno dichiarato e mostrato la bolla merci e il contratto relativo al carico a un giornalista della Bbc che ha documentato tutto in un’inchiesta smentita sia dal governo di Juba, sia dal Kenya che avrebbe effettuato l’acquisto per conto del Sud Sudan. Secondo la Bbc i carri armati e il resto del materiale, dissequestrati a seguito del pagamento di un riscatto, erano parte di una lunga serie di carichi bellici destinati a riarmare (clandestinamente visto che in Sudan è in vigore l’embargo della vendita di armi) l’esercito di Juba.
Insomma, nel caso che il referendum non avesse mai luogo, l’esercito sudsudanese sarebbe pronto a conquistarsi con la forza l’indipendenza negata.

Antonella Napoli

Gruppo Espresso, 6 novembre 2009

sabato, novembre 07, 2009

Il dottor Ibrahim ci racconta il Darfur visto dalle corsie dell'ospedale di El Fasher.

Dal 2003, migliaia di persone continuano a perdere la vita a causa di malattie, fame e sete, conseguenti ai frequenti scontri armati tra ribelli e forze governative che hanno caratterizzato gli ultimi anni.
Questa volta abbiamo voluto raggiungere direttamente il Dott. Ibrahim Abdelrahman Ahmed, medico del Darfur. In Darfur, il Dott. Ibrahim è sposato e ha un figlio, e ha lavorato come medico presso l’El Fashir Teaching Hospital, al centro di maternità dell’ospedale di El Fashir, nonché nelle cliniche dell’International Rescue Committee (IRC) che forniscono assistenza medica ai profughi di diversi campi del Nord Darfur.

M:Dott. Ibrahim di cosa si occupa all’ospedale di El Fasher?
Attualmente lavoro al pronto soccorso delle cliniche universitarie di El Fasher, mi occupo di emergenze cliniche e pediatriche in qualità di medico generico.
Ho a che fare con diversi tipi di casi di medicina generale, chirurgici e traumatici. Le malattie più comuni sono la malaria, la febbre tifoide, le malattie del tratto respiratorio, le epatiti virali, malattie gastrointestinali di varia eziologia, tubercolosi, malnutrizione in bambini sotto i cinque anni, diabete, ipertensione, infarti. insufficienza renale e tante altre.
Le più comuni tra le cause di accesso alla struttura sono appendicite acuta, colecistite acuta e cronica, fratture, e ferite da arma da fuoco e da taglio.
M:Sulla base della tua esperienza, al Saudi Maternity Hospital e al Teaching Hospital di El Fasher, quali sono le patologie più frequentemente causa di mortalità nella popolazione del Nord Darfur e che richiedono maggiore assistenza?
La causa più importante di morbilità e mortalità nel Nord Darfur sono le infezioni sistemiche, seguite dalle ferite di guerra. E’ importante un’appropriata e tempestiva pianificazione del trattamento per i casi di aborto, ma anche assistenza pre e post-natale clinica e farmacologica.
La malaria in gravidanza è uno dei problemi più gravi.
Le cause principali di morte delle gestanti sono:
-Emorragie massive legate alla gravidanza;
-Eclampsia e preeclampsia;
-Sepsi.
Nel corso della mia attività al Teaching Hospital di El Fasher, ho riscontrato un’elevata casistica per quanto riguarda malaria, dissenteria, epatiti, meningiti, febbre tifoide, tubercolosi, leishmaniosi, pneumonia, ma anche malnutrizione infantile e ferite e traumi da armi da fuoco o da taglio.
Al Saudi Maternity Hospital i casi più frequenti riguardavano invece quelli di malaria in corso di gravidanza, aborti spontanei in urgenza, ipertensione e rischi correlati in gravidanza, fistole vescicovaginali e retto vaginali legate al travaglio difficile.
M: L’accesso alle cure e ai servizi ospedalieri è garantito a tutta la popolazione del Darfur? Il personale sanitario proviene da tutto il Sudan o origina prevalentemente dal Darfur?
L’assistenza ospedaliera è per tutti gli abitanti della città così come per quelli che affluiscono dai centri di assistenza dei campi profughi dell’area.
Per quanto riguarda il personale, i medici vengono selezionati dal Ministero federale della salute da tutte le parti del Sudan, e in considerazione della loro ridotta disponibilità, un considerevole numero di essi proviene comunque dallo stesso Darfur. Infermieri, levatrici e altre figure professionali sono Darfuri. Diversi tecnici di laboratorio giungono da altre parti del Sudan.
M: Pochi mesi fa, hai frequentato con successo il master “Doctors for Africa” del Centro Universitario per Cooperazione Internazionale di Parma.
Crediamo che la collaborazione tra Europa e Africa debba fondarsi proprio sulla formazione tecnica del personale già impiegato in Africa, come medici e infermieri, attraverso corsi intensivi che abbiano un impatto sulla realtà dello Stato da cui provengono.
Crediamo, quindi, che il master “Doctors for Africa” sia un meraviglioso esempio di cooperazione.
Nessuno può aiutare l’Africa meglio di se stessa, ma spesso gli africani non sono liberi abbastanza per poterlo fare. Cosa ne pensi?
Quello che dici è verissimo, come ho potuto vedere c’è una differenza enorme tra Europa e Africa nella disponibilità di medici specialisti (per esempio specialisti in cardiologia, malattie infettive, endocrinologia, nefrologia, gastroenterologia, pneumologia etc..). Noi abbiamo essenzialmente medici di medicina generale, chirurgia generale e pediatria. Non c’è un solo specialista medico o chirurgico in tutto il Nord Darfur.
Per esempio, dal mio punto di vista, i corsi sono buoni ma sarebbe meglio concentrarsi su esercitazioni mediche di tipo specialistico per incisivi cambiamenti sul terreno. So che tu puoi capirmi in quanto medico. Non c’è un solo medico o chirurgo specialista in tutto il Nord Darfur.
Il master è stata una buona esperienza.
Quello che stai dicendo è verissimo. Gli africani giocano un grande ruolo a questo proposito ma, come sai, dipende principalmente da chi dirige la politica e l’economia.
M: I mezzi di informazione e le organizzazioni umanitarie hanno promosso a livello internazionale campagne sulle problematiche del Darfur, dovute alla guerra tra ribelli e governo sudanese in corso dal 2003 e che ha ucciso migliaia di civili.
Come sono le condizioni della popolazione in questo periodo? Quali sono le principali preoccupazioni a carattere sanitario per i prossimi mesi?
Come hai detto non c’è ancora pace in Darfur. Ci sono molti campi profughi, rifugiati in Chad e persone ferrite o traumatizzate dalla guerra, tutte queste persone hanno perso le loro risorse e dipendono dagli aiuti internazionali. In generale le criticità di tipo sanitario per i prossimi mesi restano le stesse di ora. Tuttavia, così come la sicurezza è frequentemente incerta è veramente difficile predire cosa possa accadere.
M: E per finire, last but not least.. hai gradito il tuo soggiorno in Italia?
Certamente è stato interessante. Ho molti buoni amici lì.
M:Grazie mille, Dr. Ahmed Ibrahim e buon lavoro!

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L'attivista Abdelmageed Salih, in cella da 73 giorni

Sono trascorsi 73 giorni dall'arresto dell'attivista per i diritti umani Abdelmageed Salih. Il co-fondatore del Darfur Democratic Forum era detenuto nel braccio politico del carcere di Kobar, rendendone in tal modo impossibile la visita di parenti e colleghi, fino a pochi giorni fa, quando è stato trasferito nella prigione con i criminali comuni.

Link: Abdelmageed Salih, attivista darfuriano, in carcere per aver denunciato stupri

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