Il blog di Italians for Darfur

sabato, maggio 22, 2010

Onu, la guerra in Darfur è più cruenta che mai

Relazione sulla situazione nella regione sudanese al Consiglio di sicurezza
Gambari: "In corso scontri tra governo e ribelli. Si continua a morire"


“Nonostante alcuni progressi nella martoriata regione sudanese del Darfur, gli scontri violenti tra forze governative e ribelli persistono, i civili continuano a morire o a fuggire dai propri villaggi per trovare rifugio nei campi profughi e le organizzazioni umanitarie continuano a essere bersaglio di gruppi criminali che assaltano le loro sedi e i loro convogli e rapiscono gli operatori”.
Questa, in sintesi, la situazione illustratata giovedì 20 maggio dal capo missione Unamid, Ibrahim Gambari al Consiglio di sicurezza dell’Onu in occasione dell’ultima relazione sulla regione sudanese dove sette anni di conflitto hanno causato la morte di almeno 300.000 persone e costretto 2.700.000 a lasciare le loro case.
“Benché sul fronte sicurezza e protezione dei civili alcuni progressi siano stati compiuti, permangono considerevoli sacche di instabilità” ha dichiarato il Force Commander in Darfur. Altro che ‘conflitto a bassa intensità’, definizione usata dal predecessore di Gambari, il generale Martin Luther Agwai, lasciando l’incarico di comandante dell’Unamid meno di un anno fa. Tanto meno si può parlare di ‘guerra finita’, come annunciato dal presidente del Sudan Omas Hassan al Bashir che subito dopo la firma dell’accordo di massima per il ‘cessate il fuoco’ con il Jem del 24 febbraio scorso aveva dichiarato: “Il Darfur è ora in pace!”.
Ma la situazione, ad oggi, è ben diversa: lo dicono i fatti e gli osservatori internazionali nella regione.
“Il Processo di pacificazione a cui Unamid, sotto la guida del mediatore in Qatar, ha fornito un importante supporto, negli ultimi mesi è progredito ma rimane un profondo senso di sfiducia” ha aggiunto Gambari riferendosi ai colloqui UN-AU in corso a Doha fra il governo e vari gruppi ribelli.
Il pessimismo dell’inviato Onu, che nella sua relazione ha citato gli accordi quadro firmati tra il governo, il Movimento Giustizia e Uguaglianza (Jem) e il Movimento di liberazione e giustizia (lJm) - una coalizione di due gruppi minori che si sono uniti per avere maggiore peso nei colloqui di pace - scaturisce dalla mancata firma dell’accordo di pace vero e proprio, prevista il 15 marzo 2010 e che non è stata mai apposta.
Il Jem, infatti, ha sospeso la sua partecipazione al tavolo delle trattative di Doha all’inizio di questo mese a causa delle violazioni del ‘cessate il fuoco’ da parte dell’esercito sudanese e ha attaccato alcune sedi del Governo e diversi convogli di autocarri commerciali e militari scatenando la reazione di Khartoum che nel giro di pochi giorni ha causato la morte di 108 guerriglieri.
Gambari ha anche segnalato la ripresa (ad dire il vero non si erano mai fermati…) dei combattimenti tra le forze governative e un altro gruppo ribelle, la fazione Abdul Wahid del Sudan Liberation Army (SLA), nonché gli scontri tra le tribù del Sud Darfur.
“Questi conflitti hanno causato notevoli perdite civili, lo sfollamento di varie comunità dell’area di Jebel Marra, e impedito la fornitura di aiuti alimentari e assistenza umanitaria”, ha sottolineato Gambari, invitando tutte le parti a facilitare l’accesso dei peacekeeper di Unamid e le Organizzazioni non governative ai siti dove si sono verificati i recenti combattimenti.
“In questo contesto, è con grande preoccupazione che evidenzio l’elevato rischio a cui è esposto il personale umanitario delle Nazioni Unite che continua ad essere bersaglio di attacchi e atti criminali” ha aggiunto, citando i numerosi attacchi contro la forza di pace, i rapimenti e i furti di auto e di altro materiale in dotazione alla missione.
“Per contrastare futuri episodi di aggressione – ha dovuto ammettere il comandante di Unamid - ho dato istruzioni alle nostre truppe e al contingente di polizia di rispondere con maggiore intensità agli attacchi. Ho anche chiarito, sia agli esponenti del governo sia al fronte di opposizione a Khartoum. che tali attacchi costituiscono crimini di guerra”.
In un comunicato ufficiale, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha deplorato proprio ieri
il potenziamento militare registrato da entrambe le parti in conflitto e i numerosi scontri delle ultime settimane e ha esortato tutti a rispettare il cessate il fuoco e a tornare al tavolo dei negoziati a Doha.
Nel suo rapporto sulla missione Gambari ha anche osservato che nonostante Unamid sia quasi interamente dispiegata, mancano gli equipaggiamenti ‘cruciali’ per accrescere la capacità delle sue unità militari e di polizia.
Il contingente della missione ha raggiunto quasi le 22 mila unità, mancano quindi solo 4mila uomini per arrivare ai 26mila ‘caschi blu’ previsti dalla risoluzione che due anni fa ha autorizzato la forza di pace.
Se gi elicotteri tattici sono arrivati, mancano ancora quelli per la perlustrazione a largo raggio, fondamentali per l’efficacia dell’operato del contingente in un'area vasta quattro volte l'Italia.
Il comandamte di Unamid ha anche evidenziato l’importanza di creare un ambiente idoneo per il ritorno volontario degli sfollati nei campi profughi e dei rifugiati alle loro case spiegando che il ‘mantenimento’ di circa 2,3 milioni di persone nei campi di sfollati nel Darfur costituisca una bomba ad orologeria, come esperienze in altri paesi che hanno vissuto lunghi conflitti, vedi Libano e Gaza, hanno tragicamente dimostrato.
A margine della relazione al Consiglio di Sicurezza Gambari, incontrando i giornalisti, ha ribadito la necessità che gli abitanti del Darfur godano dei vantaggi e dei ‘dividendi’ sanciti dagli accordi di pace affinché possa partire la ricostruzione e lo sviluppo della loro terra, martoriata da troppo tempo da una guerra che, per il momento, sembra ancora lontana da una vera e duratura fine.