Il blog di Italians for Darfur

martedì, agosto 31, 2010

Rilasciati i tre piloti russi sequestrati in Darfur

Sono stati liberati i tre piloti russi sequestrati domenica a Nyala, in Darfur. Lo ha annunciato un portavocedell'esercito sudanese.
"I tre piloti russi sono stati rilasciati ieri sera", ha affermato Sawarmi Khaled Saad, precisando che sonostati liberati dopo delle trattative con i rapitori.
I piloti, che lavorano per la compagnia aerea sudanese privata Badr, erano stati sequestrati domenica.
Secondo fonti ufficiali russe, si tratta del capitano e di "due membri dell'equipaggio dell'elicottero Mi-8 della compagnia Badr Airlines, che trasportava derrate alimentari per la missione dell'Onu nelDarfur". Quello dei tre russi è stato il secondo sequestro di cittadinistranieri in Darfur in meno di 15 giorni.
Il 14 agosto eranostati rapiti due poliziotti giordani del contingente di peacekeeper Onu-Unione Africana (Minuad), poi rilasciati dopo qualche giorno.

Campagna "Sudan365 - A beat for peace"

Cinque mesi per scongiurare una nuova guerra civile:
sosteniamo il referendum per l'indipendenza del Sud

A meno di cinque mesi dal referendum per l'indipendenza del Sud Sudan, la tensione nel Paese è sempre più alta e il rischio che la situazione precipiti è sempre più alto. Mentre continuano le vessazioni e l'isolamento di 83mila profughi nel campo di Kalma, il più grande dell'area di Nyala (capitale del Sud Darfur), nei dintorni di Kass poco più a Nord si sono verificati scontri tra Rizeigat e Misseriya: un centinaio le vittime e altrettanti feriti il bilancio dell'ultima battaglia. Il conflitto tra le due tribù è ripreso la scorsa settimana dopo quasi due mesi di relativa calma, a seguito di un accordo di riconciliazione firmato dalle parti a fine giugno. Tutto ciò a fronte di una situazione umanitaria al tracollo e all'ostruzionismo del governo sudanese nei confronti delle operazioni di aiuto, sia delle Nazioni Unite sia delle Organizzazioni non governative impegnate nella regione. E' di pochi giorni fa l'annuncio dell'espulsione, senza un motivo dichiarato, dei direttori locali del Comitato Internazionale della Croce Rossa (Cicr) e della Fao e di due funzionari dell'Alto Commissariato per i Rifugiati (Unhcr) dalla capitale Occidentale del Darfur, Geneina. Secondo il quotidiano sudanese indipendente Al Sahafa, la decisione sarebbe stata assunta sulla base dei 'suggerimenti' del presidente sudanese, Omar al Bashir, ai governatori delle province del Darfur di allontanare tutti gli operatori umanitari stranieri 'colpevoli' di aver violato gli accordi che regolamentano le attività di cooperazione. Già nel marzo 2009, pochi giorni dopo l'emissione del mandato di arresto della Corte penale internazionale a carico di Bashir, per crimini di guerra e contro l'umanità, erano state cacciate dalla regione 13 ong responsabili, secondo il regime, di aver cooperato con la CPI fornendo false informazioni sulle violenze perpetrate in Darfur. A distanza di un anno, a seguito dell'implementazione delle accuse alle quali si è aggiunto anche il genocidio, è scattata la nuova azione ritorsiva del presidente sudanese. Nel frattempo, la sofferenza umana in Darfur è più acuta che mai. Si stima che circa 4,7 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari, di cui oltre 2,6 milioni ospitate nei campi profughi. Il vuoto lasciato dai cooperanti espulsi ha contribuito all'aumento dei livelli di malnutrizione, soprattutto nelle zone rurali, dove l'assistenza alla popolazione si estendeva al di là delle aree sotto la protezione della missione congiunta di peacekeeping delle Nazioni Unite e dell'Unione africana. Il continuo susseguirsi di rapimenti ha inoltre costretto molte agenzie a ridimensionare la loro presenza al di fuori delle grandi città mentre i Caschi blu, anch'essi spesso vittime di attacchi e sequestri, non riescono a garantire il controllo delle aree più interne dove sono in corso scontri tra gruppi ribelli e forze armate sudanesi. Se la crisi umanitaria in Darfur resta gravissima, nel Sudan meridionale la situazione non appare molto diversa. E l'avvicinarsi del referendum fa crescere i timori degli osservatori internazionali che ritengono possibile il riaccendersi del conflitto civile se venisse boicottato l'imminente appuntamento elettorale, condizione inderogabile dell'Accordo di pace del 2005 che sancì la fine dell'ultra ventennale guerra tra Nord e Su. Per scongiurare la ripresa della violenza, una coalizione di 25 organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani ha avviato una serie di iniziative per tenere alta l'attenzione della comunità internazionale sul Sudan. La campagna Sudan365, di cui è promotrice anche "Italians for Darfur", è culminata con la presentazione di un dettagliato rapporto sulla situazione nel Paese. Gli attivisti, dall'Africa al Medio Oriente e dall'Europa agli Stati Uniti, chiedono un'azione urgente per prevenire irregolarità e abusi dei diritti umani in occasione del voto che potrebbe determinare la scissione del Sud Sudan da Khartoum.Il dossier evidenzia quanto denunciato dal Sudan People's Liberation Movement (SPLM), ovvero che sarebbe in atto un tentativo di far deragliare, a meno che la commissione elettorale non risolva in tempi molto rapidi una controversia interna, quello che potrebbe essere il più importante appuntamento nella storia moderna del più grande Stato africano.In contemporanea al referendum sull'indipendenza del Sud anche Abyei, area ricca di giacimenti di petrolio attualmente sotto il controllo di Khartoum, sarà chiamata a decidere se unirsi o meno al Sudan meridionale.Gli analisti del dossier sostengono che a poco più di 5 mesi dal 9 gennaio 2011, data in cui sono previsti i referendum, il periodo che precede il voto e l'esito delle consultazioni debba essere gestito con estrema attenzione. Ed è per questo che, secondo la coalizione promotrice della campagna per il mantenimento degli impegni di pace, i paesi Garanti del Comprehensive peace agreement - tra cui l'Italia - abbiano la responsabilità e la capacità di supportare il Sudan nell'attuazione del CPA, prevenendo potenziali conflitti futuri e favorendo il raggiungimento di patti inerenti temi sensibili quali la demarcazione dei confini e lo sfruttamento delle risorse petrolifere. La speranza degli osservatori internazionali e degli attivisti è che l'esperienza fallimentare degli ultimi anni, che ha dimostrato quanto possa essere dannoso concentrarsi su una sola parte del Sudan a discapito di un'altra, scoraggi coloro che vorrebbero continuare a focalizzare l'attenzione sul processo di definizione dell'accordo di pace senza tenere conto delle situazioni ancora non definite nelle altre aree in conflitto nel Paese affrontando questa delicatissima fase nella sua complessità. E' l'unica chance per evitare che il Sudan precipiti in un baratro di nuove violenze e di sangue.

lunedì, agosto 09, 2010

USA: Il Sudan è ancora uno "Stato canaglia"

Mentre nel Jebel Marra fonti legate al Sudan Liberation Movement di Al-Nour riferiscono di nuovi bombardamenti della SAF su villaggi e postazioni ribelli, costati la vita ad almeno cinque persone, dagli Stati Uniti giunge la conferma dell'iscrizione del Sudan tra i "Paesi canaglia".
Anche nel 2009, si legge nel rapporto pubblicato giovedì scorso, permangono in Sudan, nonostante la collaborazione tra le rispettive agenzie dei servizi segreti, elementi terroristici legati ad Al-Qaeda ed Hamas.
Tra il 1991 e il 1996 l'organizzazione terroristica internazionale Al-Qaeda aveva, proprio in Sudan, la propria base.

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martedì, agosto 03, 2010

Missioni: vile decisione Italia di lasciare Darfur

"Mentre il Consiglio di sicurezza dell'Onu rinnovaall'unanimità la missione di pace in Darfur e laComunità internazionale é sempre più impegnata aprevenire una nuova guerra civile in Sudan, l'Italia - conil voto finale oggi in Senato - sceglie di abbandonare laregione dove é in corso la più grande crisi umanitariadel mondo con la scusa di non aver ottenuto i visti per imilitari che dovevano dare supporto a Unmid".
E' quanto denuncia l'associazione 'Italians for Darfur,promotrice della campagna per il Sudan in Italia.
"Venire meno agli impegni nei confronti del Darfur - silegge in una nota - non é solo una decisione politicasbagliata che causa un danno d'immagine al nostro Paese, chenega il suo contributo all'Onu - che tra l'altro si eraproposta di sbloccare i problemi burocratici che bloccavanola missione italiana - per il mantenimento della pace inSudan, ma é anche un'azione vile soprattutto perchèl'Italia é tra i garanti del rispetto dell'accordo di pacedel 2005 che sancì la fine dell'ultra ventennale guerracivile tra Nord e Sud".
"Questa grave decisione arriva nella fase più cruentadel conflitto in Darfur- sottolinea Antonella Napoli, presidente dell'associazione - che oggi é più violentoche mai. Lo testimoniano gli oltre mille morti negli ultimidue mesi. Mezzo milione di darfuriani rischia di nonricevere le razioni alimentari, da cui dipendono per lasopravvivenza, a causa delle proibitive condizioni disicurezza peggiorate dopo gli ultimi pesanti scontri traforze governative e forze ribelli nel centro e nel nordDarfur, che hanno tagliato i principali nodi stradalidell'area. Dal 2008 ad oggi 17 operatori umanitari sonostati rapiti e 27 peacekeepers dell'Unamid hanno perso lavita e il bilancio rischia di aggravarsi visti i semprepiù frequenti attacchi ai caschi blu, - conclude la Napoli- spesso non adeguatamente equipaggiati".

Roma, 3 agosto 2010

Onu rinnova missione ma rischio caos in vista referendum

Nostro rapporto sull’inadeguatezza dei preparativi al voto in Sudan

“Apprendiamo con soddisfazione del rinnovo della missione di pace ibrida Nazioni Unite – Unione africana in Darfur, prorogata di un altro anno all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu ma denunciamo che il Sudan, in vista del referendum sull’indipendenza del Sud Sudan, è drammaticamente impreparato e il rischio di caos e incidenti è più pressante che mai”.
E’ quanto si legge in un rapporto pubblicato oggi da “Italians for Darfur” e altre 25 organizzazioni umanitarie e associazioni per i diritti umani aderenti alla coalizione internazionale “Sudan 365”.
Gli attivisti, dall’Africa al Medio Oriente e dall’Europa agli Stati Uniti, chiedono un'azione urgente per scongiurare irregolarità e violenze in occasione del voto che potrebbe determinare la separazione definitiva tra Nord e Sud Sudan.
L’appello è diretto ai paesi garanti del Comprehensive Peace Agreement, tra cui l’Italia, che nel 2005 sancì la fine della ultra ventennale guerra civile in Sudan.
“Il dossier “Renewing the Pledge: Re-Engaging the Guarantors to the Sudanese Comprehensive Peace Agreement” – sottolinea Italians for Darfur - ricorda che le lancette corrono velocemente verso quello che potrebbe essere il più importante appuntamento nella storia moderna del più grande Stato africano. In contemporanea al referendum sull'indipendenza del Sud, anche Abyei – area attualmente sotto il controllo di Khartoum in cui sono situati i più grandi giacimenti di petrolio del Paese – sarà chiamata a decidere se unirsi o meno al Sud Sudan”.
“Mentre il tempo scorre inesorabile – afferma Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur - nel Sud, come in Darfur, gli episodi di violenza si sono intensificati e nel Nord e nella capitale i diritti umani continuano a essere violati. Attraverso questo rapporto denunciamo che, negli anni passati, l’attenzione internazionale si sia concentrata sul Sudan meridionale, rinnegando la più importante lezione degli anni passati: che i conflitti multilaterali vanno affrontati globalmente. La concentrazione sul Sud Sudan è andata a scapito di altre importanti problematiche, come la mancata trasformazione democratica del Paese, il conflitto irrisolto del Darfur e di altre regioni emarginate del Nord e dell’Est del Sudan. Per non parlare dei punti del trattato esclusi dal CPA, come la suddivisione dei proventi del greggio e la determinazione dei confini che erano stati negoziati dopo la firma dell’accordo nel 2005 e ad oggi non ancora definiti. Il rischio è che le questioni non risolte, a meno di un anno dalla scadenza del termine dell’accordo di pace, possano scatenare nuovi conflitti. Soprattutto se il risultato del referendum porterà alla separazione di Juba da Khartoum”.
Attraverso il dossier, la coalizione promotrice dell’iniziativa chiede al governo del Paese di assicurare che tutti i cittadini sudanesi, nel Nord come nel Sud, siano protetti prima e dopo il referendum.
Il rapporto contiene anche una serie di raccomandazioni ai garanti del CPA (Intergovernmental Authority on Development (IGAD), Unione Africana, Unione Europea, Lega Araba, Nazioni Unite, Egitto, Italia, Olanda, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti) affinché assicurino che il referendum sia libero ed equo. In particolare si chiede di sfruttare il prossimo Forum Consultivo, che si tiene in questi giorni a Khartoum, per concordare una intensificazione degli sforzi nazionali e internazionali per porre le basi di un pacifico, credibile e puntuale processo referendario.
Inoltre gli analisti del dossier sostengono si debba assicurare che ad Abyei, nella regione del Blue Nile, e in Kordofan, nei prossimi sei mesi si dia corso a preparativi adeguati per il referendum e si persuada il National Congress Party of Sudan (NCP) e il Sudan People’s Liberation Movement (SPLM) a impegnarsi pubblicamente affinché il rispetto dei diritti alla libertà di movimento, di soggiorno e di proprietà attualmente garantiti a tutti i cittadini sudanesi rimanga tale indipendentemente dal risultato delle votazioni.
Ultima ma non meno importante richiesta è la dichiarazione inequivocabile e pubblica che gli standard internazionali dei diritti umani siano rispettati nel Nord come nel Sud e, infine, che i Garanti rispettino il loro impegno di sostenere la trasformazione democratica del Sudan.

Roma, 31 luglio 2010

Addio bilaterale alla missione italiana in Darfur: il Senato approva il nuovo piano per le missioni militari all'estero

Con voto favorevole di tutti i gruppi parlamentari, eccetto Idv e i due senatori radicali del PD Marco Perduca e Donatella Poretti, astenutisi dal voto perchè in contrasto con il partito, è stata definitavemente approvato il nuvo bilancio per le missioni militari all'estero italiane. Sale il budget per l'Afghanistan, da 310 a 364 milioni di euro, crolla, quasi a scomparire, il finanziamento per la partecipazione italiana alla missione UNAMID in Darfur. Dei 5 milioni previsti sono rimasti solo 128 mila euro: soldi, che presumibilmente, andranno a coprire le spese per qualche nuovo comunicato di rammarico.

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