Il blog di Italians for Darfur

sabato, febbraio 26, 2011

A otto anni dall'inizio della guerra

Darfur, 26 febbraio 2003 - 2011 per non dimenticare
Nella regione si continua a morire. L’accordo di pace, previsto per fine mese, si allontana

"Oggi, a otto anni dall’inizio della guerra, in Darfur si continua a morire. E i raid aerei in corso in queste ore rendono ancora più macabro l’anniversario del conflitto che ha causato oltre 300mila morti e quasi 3 milioni di sfollati”.
E’ quanto si legge in una nota di ‘Italians for Darfur’, organizzazione che da anni si batte per la difesa dei diritti umani nella regione occidentale sudanese e per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla campagna umanitaria per il Sudan.
”I dati contenuti nel Rapporto annuale che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi – sottolinea Antonella Napoli, giornalista e presidente di ‘Italians for Darfur’ - tracciano la drammaticità di una crisi che si è incancrenita e non riesce a trovare soluzione. Anzi peggiora, come testimoniano i bombardamenti che da giovedì 24 febbraio colpiscono i gruppi ribelli di etnia africana – animista che si contrappongono al regime filo-arabo di Omar Hassan al Bashir - presidente sudanese accusato dalla Corte penale internaziole di genocidio e crimini contro l’umanità - ma anche la popolazione civile. Dallo scorso dicembre, da quando si è bruscamente interrotto l’accordo di pace firmato nel 2006 da una sola fazione del movimento ribelle che si era opposto al governo di Bashir, quella guidata dall’ex colonnello Minni Minnawi, le forze armate sudanesi hanno ripreso i raid aerei e gli attacchi nelle aree controllate dal Sudan liberation movement".
”Il portavoce dell’esercito di Khartoum, Khalid Al-Sawarmi – prosegue la Napoli - ha annunciato di aver attaccato i ribelli asserragliati nella zona montuosa del Jebel Marra, da sempre loro roccaforte, per aprire un varco e farsi strada nella travagliata regione per riguadagnare il controllo dell’area. Al-Sawarmi ha anche sottolineato che le truppe governative hanno ucciso venticinque guerriglieri e sequestrato quattro veicoli, subendo la perdita di soli due militari. L'Unamid, la missione delle Nazioni Unite e dell’Unione africana dispiegata dal 2008 in Darfur, ha confermato che i civili coinvolti negli attacchi continuano ad arrivare nei campi profughi nel Nord e nel Sud. In migliaia fuggono dalle violenze che infuriano nella regione”.
”Il Sudan liberation movement ha precisato di aver risposto al fuoco – prosegue la presidente di Italians for Darfur - e di non aver cercato lo scontro con i militari sudanesi che hanno lanciato un attacco sostenuto da elicotteri e aerei Antonov. Secondo Adam Saleh Abakar, portavoce dei ribelli, sono state inferte pesanti perdite alle truppe regolari e di aver perso solo sei combattenti. Il resto delle vittime, almeno venti persone, sarebbero civili”.
”Questi continui scontri – ha infine ricordato l’africanista e attivista per i diritti umani - – non sono certo un buon preludio ai colloqui di pace che la prossima settimana entreremmo nel vivo in Qatar. I mediatori a Doha martedì scorso hanno consegnato al tavolo negoziale le nuove proposte sulle questioni su cui le parti non sono riuscite finora a concordare, in particolare la suddivisione del potere nella regione e la vicepresidenza del Sudan a un esponente del Darfur. Il capo negoziatore Djibril Bassole ha annunciato che sarà presentato un programma di accordo finale entro la fine del mese. La speranza è che non si tratti dell'ennesimo accordo – conclude la Napoli- destinato a rimanere su carta, ma che si trasformi presto in un reale cessate il fuoco".
Roma, 26 febbraio 2011

Rapporto annuale sulla crisi in Darfur

Bombardamenti e nuovi sfollati le emergenze del 2011

"La situazione in Darfur negli ultimi mesi è precipitata: si susseguono bombardamenti e attacchi a ridosso dei villaggi del Nord Darfur da cui fuggono in migliaia, molti dei quali sono ancora senza assistenza". E' quanto si legge nel rapporto annuale di 'Italians for Darfur' sulla crisi umanitaria in atto nella regione occidentale del Sudan e presentato a pochi giorni dall'ottavo anniversario dell'inizio del conflitto: il 26 febbraio 2003.
"A causa della rottura dell'accordo di pace del 2006, firmato da una sola fazione dei ribelli, a dicembre scorso sono ripresi i bombardamenti su gran parte della regione - ha evidenziato la presidente dell'organizzazione, Antonella Napoli, alla presentazione del Rapporto (erano presenti il presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury e il rappresentante della comunità del Darfur e del Sudan liberation movement in Italia, Mohamed Abu al Gasim ) e del nuovo video della campagna internazionale Sudan 365 promossa nel nostro Paese da ‘Italians for Darfur’ di cui è testimonial Tony Esposito, anch'egli presente a Palazzo Madama per la presentazione del Rapporto.
"L'ultimo aggiornamento parla di circa 31.000 sfollati arrivati a Zamzam Camp provenienti da Shangil Tobaya e dai villaggi coinvolti nei raid aerei del 17 e del 18 febbraio. Anche oggi, nell’anniversario del conflitto, i combattimenti continuano coinvolgendo migliaia di civili. Testimoni che abbiamo sentito telefonicamente ci hanno confermato -ha proseguito- che le condizioni dei nuovi sfollati sono al limite della sopravvivenza. Non esiste alcun processo per registrare il loro arrivo o fornire loro cibo o tende per il riparo d'emergenza".
Quanto ai colloqui di pace in corso in Qatar, "i mediatori a Doha - ha ricordato la Napoli, autrice del libro “Volti e colori del Darfur” - hanno consegnato martedì scorso alle parti sudanesi coinvolte nel tavolo negoziale le nuove proposte sulle questioni controverse delle trattative su cui non sono riusciti finora a concordare. Il capo negoziatore Djibril Bassole ha annunciato che sarà presentato un programma di accordo finale entro la fine del mese. La speranza e' che non sia l'ennesimo accordo -ha proseguio la presidente di Italians for Darfur - destinato a rimanere su carta e che si trasformi in un reale cessate il fuoco".
Un’altra notizia dirompente che arriva dal più grande Stato africano, ora spaccato in due dal Refrendum per l'indipendenza del Sud Sudan, e confermata dal ministero degli Esteri sudanese, è quella della presenza di ribelli del Darfur tra i mercenari che stanno massacrando i manifestanti in Libia.
”Da rapporti provenienti da fonti attendibili –ha affermato in conferenza il portavoce di Amnesty - sembrerebbe che tra gli stranieri utilizzati dal rais in un disperato tentativo di fermare la crescente rivolta, ci siano miliziani arrivati in Libia via Ciad dalla regione occidentale del Sudan, martoriata da oltre 8 anni di conflitto che hanno determinato la più grave crisi umanitaria attualmente in corso nel mondo. Il portavoce del Foreign Office sudanese, Khalid Musa, a una domanda dei giornalisti ha risposto che non escludeva il coinvolgimento di guerriglieri del Darfur nei disordini, aggiungendo che "sono in atto accertamenti da parte di autorità competenti".
Ma il rappresentante dei movimenti ribelli del Darfur, Mohamed Abu Al Gasim, intervenendo alla presentazione del Rapporto sulla crisi in Darfur ha smentito le accuse e ha replicato che si tratta di un meschino tentativo del governo di Bashir e del National Congress Party di screditare il movimento, mettendo a rischio la vita dei cittadini sudanesi ancora nel Paese.
“Semmai fosse confermata la presenza di nostri connazionali tra i mercenari che stanno operando in Libia – ha concluso Al Gasim – non si tratterebbe certo di darfuriani, ma di sudanesi filoarabi in gran parte appartenenti alle milizie governative che hanno distrutto i nostri villaggi e ucciso le nostre famiglie, i janjaweed”.

Roma, 24 febbraio 2011

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lunedì, febbraio 21, 2011

Iniziativa a Padova del Parlamento europeo degli studenti

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, il resoconto degli incontri che si sono svolti a Padova l'11 febbraio nell'ambito di un'iniziativa sul Darfur, a cura dei validissimi ragazzi del Parlamento europeo degli studenti e del professore Giulio Zennaro, con gli studenti e la cittadinanza padovana.
Buona lettura.

AULA MAGNA DEL FUSINATO
INCONTRO CON ANTONELLA NAPOLI
Presidente di Italians for Darfur

Sara Poletto
Quando siamo partiti eravamo anche noi sprovveduti rispetto al Darfur come voi adesso, sapevamo che c’era questo conflitto, ma non ne sapevamo più di tanto. E ci siamo iscritti a questo laboratorio quasi per caso, iniziando quasi senza uno scopo fisso. Invece continuando a trovarci abbiamo capito che la base è l’informazione e è un nostro dovere interessarci anche a problematiche che non ci riguardano da vicino e che comunque prendono in considerazione e che si riflettono su persone che sono come noi e che hanno la nostra stessa età. Noi siamo andati l’anno scorso a Ginevra all’ONU e abbiamo parlato con un funzionario e abbiamo posto i nostri quesiti. L’anno scorso poi abbiamo trattato dei diritti delle donne e in particolare del problema dell’infibulazione, di come viene abusato di loro. Abbiamo fatto una vendita di torte alla festa di Natale e abbiamo dato il ricavato a Italians for Darfur. Poi siamo andati a Roma al Global Day for Darfur e abbiamo conosciuto Antonella Napoli, Presidente di Italians for Darfur e l’abbiamo invitato. Adesso Antonella ci farà vedere un reportage di un suo viaggio in Darfur e poi ci parlerà della sua esperienza.
Maddalena Bernabei
Io devo dire perché abbiamo fato questo lavoro: è solo questione di fortuna se noi non siamo come quelle persone lì che vedrete dopo, se siamo nati qui e non lì ed è nostro dovere informarci e fare qualcosa per poco che sia. Siamo solo degli studenti e abbiamo limitate possibilità di risolvere quel conflitto. Ma sentiamo la necessità di informarvi perché possiate essere sensibilizzati su quella che è la situazione. Al termine del film ci sarà una relazione e poi un dibattito, quindi preparatevi a fare delle domande se vi vengono dei dubbi.
Antonella Napoli
Vi saluto e vi ringrazio di cuore di essere qui. Voi siete la mia speranza, perché la cosa che amo di più fare nel mio lavoro, nella mia opera di sensibilizzazione è incontrare ragazzi, incontrare voi. Prima di addentrarci nel dibattito vediamo il reportage cosicché avete una base e cominciate a capire di che cosa stiamo parlando e poi continuiamo.
Reportage di Antonella Napoli “Andata e ritorno all’inferno del Darfur”
Ogni volta che rivedo le immagini di questo reportage che ho realizzato nel 2007 in una delle mie visite in Sudan provo sempre, anche conoscendo ogni frammento una grande emozione. Mi si chiede spesso “perché tra tante cause nel mondo, (sappiamo bene che di crisi ne sono in corso tantissime), perché proprio il Darfur, perché Antonella Napoli ha scelto il Darfur?” Io rispondo sempre: “E’ il Darfur che ha scelto Antonella Napoli”. Io sono andata lì per la prima volta nel 2005, il conflitto era iniziato da poco più di un anno e mezzo e nel mondo c’era la consapevolezza di quello che stava avvenendo in Darfur, io ero lì come giornalista, come inviata per il giornale per il quale lavoravo all’epoca e ho toccato con mano quel dramma anche se ero stata anche in altre situazioni in Africa, però quello che ho trovato in questa gente, in questo popolo… voi avete visto alcune immagini, questi volti, questi bambini: è gente solare, che ha dentro una grande umanità; poi vestono di questi colori molto vivaci: è gente che ha speranza nonostante il grande e profondo dramma che stanno vivendo. Quindi, girando per questi campi che erano da poco attrezzati e vedendo queste persone che giravano senza prospettiva, volti scavati, occhi sbarrati, si leggeva nel loro sguardo l’orrore che avevano vissuto, di quello che era loro capitato. Quando una cosa del genere ti tocca da vicino, la vedi, la tocchi con mano… perché fondamentalmente il problema di chi non sente queste cose è perché le vede lontane, sono in un altro mondo e sembra quasi che non esistano… e invece io le ho toccate con mano. Invece, tornando in Italia mi è rimasta addosso una sensazione di inutilità, mi sentivo impotente. Poi, per caso mi capitò di vedere una trasmissione delle Iene che forse voi avete visto su youtube, in cui venivano intervistati i nostri parlamentari, i nostri rappresentanti al parlamento, ai quali facevano domande sull’attualità, su cose generiche tra le quali anche il Darfur. Sapete quale è stata la risposta alla domanda “Sa che cosa è il Darfur?”? E’ stata “uno stile di vita” perché lo confondevano con fastfood; oppure “le caramelle” (Dufur). In quel momento… avete presente la Coca Cola quando la scuotete forte, togliete il tappo e salta tutto su: ecco in quel momento mi è venuta su l’indignazione, perché io ero stata lì, io sapevo che cosa era il Darfur e ho toccato con mano. Nel resto del mondo tutti parlavano di Darfur: era la più grande crisi umanitaria, c’era un genocidio in atto, dopo che c’era stata in Ruanda la stessa cosa e tutti all’ONU, tutte le Istituzioni avevano detto “mai più”; e invece si stava ripetendo la stessa cosa. A quel punto ho detto: “NO. Non posso rimanere inerte, devo fare qualcosa. E allora ho fatto quello che so fare meglio: scrivere, raccontare, realizzare un reportage e ho creato una rete, un networking, una rete online, una mobilitazione online che ha coinvolto tanti ragazzi come voi, tanti operatori umanitari, altri giornalisti come me ed era il periodo in cui iniziava l’attività dei blog. Credo che ognuno di voi abbia una propria pagina, che sia face book, che sia un blog… Col tempo si è creata una rete amplissima, sono diventati più di mille e da lì è nata l’idea di fare il primo Global Day per il Darfur anche in Italia nel 2007, mentre nel mondo avveniva già da diversi anni. Abbiamo poi fatto un passo successivo che è stato quello di creare l’associazione, per dare supporto ai progetti lì sul campo. Che cosa potete fare voi? Intanto avere la consapevolezza che il diritto umano non è circoscritto alla propria area, al proprio vivere, perché quando si pensa al diritto di una persona qui in Italia, qual è la prima cosa che vi viene in mente? La casa. Lì in Darfur è la vita, la dignità di vivere una vita degna di essere definita tale. Perché la vita lì è al limite della sopravvivenza. Un bambino su sei non arriva a cinque anni, ci sono bambini oggi di cinque anni che non hanno mai visto la pace. Quindi, è importante che questo si sappia, che si comprenda che anche un luogo così lontano, può lasciare tracce. Soprattutto qui al nord sento spesso parlare della problematica dell’immigrazione. Spesso gli immigrati che arrivano qui in Italia sono persone che non sono capaci di integrarsi, non si comportano bene. Ebbene, aiutare queste persone lì nella loro terra, cercare di portare pace, una dignità del vivere, significa anche che il flusso dell’immigrazione che a tanti non è gradito (va detto, bisogna essere molto chiari, non ci vogliono ipocrisie) anche in questo modo si può risolvere una problematica che in Italia è sentita. Quindi, quello che vi invito a fere,oltre informarvi, è a capire che i diritti umani toccano ognuno di noi, dalla cosa più banale nel nostro paese a quello che a queste persone manca proprio nel fondamento della propria quotidianità. Una cosa che mi ha colpito molto, uno dei tanti racconti… Io ho raccolto le storie delle donne che sono le principali vittime del conflitto in Darfur, perché vengono violentate non tanto perché l’atto sessuale possa in qualche modo dare piacere o potere a queste persone, a queste milizie che si contrappongono al fronte dei ribelli; quello che loro vogliono ottenere è schiacciare la dignità delle persone. Attraverso lo stupro loro rivendicano una forza, un potere nei confronti dell’altra parte; ed è una cosa atroce, perché, come dicevo anche nel reportage, queste donne poi vengono scacciate, perché vengono ritenute loro stesse responsabili di quello che hanno subito. E poi ci sono i bambini che spesso sono lì abbandonati a loro stessi perché i genitori non hanno possibilità di fare altro che lasciare loro una manciata di latte in polvere e non hanno prospettive, non hanno futuro, soprattutto ora che sono state scacciate delle organizzazioni non governative che garantivano il minimo di sopravvivenza. E oggi questo conflitto sta riprendendo più violento che mai, perché in questo paese c’è una spaccatura. Sapete che in Sud Sudan si è da poco svolto un referendum, io sono stata lì come osservatrice, per monitorare le elezioni e verificare che fosse tutto nella norma che fosse tutto regolare. Questa indipendenza voluta dal 99 per cento dei sud sudanesi ha fomentato ancor di più il Darfur che rivendica allo stesso tempo un’opzione indipendentista, cosa che Karthoum, la capitale, il governo centrale non potrà mai accettare dopo aver perso il Sud. Da dieci giorni sono ripresi i combattimenti e in poco più di due settimane si sono creati altri 50.000 profughi. Quindi è una cosa reale che continua e purtroppo continua a esserci la mancanza di attenzione da parte delle Istituzioni. E’ per questo che serve il contributo vostro, mio e di tutti quelli che vogliono far conoscere queste realtà, facendo pressione, facendo in modo che se ne parli. Ognuno di noi, tornando a casa oggi, parlando con i genitori, un fratello, un amico, diciamo: “Sapevi del Darfur, sapevi che in Darfur sono morte 300.00 persone?”. “Lo sai che in Darfur vivono tre milioni di persone nei campi profughi, con una razione di latte e acqua al giorno?” E’ qualcosa che può servire perché si abbia la consapevolezza di cosa avviene al di fuori del proprio orticello. Io spero di essere riuscita a farvi comprendere qual è il motivo per il quale voi dovete essere consapevoli di che cosa sia il diritto umano, che oggi, in gran parte del mondo viene violato continuamente. E fino a quando non si avrà la consapevolezza dell’importanza del rispetto dei diritti umani, non potrà mai esserci un futuro vero di speranza per le nuove generazioni. Rispettando il diritto di tutti si può garantire il rispetto per il diritto di se stessi. Bisogna agire ore come ho già detto nel reportage perché domani è troppo tardi.
Zennaro Giulio
La dottoressa Antonella Napoli ci aiuterà a stilare delle petizioni che molti dei ragazzi che sono qui porteranno nei prossimi giorni in Istituzioni molto importanti, all’ONU a Ginevra e al Parlamento europeo. A metà giugno se riusciremo andremo ad incontrare il presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, che si sta impegnando molto per il Darfur. Volevo chiedere poi un excursus storico su questo conflitto di cui il Darfur è vittima.
Antonella Napoli
Il conflitto in Darfur viene conosciuto la prima volta nel 2003 perché le organizzazioni militari del fronte di opposizione attaccarono una delle più importanti roccaforti del governo e quindi a livello mondiale ci si rese conto che era un conflitto importante e non un conflitto circoscritto a livello locale. Ma era in atto da diverso tempo questa forte richiesta da parte della popolazione del Darfur nei confronti del governo centrale per chiedere la suddivisione delle risorse dell’area del Darfur, perché purtroppo come avviene spesso nei governi africani il governo centrale prende tutte le risorse per esportarle e poi alle popolazioni locali resta poco o niente. In particolar modo il fronte dei ribelli chiedeva anche la gestione del potere, e cioè di potere avere una rappresentanza a Karthoum. Dobbiamo tener presente che c’è in Sudan una forte desertificazione: quindi le aree dove si può pascolare, avere degli allevamenti che è una delle principali attività del Sudan, sono sempre di meno; così anche le aree coltivabili. Si sono spesso avuti scontro molto duri tra tribù nomadi e tribù stanziali, proprio per la contesa della terra. Dal 2003 ad oggi sono stati tentati diversi approcci negoziali per arrivare ad un accordo di pace. Ma finora soltanto nel 2006 c’è stato un accordo, firmato però soltanto da una sola fazione del fronte dei ribelli, il Sudan Liberation Movement (SLA), per avviare una fase preparatoria per una ricostruzione e una riconciliazione per potere così gettare le basi per un definitivo cessate il fuoco. Cosa che oggi nelle ultime settimane è venuta meno, perché anche la fazione che ha firmato questo accordo ha rotto questo trattato, questo accordo di pace. Attualmente quello che chiede il fronte dei ribelli è di avere una vicepresidenza del Sudan, cosa che potrebbe essere possibile perché con la separazione del Sud Sudan, l’attuale vicepresidente che diventerà presidente del Sud Suda lascia libera una posizione importante. Questo è l’unico appiglio, l’unica possibilità perché si possa davvero fermare il conflitto per riprendere il negoziato di pace. Bisogna però capire fino a che punto Karthoum è disposta a fare. Proprio nei prossimi giorni dovrebbe riprendere il confronto in Qatar a Doha che è in corso da circa un anno, dove però non hanno partecipato i due più importanti gruppi ribelli che sono il Justice and Equaliment Movement che attualmente è il meglio attrezzato e meglio armato e riesce a infliggere pesanti perdite all’esercito governativo, e il Sudan Liberation Movement che attualmente ha ritrovato anche la fazione che si era separata per firmare l’accordo di pace. Quindi il contesto è di grandissima instabilità. In tutto questo è stata dispiegata nel 2008 una missione di pace. La più grande missione di pace è una missione ibrida, ONU e Unione Africana. Ci sono circa 20.000 caschi blu dispiegati al nord ad El Fasher, al confine tra le aree più importanti, che però purtroppo non è efficace, perché mancano molti mezzi, ed è per questo che si chiede ai governi di fare di più per questa missione, per renderla veramente efficace, per essere in grado di garantire protezione alla popolazione civile. Adesso non riesce a garantire protezione nemmeno a se stessa. In due anni sono stati uccisi oltre 50 caschi blu, cioè gente che lì viene mandata a proteggere la popolazione, viene uccisa da milizie, banditi: non c’è quindi sicurezza. Come si può chieder quindi a gente che chiede rifugio, che si rifugia nei campi profughi per avere sicurezza, quando poi questa sicurezza non può essere garantita nemmeno a se stessi? E purtroppo i governi non hanno mantenuto le promesse di garantire il supporto all’UNAMID. Ed è questa una delle principali battaglie che le organizzazioni come la mia, Amnesty International, e tante altre portano avanti. L’altra questione fondamentale è quella della giustizia, perché attualmente è in corso una inchiesta sul genocidio, sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità perpetrati dal 2003 fino ad oggi in Darfur. E’ addirittura pendente sull’attuale capo di stato Al Bashir un capo d’accusa di genocidio, crimini di guerra e di crimini contro l’umanità; che però non si riesce ad arrestare perché il Sudan non ha firmatola convenzione internazionale sui crimini di guerra e la Corte Penale Internazionale. Anche perché è protetto dall’Unione Africana. La cosa paradossale è che tutti i paesi che hanno firmato l’accordo del tribunale penale internazionale sarebbero obbligati ad arrestarlo nel momento in cui il presidente del Sudan si presenta nei propri territori. In alcuni posti, come la Somalia e altri, questo non è avvenuto perché non viene riconosciuto questo capo d’accusa. Anzi, ad oggi si fanno pressioni perché questo capo d’accusa venga revocato. Ed è qualcosa che non può portare nulla di buono alla causa del Darfur, perché non ci può essere pace se prima non viene garantita giustizia al popolo del Darfur ed è per questo che bisogna premere molto per fare in modo che l’Unione Europea, i governi siano stimolati a dare forza alla Corte Penale Internazionale, perché se non è forte la Corte Penale Internazionale viene meno questa inchiesta che è l’unico baluardo di giustizia che può essere garantita ai 300.00 morti che ci sono stati in questo conflitto.
Agostini Tommaso
La posizione attuale dell’ONU sul Darfur qual è, cosa sta facendo, cosa ne pensa?
Antonella Napoli
L’ONU ha appoggiato l’azione della Corte Penale, è stata l’ONU stessa a deferire alla Corte Penale Internazionale e a investirla dell’inchiesta sul Darfur e si suppone che il mandato possa essere eseguito. Il problema è che in seno al Consiglio di Sicurezza è presente la Cina che è il principale partner commerciale del Sudan. La Cina è molto forte, ha il potere di veto e quindi qualsiasi azione che possa in qualche modo facilitare l’arresto di Al Bashir o anche solo il potenziamento della missione di pace, non è efficace. Anche perché non è stata attivata la “no fly zone”, ovvero il divieto di volo sul Sudan. Tant’è che il governo sudanese continua a bombardare i villaggi impunemente. Questo perché ogniqualvolta si è tentato in seno al Consiglio di Sicurezza di votare delle risoluzioni più forti o delle sanzioni a carico di Al Bashir o del governo sudanese, c’è sempre strato il veto da parte della Cina. La Cina importa l’80% del petrolio sudanese: questo la dice lunga su quanto sia importante per loro questo rapporto. In più è stato provato che la Cina fornisce in cambio armi al Sudan, nonostante sia vigente un embargo, cioè il divieto di vendere, delle armi a questo paese. La Cina che ha fame di risorse energetiche: è il paese che ha al momento il consumo energetico più alto al mondo. Quindi fino a quando ci sarà questo veto della Cina ma anche di altri paesi come la Russia, la Libia hanno forti legami con Karthoum. Anche la Lega Araba è molto forte e pesa molto sullo scacchiere internazionale e appoggia Al Bashir. E quindi egli continua impunemente ad andare avanti ad amministrare il paese, a essere capo del governo, a girare liberamente pur avendo un mandata internazionale pendente su di sé, perché ha delle forti protezioni.
Antonio Bincoletto
Come agiscono le bande dei Janjaweed e che ruolo gioca in questo conflitto il fattore religioso?
Antonella Napoli
Queste milizie arabe denominate janjaweed che significa “diavoli a cavallo”, secondo il quadro delineato dalla Corte Penale Internazionale, sarebbero state assoldate dal governo sudanese per porre fine al fronte di opposizione, per combattere i ribelli del Darfur. Secondo la Corte Penale Bashir consapevolmente ha lasciato che queste milizie violentassero le donne, distruggessero villaggi, uccidessero uomini e arruolassero bambini per farne bambini soldato: e quindi è stato lui il mandante del genocidio, cosa che ovviamente il governo sudanese ha sempre smentito, addirittura negando che fossero milizie del fronte governativo. Per anni hanno fatto razzie, soprattutto nella fase iniziale del conflitto. Tra il 2003 e il 2005 sarebbero state uccise oltre 100.00 persone. Poi il numero è aumentato anche a causa della crisi umanitaria che ne è conseguita. Il fattore religioso è uno dei fattori scatenanti di questo conflitto, secondo l’ottica dell’inchiesta: il governo sudanese è un governo filoarabo e avrebbe commissionato questo genocidio per far sì che le aree popolate dalle popolazioni del Darfur, di religione animista e di etnia africana, siano sostituite da popolazioni filoarabe. Per questa situazione sono contrapposte ancor oggi varie etnie. Per lo più le etnie nomadi sono di religione musulmana e da sempre hanno l’appoggio del governo di Karthoum. In Darfur sono presenti circa 80 etnie: nonostante ci sia stato un forte proselitismo e una forte pressione per far sì che ci fosse una accettazione della religione musulmana, il popolo del Darfur non ha mai voluto cambiare la propria religione. Questo ha fatto crescere enormemente le tensioni. Su questo punto però gli analisti internazionali sono alquanto in disaccordo, perché si ritiene che il fulcro centrale di questo conflitto sia l’interesse economico, la gestione di enormi risorse e non parliamo solo di petrolio, c’è uranio, c’è acqua paradossalmente ci sono aree nel Darfur ricchissime d’acqua, che in un paese dove avanza la desertificazione come in tutta l’area sub sahariana, è anche più importante del petrolio.
Zennaro Giulio
Antonella Napoli lavora al Senato al settore comunicazioni è giornalista e ha scritto un bellissimo libro di immagini e di testimonianze sul Darfur: vorrei che ne parlasse e raccontasse qualche storia, qualcuna delle testimonianze presenti in questo libro.
Antonella Napoli
Questo libro sostiene l’ospedale pediatrico di Nyala. I miei diritti d’autore sono devoluti ad Emergency, per l’spedale di Nyala che è nel sud del Darfur. Questo libro è nato la seconda volta che sono stata in Darfur nel 2007. Molte delle immagini che avete visto nel reportage sono in questo libro. E’ un libro di storie e di racconti di quella che è la vita nei campi profughi. In particolare ci sono le storie delle donne che, come vi dicevo, sono le principali vittime di questi orrori. In particolare mi ha colpito la storia di Miriam, che è una ragazza come voi, che giovanissima ha visto distruggere il villaggio dai bombardamenti, ha visto arrivare questi janjaweed nel villaggio ormai in fiamme, uccidere gli uomini, strappare i bambini alle madri, le madri violentate. Nonostante tutto lei è riuscita a sopravvivere perché l’hanno lasciata praticamente morente, lei invece è riuscita a sopravvivere dopo 200 km di deserto è riuscita ad arrivare in un campo e a ricominciare. E lei quando mi ha raccontato questa cosa mi diceva che nonostante tutto lei aveva una speranza. Purtroppo le donne violentate difficilmente riescono a trovare un compagno, un marito, perché non hanno valore. Una donna, una giovane donna, una ragazza di 14 anni in Sudan per un padre vale come due mucche, tre capre, ha un valore economico. Una figlia violentata non vale nulla, è solo un peso. Ed è pre questo che si innesca il meccanismo che raccontavo, cioè dell’allontanamento di queste ragazze dalle comunità. E lei nonostante tutto mi diceva: “Io ho una speranza, ho un sogno: vorrei tanto avere un abito azzurro nuovo”, perché l’azzurro in Sudan è considerato il colore della purezza. Loro hanno questi abiti che si chiamano “tob”: sono delle lunghe strisce di tessuto che si avvolgono intorno al corpo e sono simbolo di un prestigio e di una purezza. Purtroppo in questo periodo molte giovani non hanno mai avuto un vestito che non fosse usato, rovinato. E poi mi diceva: “Un tob e un marito”, nonostante sapesse che non avrebbe mai avutola possibilità di formarsi una famiglia, continuava a sperare. E’ su questa fiammella, su questa piccola scintilla di speranza che bisogna aggrapparsi, bisogna fare in modo di alimentarla, perché fino a quando ci sarà un minimo di speranza, non sarà la fine. Ecco, questo è quello che mi anima. Spesso mi dicono: “Tu combatti contro i mulini a vento, tu parli, la gente non ti ascolta e probabilmente vede lontana questa cosa, perdi tempo”. Io ho una bambina di due anni e mezzo, un mio lavoro, tutto quello che io faccio per il Sudan, tutto quello che ricavo dalla mia attività è destinato esclusivamente alla causa del Darfur. Porto via tempo a mia figlia, alla mia famiglia, sto in giro a parlare a ragazzi come voi, faccio missioni in Sudan, vado costantemente nei campi, perché ci credo, perché se anche io che sono stata la prima a portare il Darfur in Italia, a far conoscere con la mia associazione il Darfur in Italia, mi fermassi, allora sarebbe finita per sempre, per questa gente, quanto meno in Italia. E io questo non voglio che avvenga, per questo mi rivolgo a voi, perché voi siete la speranza, voi siete responsabili di quello che può essere questo mondo. Il mondo può essere migliore se in voi che siete la generazione del futuro si anima la capacità di capire che bisogna garantire a tutti il rispetto dei diritti umani, del fondamentale diritto umano alla vita, alla dignità, al rispetto di se stessi. Spero di non avervi annoiato perché io ci credo.
Giulio Daniele
Perché non si parla del Darfur nei giornali e nelle TV?
Antonella Napoli
Semplicemente perché non fa audience, non è un argomento che scatena l’interesse della massa. Da quando abbiamo iniziato l’attività dell’associazione l’osservatorio di Pavia sulle tragedie dimenticate si è evidenziato che dall’inizio della nostra azione si è passato da 13 notizie nei TG a 57: sono ancora pochissime perché ad esempio la storia del sexygate del momento ha mille passaggi in un anno, fa capire perché non ci sia interesse a mandare notizie sul Darfur nei grandi media. E’ per questo che noi abbiamo mobilitato una rete di informazione alternativa. Sapete come anche voi potete dare un aiuto concreto? Ognuno di voi avrà una pagina di faceebook immagino: quando su google trovate una notizia sul Darfur, condividetela su facebook. Ecco quello è già un aiuto. Perché così si diffonde, perché purtroppo dai grandi media è assente. Noi dobbiamo credere in questo. Perché fino a quando ci sarà una pressione e un interesse da parte dell’opinione pubblica, i governi, le istituzioni ch esono gli unici che possono fare qualcosa di concreto, si sentiranno motivati a fare qualcosa. Se non c’è questo interesse non hanno alcun motivo di “perdere tempo” con il Darfur. (Giulio: “la libertà del Darfur non è un incentivo sufficiente”) Il Darfur non è considerata al momento una opzione centrale, nel senso che il Darfur ha tante connessioni, ci sono troppi interessi, ci sono paesi come la Cina che hanno troppi interessi e hanno un grande potere nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU che è l’organo massimo che può decidere di fare una guerra. Per capirci la guerra in Afghanistan è stata decisa con il favore dell’ONU. C’è stata una missione in ex Jugoslavia: è stato l’ONU. In Darfur non è successo: hanno mandato una missione di peace keeping che però è inefficace, perché non ha un mandato forte, chiaro e significativo, non riesce a portare la pace perché non c’è l’interesse, è più forte la consapevolezza che la Cina non permetterà mai che si risolva questo conflitto, che si possa penalizzare il governo contrale, perché gli interessi sono troppo alti.
Giacomo De Cillia
Le potenze non intervengono in Darfur come sono invece intervenute in Iraq: perché?
Antonella Napoli
Torniamo sempre allo stesso punto: USA e UK hanno sempre spinto per un mandato più forte per la missione di pace. Sono i sostenitori più forti della Corte Penale Internazionale. Gli USA in Consiglio di Sicurezza hanno presentato proposte di rafforzamento della missione internazionale, di sanzioni, che però finora non sono mai state accolte. Ci sono paesi che hanno il diritto di veto all’ONU, tra cui la Cina: basta un solo paese che ponga il veto anche se sono tutti favorevoli non si può procedere. Gli USA hanno cambiato strategia recentemente: hanno deciso di usare la strategia del bastone e della carota, barattando il rispetto del referendum in cambio della rimozione dalla lista dei paesi canaglia, che sostengono il terrorismo. Questo significa che riprendono gli affari e ci sono meno sanzioni: la molla che può fare saltare questa empasse è la molla economica. Nel momento in cui si tratta con Karthoum si è già un po’ perdenti, perché vieni a patti con un criminale, un dittatore che continua a vessare: negli ultimi dieci giorni sono stati imprigionati 19 giornalisti solo perché hanno partecipato alle manifestazioni a Karthoum sull’onda della rivolta dei paesi nordafricani. Hanno arrestato il leader massimo dell’opposizione Hassan Hartourabi è in carcere da 20 giorni: è come se Berlusconi facesse arrestare Bersani. Non c’è al momento l’interesse a scontrarsi con la Cina che è al momento la potenza che detta le regole.
Sara Poletto
C’è una parte di profughi che riesce a scappare dall’inferno del Darfur?
Antonella Napoli
Anche in Italia ci sono molte associazioni che ospitano rifugiati del Darfur. A Roma ad esempio appoggiamo il centro di Sportlabove che accoglie 150 rifugiati. A Torino c’è una comunità importante di rifugiati del Darfur. Sono diversi rifugiati del Darfur nei paesi che danno accoglienza ai rifugiati politici. Ma adesso è difficile per l’Italia trovare rifugio: un ragazzo darfuriano arrivato sotto un camion a rischio della vita è stato dichiarato sudanese pur di rimandarlo indietro. Adesso è difficile chiedere asilo in Italia. Adesso il flusso più importante è verso la Francia: il leader di uno dei più importanti gruppi ribelli è a Parigi. Ci sono dei paesi che hanno delle regole meno stringenti e che riescono a garantire ospitalità ai rifugiati politici. Ecco questo è una delle nostre battaglie, ci lavoriamo da tempo, ma margini ce ne sono pochi, purtroppo.
Zennaro Giulio
Cosa può fare l’Unione europea e l’Italia?
Antonella Napoli
L’Unione Europea può dare un supporto reale alla missione di pace: se si dà supporto ai peace keepers si può dare una sicurezza alla popolazione che attualmente non c’è. Un altro intervento potrebbe avvenire sulle sanzioni nel momento in cui gli USA alleggeriscono le sanzioni. Il punto su cui fare leva è quello dell’interscambio. L’Italia ha dei rapporti commerciali e diplomatici molto forti con il Sudan: l’Italia può giocare un ruolo molto importante, tant’è che è stata garante dell’accordo di pace che ha portato all’attuale referendum. Si chiede che si possa arrivare alla riconciliazione delle parti: magari con l’aiuto dei mediatori della Lega Araba, questo può essere possibile: l’Italia può essere l’animatore del tavolo dei colloqui di pace, perché ha una credibilità e un certo ascendente sul governo sudanese. Ad esempio, uno dei più grandi alberghi in Africa, quindi con un grande budget, è stato appaltato alla Libia e poi subappaltato all’Italia: c’è un interscambio forte e quindi un certo ascendente l’Italia può esercitarlo se decide di usarlo. E noi è su questo che dobbiamo spingere e puntare, attraverso risoluzioni, attraverso l’impegno di parlamentari sensibili alla causa del Darfur. E’ più facile in Europa, in Europa c’è più sensibilità rispetto all’Italia. Però anche qui ci stiamo arrivando: ci sono stati recentemente nelle discussioni per il rifinanziamento delle missioni italiane all’estero in questi giorni in parlamento c’è stato l’impegno di alcuni dei più importanti esponenti sia dell’opposizione che della maggioranza nelle Commissioni Esteri e Difesa affinché venisse rifinanziata la missione italiana in Darfur. Il Governo ha accettato attraverso un Ordine del Giorno, queste richieste. Adesso dobbiamo aspettare per vedere se c’è effettivamente questo finanziamento. Dobbiamo denunciare se venisse meno questo accordo, questa promessa.
Zennaro Giulio
C’è una presenza italiana in Darfur?
Antonella Napoli
La presenza militare è simbolica perché il Sudan ha negato i permessi: ci sono tre funzionari, due militari e uno civile che erano in missione per preparare la missione che doveva partire per dare supporto a UNAMID: era stata prevista una missione di 6 milioni di euro con cento militari, bloccato per un motivo banale di visti che il governo sudanese ha negato. Hanno spostato quei soldi sull’Afghanistan. Oggi c’è la richiesta di riportare quei 6 milioni di euro sul Darfur.
Elena IIIA
Avete anche altri scopi oltre la sensibilizzazione?
Antonella Napoli
Noi abbiamo assunto questo impegno per sensibilizzare per dare un sostegno alla causa informando su quello che avveniva. Abbiamo fatto una campagna per dare più spazio al Darfur sui media. Abbiamo fatto una campagna per cancellare la condanna a morte dei bambini soldato e abbiamo dei progetti che sosteniamo attraverso una nostra organizzazione partner che ha sede proprio a Karthoum. Attualmente abbiamo un ospedale pediatrico a Nyala, in collaborazione con Emergency aperto a luglio dell’anno scorso; poi c’è un progetto che portiamo avanti ad Elobede ed è una scuola di orfani gestita da un padre straordinario di ottant’anni, padre Donati. Trovate tutto sul sito. Abbiamo due progetti in attesa di supporto e finanziamento: una è una scuola in Darfur per i ragazzi e bambini che vivono nei campi profughi e l’altro è un progetto di micro orti, cioè vogliamo insegnare alle persone che vicono nei campi e non hanno un proprio lavoro, una propria fonte di sostentamento, a coltivare dei micro orti per l’auto sostentamento. La nostra finalità è quella di spingere queste persone a lasciare un giorno questi campi profughi, perché la vita lì è veramente al limite della sopravvivenza. Non è vita, il nostro obiettivo è quello di ridare dignità a queste persone, fare in modo che un giorno possano tornare a una vita normale. Non potrò mai ringraziare abbastanza i professori che vi hanno sensibilizzato, sia quelli del PES che tutti gli altri: già il fatto che siate qui presenti è un grande successo per me e da parte vostra è un atto di grande generosità, perché anche dedicare due tre ore alla causa, ad ascoltare, è già un passo importante. E io di questo vi sono davvero molto grata.
Zennaro Giulio
Chiedo quali altre organizzazioni umanitarie lavorano attualmente in Darfur e un aggiornamento sulla situazione di bambini soldato condannati a morte.
Antonella Napoli
Non ci sono organizzazioni italiane: ci sono progetti in cui sono impegnati Emergency, Copi e Intersos, che lavorano nei campi profughi gestiti dall’ONU. Ci sono state due diverse petizioni per due diverse vicende. Una era quella legata a sei bambini soldato condannati per l’episodio dell’attacco a Mdurman che è la città gemella della capitale Karthoum. Praticamente nel maggio 2008 il JEM voleva arrivare nella capitale con oltre 300 uomini. Ovviamente fu sgominato questo attacco e furono catturati oltre che uccisi moltissimi guerriglieri. Furono catturati oltre 150 ribelli, tra cui molti adolescenti e alcuni bambini. Di questi, sei furono condannati a morte. Noi raccogliemmo oltre 15.000 firme e anche grazie all’intervento della Commissione Diritti Umani sudanese (fa un po’ sorridere una Commissione Diritti Umani nel Sudan) però in quel caso ci inviò una comunicazione dicendo che nessun bambino sarebbe mai stato condannato nel Sudan e che la sentenza a carico di quei sei bambini non sarebbe mai stata eseguita. Però purtroppo a novembre dello scorso anno ci hanno contattato alcuni avvocati sudanesi per segnalarci il caso di altri dieci bambini soldato, sempre facenti parte del JEM, condannati per un episodio del giugno scorso. In questo caso. Però, c’era un problema di riconoscimento, perché non essendoci i certificati di nascita, possono verificare l’età minore attraverso degli esami ossei. Noi abbiamo chiesto la ripetizione di questi esami. Per quelli evidentemente bambini è stata concessa la libertà, senza giudizio. Per quelli borderline tra 16 e 17 anni che fisicamente dimostrano di essere più grandi, c’è sempre il dubbio e su quello gioca la corte per poterli condannare. Noi abbiamo chiesto che venissero ripetuti questi esami, l’appello ha raccolto, anche con il supporto di Amnesty, 20.000 firme anche in questo caso e siamo in attesa. Amnesty è presente a livello internazionale sul Sudan e sul Darfur, in Italia meno: sono impegnati per il rispetto dei diritti umani all’interno dell’Italia. La prima volta che si sono impegnati Amnesty italiana per i diritti umani fuori dall’Italia è stato in occasione del nostro terzo Golbal Day. Questo per farvi capire come funzionano le cose in Italia e l’interesse che c’è in Italia per il Darfur. Ed è per questo che voglio che voi facciate qualcosa. Siamo in attesa che la Corte Suprema risponda a questo appello. Abbiamo avuto forti garanzie che anche stavolta riusciremo a salvare questi ragazzi.
Zennaro Giulio
Vi propongo di firmare la petizione, sia per i bambini soldato entrando nel sito (www.italiansfordarfur.it), sia per avere più notizie sui massmedia, potete farlo già qui. Comprate il libro. Se siete interessati a continuare a sostenere il Darfur e i ragazzi che stanno facendo questo lavoro, lasciate i vostri dati che vi contatteremo e c’è ancora la possibilità di iscriversi al viaggio a Ginevra o a Strasburgo. Adesso Maddalena vi dà un avviso importante.
Maddalena Bernabei
Il 4 marzo ci sarà la 12 ore: come l’anno scorso noi avevamo preparato un laboratorio e preparato la cena dei popoli, che è una cena multietnica e che ci sarà anche quest’anno; faremo vedere il film sul Darfur e apriremo un nuovo dibattito. Spero di vedervi tutti e volevo ringraziarvi sia di essere qui sia per essere stati attenti e attivi per queste due ore. Grazie.
Zennaro Giulio
Ringrazio Antonella Napoli che è venuta da Roma a portarci questa speranza di cui il Darfur ha bisogno e che i giovani come voi sensibili ai diritti umani sapranno raccogliere e diffondere con entusiasmo e responsabilità.
Antonella Napoli
Anch’io voglio ringraziare voi. Se qualcuno di voi avesse voglia di leggere il libro e volesse esprimermi un proprio giudizio io sarei lieti di riceverli nella mail oppure contattatemi su face book e sarò lieta di inserirvi tra i miei contatti. Chiunque voglia esprimere un giudizio.
Zennaro Giulio
Nei prossimi giorni vi contatteremo classe per classe e vi faremo pervenire un promemoria di tutte queste cose e vedremo di organizzare questa continuazione di sensibilizzazione. Grazie a tutti.


SALA ANZIANI COMUNE DI PADOVA
INCONTRO CON ANTONELLA NAPOLI

Zennaro Giulio
Sono il Referente di questo laboratorio del PES che ha organizzato questo incontro con Antonella Napoli, Presidente di Italians for Darfur. Devo dire che già nell’incontro tenuto questa mattina al Marchesi c’è stata una grande commozione, una grande intensità di partecipazione responsabile e motivata. Devo ringraziare questi ragazzi che adesso si presenteranno, per il loro impegno, per il loro coraggio e la sensibilità verso tutto ciò che è l’umano in gioco nei diritti dei popoli e delle persone. Hanno scelto il Darfur come esempio di diritti umani violati negli elementi più fondamentali e primordiali, la dignità della vita, l’esistenza stessa, l’integrità della persona. Io ho imparato molto da questi ragazzi, da questi giovani, dal loro coraggio, dal loro altruismo, dalla loro dedizione con cui spendono del tempo e delle energie, vi assicuro senza trascurare lo studio, anzi, mettendoci più passione ancora, in quello che il normale compito e dovere scolastico. Quello che facciamo oggi è qualcosa di eccezionale, di grande, perché anche supplisce a una mancanza che c’è negli adulti, in chi ha il potere e in chi detiene i mezzi di comunicazione: non informa, non fa sapere quello che sta succedendo. E allora questi giovani si prendono il loro diritto di sapere e di informazione e cominciano a gestirselo, perché è ora di finirla di rimanere sempre all’oscuro di quello che succede. Questi giovani stanno diventando protagonisti anche dell’informazione. Stiamo facendo una petizione perché le reti di informazione diano più spazio: vi chiediamo di aderire. Noi partiamo dall’idea che bisogna cominciare, perché se Nelson Mandela non avesse cominciato, se Gandhi non avesse cominciato, non si sarebbero raggiunti i risultati che si sono raggiunti in quelle situazioni. Quindi, è inutile dire: “Tanto non serve”, perché non ci fa migliorare, anzi ci f diventare un po’ conniventi con quello che andiamo a criticare. Io ho imparato questo, insieme anche a altri colleghi che vedo presenti: da questi giovani si può imparare che la speranza non è un’utopia, ma è qualcosa che si può realizzare da subito.
Giuseppe Maggioni
Ringrazio il prof. Zennaro per l’intervento introduttivo, sono studenti al secondo anno di Medicina all’Università di Padova. Prima di cominciare voglio che sappiate una cosa: io e gli altri siamo qua per una parola che è stata pronunciata in una occasione particolare. Siamo in tre oggi i superstiti di una avventura pazzesca: nel 2009 abbiamo partecipato per la prima volta al Global Day for Darfur e c’è stata una parola pronunciata da un profugo in un’occasione estremamente commovente il cui solo ricordo mi commuove e mi impressiona fortemente e questa parola era “Grazie”, un grazie veramente speciale come poche volte ne ho sentito per quello che stavamo facendo noi soltanto informando, non eravamo ancora giunti a questo punto a cui siamo giunti oggi. Ricordando quel grazie ogni momento in cui facciamo il laboratorio io mi ricordo di quel senso di grandiosa pienezza e di grandiosa gioia nel fare quello che sto facendo e penso anche che se lo ricordino coloro che erano con me come il prof. Cofini e Piero. Con questo grazie io ringrazio innanzitutto la scuola per averci dato la possibilità di fare questo, ringrazio la Preside Antonella Visentin in prima persona, il prof. Zennaro, gli altri professori del mio liceo, tutti gli studenti e i meravigliosi studenti del mio laboratorio che continuano a dare prova di grande dedizione. Ringrazio tutti voi che siete presenti per condividere questo momento davvero eccezionale, perché una sala così non l’avevo ancora mai vista e sono davvero commosso, ringrazio la Croce Rossa di Padova che ci ha prestato i poster che vediamo, Raphael Broniatowski che non può essere presente e con cui è nata una collaborazione. Infine devo ringraziare il Comune di Padova che ci ha permesso di realizzare questo evento. Non mi dilungo oltre e vi ricordo solo una cosa che ho imparato in questa esperienza di tre anni di laboratorio: che il mondo cambia solamente in rapporto a quanto noi decidiamo di cambiare noi stessi. Io con quel grazie ho deciso di cambiare profondamente me stesso per farne una persona migliore ed è nato tutto questo. Vi dico di cominciare a chiedervi cosa potete fare voi per il mondo e non chiedervi che cosa può fare il mondo per voi.
Dirigente Scolastico del Marchesi Antonella Visentin
Senza alcun merito prendo la parola per dirvi una cosa sola nel senso che i ragazzi sono completamente esaustivi non solo su questo progetto ma anche su quello che la scuola a volte quando è fortunata può dare loro. Fortunata nel senso che la scuola è i ragazzi che la costituiscono. Non c’ dirigente, progetto, contenitore, che non debba fare i conti con il contenuto: il contenuto sono loro, la sostanza sono loro, quindi credo che le loro parole facciano di più di quello che posso fare io dal punto di vista istituzionale ci tenevo ad esserci perché credo molto nel loro protagonismo e nella bellezza dei nostri studenti. Nostri intendo del nostro Paese, non necessariamente solo della nostra scuola, perché i giovani sono tutt’altro da quello che si sente dai mass media. Chi lavora nella scuola lo sa, lo sanno i docenti che sono impegnati con grandi risorse umane, poche finanziarie ed economiche. Una domanda che i giornalisti ci hanno fatto nella conferenza stampa della presentazione di questo incontro è stata: “Ma i tagli come hanno influito sulla realizzazione di questo progetto?”. I tagli influiscono in molte cose sicuramente in altri contesti, in questi progetti non influiscono perché la scuola va avanti per fortuna anche per le risorse umane di cui dispone, non tanto per le risorse economiche sennò saremmo molto più indietro di come siamo. Quindi il mio ringraziamento va a loro, io non ho nessun merito se non di credere insieme ai miei docenti e agli studenti in questi percorsi che sono sicuramente di altissimo valore formativo per quanto riguarda la dimensione formativa educativa e anche curricolare della cittadinanza. Grazie.
Sara Poletto
Ringraziamo la Preside per i complimenti. Io insieme con un gruppo di miei compagni di classe abbiamo cominciato a partecipare al PES due anni fa. L’anno scorso siamo andati a Ginevra, all’ONU e abbiamo parlato con un funzionario importante e gli abbiamo posto delle domande che ci siamo posti durante l’anno sui diritti violati di questa popolazione e abbiamo sentito che la nostra coscienza era messa in discussione proprio in quanto uomini e ci siamo sentiti provocati a informarci prima di tutto e di sensibilizzare gli altri nostri compagni su quello che sta succedendo adesso. Successivamente siamo andati al Global Day e abbiamo conosciuto Antonella, l’abbiamo invitata e oggi è qui con noi per parlarci del Darfur.
Maddalena Bernabei
La prima domanda che sorge spontanea in voi potrebbe essere: “Questi ragazzi perché stanno facendo tutto questo?”. La risposta è sia per fare informazione perché il Darfur è un conflitto su cui nessuno pone attenzione, quindi il primo passo è quello di essere informati su quello che sta succedendo fuori della nostra piccola realtà. Il secondo motivo è che è bello parlare di ideali, ama bisogna anche fare qualcosa di concreto insieme, abbiamo sempre la speranza che qualcosa cambi. Siamo ragazzi di 17 anni, sappiamo che non possiamo fare molto, però già il fatto che siete qua e uscirete sapendo qualcosa di più è già tanto. Se a questo uno di noi aggiunge un buon proposito, ci riflette e ci pensa, per noi è già tanto.
Reportage di Antonella Napoli: “Andata e ritorno dall’inferno del Darfur”
Antonella Napoli
Ogni volta che rivedo queste immagini e parlo di Darfur provo sempre una emozione molto forte. Perché il Darfur? Ho capito che quella era una crisi diversa dalle altre fin da subito e che si stava consumando un nuovo genocidio, dopo che il Ruanda aveva fatto dire mai più. Quello che più mi ha colpito nei campi non sono solo gli sguardi con il terrore dentro ma la mancanza di speranza perché si sentivano abbandonati e sentivano di non poter contare sulla comunità internazionale. Mi è rimasta addosso una grande frustrazione. Io ho visto con i miei occhi: il Darfur colpisce ognuno di noi, lì viene violato non solo il diritto all’esistenza ma anche viene cancellato l’essere umano. In Italia c’era silenzio totale, nessuno parlava di Darfur. Da quando ci siamo noi a risvegliare l’informazione qualcosa si è mosso passando da 13 a 57 notizia all’anno nei TG. Rimane poca l’informazione che si fa sul Darfur ed è questo che mi spinge a sacrificare la mia vita. Io non posso più ormai fare un passo indietro e spero che anche altri possano essere coinvolti nella difesa dei diritti umani. Chiedo di dedicare un attimo di riflessione, oggi ancora più di prima. Bombardano senza pensare che le vittime sono donne e bambini. E’ per questo che bisogna fare pressione sulle Istituzioni. La missione di pace ONU presente lì non riesce ad essere efficace, perché non hanno i mezzi per garantire la protezione né alla popolazione né a loro stessi. Ci vuole una grande spinta dell’opinione pubblica sennò i governi non faranno nulla. Miriam mi ha raccontato la sua storia terribile. Mi ha detto di volere un abito azzurro considerato simbolo di purezza e di trovare marito. Le donne sudanesi sono molto belle, molto fiere. L’intensità del colore è un orgoglio e manifestare la propria appartenenza. Ma una donna violentata difficilmente trova un marito perché non ha valore per la loro cultura. Le donne violentate vengono emarginate perché sono considerate un peso. Nei suoi occhi leggo una speranza, hanno ritrovato una speranza quando si sono mossi gli USA. Ci credo e spero di avervi trasmesso questo mio impegno: che questo popolo torni ad avere una vita degna di questo nome.
Domanda: che messaggio hai voluto lanciare con il turo libro?
Antonella: il libro è una raccolta di storie e immagini, volti di donne e bambini che sono la maggioranza perché gli uomini sono stati uccisi durante gli attacchi ai villaggi. Ho raccolto la storia delle donne: hanno lasciato l’appello: non lasciateci sole, ho cercato di raccogliere documenti che testimoniano i crimini commessi in Darfur e mostrare visivamente la storia del Darfur. Il libro sostiene uno dei pochi ospedali aperti in Darfur a Nyala. Ho visto il campo di Zanzan Camp per 100.000 persone, con due ambulatori che alle 5 del pomeriggio chiudono lasciando scoperta la popolazione alla notte: questo rende idea di che bisogno ci sia.
Domanda: quale futuro si prospetta per il Darfur?
Antonella: l’accordo dopo la guerra civile era per il referendum. La popolazione ha votato per l’indipendenza, ma ciò fa crescere la tensione in Darfur che ha chiesto una autonomia, ma il governo non l’accetterà mai perché gran parte delle risorse sono nel meridione e nel Darfur. L’instabilità rende molto difficile il futuro di questo paese.
Domanda: cosa possiamo fare noi adesso?
Antonella: informarsi e sapere che c’è una crisi e che un contributo si può dare anche solo partecipando a una sottoscrizione, acquistando il libro: è soprattutto l’indifferenza che fa sì che la crisi non si risolva. Se ognuno coinvolge altre persone sarebbe un successo. La ignoranza della violazione dei diritti umani ha ricadute anche su di noi: Le crisi lì si ripercuotono in immigrazione. Cerchiamo di aiutare la gente lì a riappropriarsi della propria vita. Per questo credo molto nei giovani, e cerco di coinvolgerli come voi di Padova perché è formando e dando alle giovani generazioni consapevolezza, gli strumenti per capire che i diritti fondamentali, i diritti dell’uomo devono essere alla base di ogni comunità, ognuno deve poter manifestare il proprio diritto: è per questo che è importante informarsi e coinvolgere persone vicine per quanto si può.
Domanda: maggiori particolari sulle due campagne fatte da IFD e perché si parla così poco di Darfur
Antonella: noi abbiamo questi appelli, in particolare quello dei bambini soldato, perché una delle conseguenze di questo conflitto è il reclutamento di bambini dai 10 ai 16 anni. Per ben due volte noi siamo stati informati di condanne a morte a carico di minori. La prima volta nel 1009 c’erano sei bambini soldato condannati: abbiamo avviato una raccolta di firme che ha ottenuto un buon riscontro raccogliendo oltre 15.000 firme. La Commissione Diritti Umani sudanese ha accolto questo appello e ci ha informato che questi bambini non sarebbero stati giustiziati. Purtroppo siamo venuti a conoscenza lo scorso novembre che altri nove bambini soldato avevano avuto un processo e considerati colpevoli, quindi condannati a morte. La situazione in questo caso era però più complessa, perché per la maggior parte di loro non era presente un certificato perché quella che è per noi l’anagrafe nei villaggi di questi ragazzi era andata distrutta e quindi non era possibile accertare l’età effettiva. C’è un esame che permette di verificare l’età effettiva e abbiamo chiesto di effettuare questo esame. Abbiamo raccolto delle firme per salvare questi bambini e la sottoscrizione è ancora aperta: chiunque può andare sul sito www.italiansfordarfur.it , aprire le pagine degli appelli e sottoscriverlo. Siamo in attesa che si pronunci la Corte Suprema che deve accogliere attraverso i loro avvocati la richiesta che è stata avanzata. Questa volta è più dura, più difficile perché il governo sta cercando di dare degli esempio condannando ribelli anche molto giovani senza preoccuparsi se stanno giustiziano un minore o meno. L’appello dei massmedia è stata la nostra prima iniziativa: abbiamo lanciato un appello per chiedere a RAI, Mediaset e LA7 di dare maggiori informazioni sul Darfur, su questa crisi dimenticata. Visto che la commissione di vigilanza Rai ha anche accolto questo nostro appello, qualcosa si è mosso. Però in ogni caso noi continuiamo a chiedere consenso, perché più firme raccogliamo, più persone spingono e vogliono vedere più notizie sul Darfur, altri reportage, film o documentari, è utile. Perché quello che ci viene propinato dai programmi e palinsesti televisivi è quello che ci aspettiamo. Anche in questo caso chiunque voglia firmare l’appello per chiedere maggiore informazione sul Darfur, può andare sul sito. A volte do per scontate queste cose, lavorandoci da anni, ritengo sia stata fatta la divulgazione più ampia, però ritengo giusto rimarcarlo.
Claudio Piron, Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Padova
… Il Pes si propone di rendere i giovani protagonisti attivi anche della vita culturale, sociale, civile, politica anche nel senso pieno del termine. Penso che sia importante perché è una delle prime esperienze che ho conosciuto come amministratore. Mi hanno chiesto di aiutarli, di sostenerli, ma penso di avere fatto molto poco se non quello di dire: “Ragazzi avanti, metteteci tutto l’impegno che serve e soprattutto datevi davvero questo vestito, questo contenitore, questa associazione che può diventare un soggetto civile presente nella nostra città. Credo che questo sia un salto di qualità notevole, molto importante. Noi in città abbiamo più di 1200 associazioni, però ogni volta che un gruppo di persone e per fortuna non è stata l’unica questa esperienza, soprattutto di giovani che stanno studiando che si stanno formando ad essere cittadini adulti, trovano questi percorsi e decidono di percorrerli, di darsi un nome e un cognome da un punto di vista di aggregazione, è un nuovo mondo vitale che viene a nascere e questo è a beneficio della città, per la comunità. E’ una esperienza diretta di democrazia, di partecipazione. Ci sono delle responsabilità da assumere, le iniziative, gli impegni e voi ne avete fatte tante in questi pochi anni. Quindi è una esperienza molto importante a mio avviso ed è la dimostrazione che i giovani sanno essere all’altezza dei tempi. Come diceva il professore noi dobbiamo semplicemente accompagnarli, non togliere loro lo spazio, le opportunità, ma soprattutto dare loro lo spazio ai loro pensieri alle loro parole. Fare riflessione, porre il dito sulla piaga è uno dei compiti che credo prioritario in questa stagione, far conoscere… C’è una frase molto bella che avete messo nel vostro volantino: “Non posso più stare a guardare senza fare nulla”. E’ proprio questo quello che vi è chiesto e che state facendo, ed è fondamentale essere consapevoli di questo perché occorre conoscere e fare conoscere. Quindi io ringrazio Antonella Napoli e tutti coloro che stanno lavorando su queste tragedie, purtroppo, perché c’è una coltre di silenzio che è stata messa sopra, perché ci disturba, perché forse abbiamo qualche complicità, qualche responsabilità. Perché disturba il quieto vivere, perché non ci fa consumare in pace, perché ci pone qualche interrogativo in più. E poi conoscere e far conoscere, perché non basta saperlo noi, dobbiamo farlo sapere a quante più persone possibili. Abbiamo visto l’altro giorno in conferenza stampa quanto difficile sia avere i giornalisti che dicano come stanno le cose e che le facciano conoscere all’opinione pubblica. Abbiamo fatto una fatica tremenda e alla fine abbiamo avuto in un quotidiano un francobollo. Quanto ci è costato quel francobollo! Credo che sia importante dire di che cosa si tratta quando si parla di Darfur, perché il termine corretto è genocidio e la storia sembra insegnare molto poco. E quindi è stato importante porre l’attenzione su un genocidio in atto in un periodo in cui stiamo facendo una riflessione sul genocidio della Shoah, di uno sterminio programmato, calcolato nei minimi particolari. Questo genocidio è un crimine contro l’umanità che ci riguarda tutti, nessuno escluso. Noi, in questa parte di mondo civilizzato che si permette di mettere milioni di ore di lavoro di giornalisti e magistrati sulle gonne di qualche signorina, è una grave complicità sul silenzio prodotto su questo e su altri temi fortissimi. Non c’è solo la responsabilità della politica, ma anche di quelli che vivono, lucrano su queste cose, che siano vere o false, al di là del fatto che io non voglio entrare nello specifico, ma il fatto in sé mi allarma, perché l’attenzione è posta solo su questo. E’ possibile, chiedo a questi ragazzi di 18-20 anni? E’ possibile che siamo costretti a leggere sui giornali gli SMS di genitori che parlano con le figlie se sono riusciti ad entrare in quella casa piuttosto che in un’altra a fare chissà che cosa. E questo è uno scandalo o no? Abbiamo il coraggio di dirle queste cose o no? E abbiamo il coraggio di chiedere ai media l’attenzione sulle cose che contano, che fanno la differenza nella vita nostra e degli altri? Io credo che avete ragione di insistere. Finché non tocca a noi, è sempre così. Leggevo in auto una delle frasi che mettiamo nei libretti che accompagnano i vostri viaggi nei campi di concentramento del pastore Martin Limoder. “Quando i nazisti presero i comunisti io non dissi nulla, perché non ero comunista. Quando presero i socialdemocratici io non dissi nulla, perché non ero socialdemocratico. Quando presero i sindacalisti io non dissi nulla, perché non ero sindacalista. Quando presero gli ebrei non dissi nulla perché non ero nemmeno ebreo. Poi vennero a prendere me, ma ero rimasto solo e nessuno disse qualcosa”. Quindi il senso di appartenenza al genere umano non deve lasciarci dormire tranquilli la notte. Credo che avere Antonella Napoli e il libro che ha scritto, di seminare questa attenzione sia il nostro compito di cittadini. Sono arrivato tardi perché ho partecipato alla riunione dei Comuni che partecipano ad Avviso Pubblico, associazione parallela a Libera che lavora per la formazione civica contro le mafie. ‘erano dei sindaci che hanno subito recentemente attentati: se ne parla solo il giorno in cui succede e poi tutto viene messo a tacere. Mi hanno chiesto dalla presidenza del direttivo di farmi carico di assumere la responsabilità per provare a mettere insieme uno scambio strutturato dei comuni del nord, centro e sud Italia, perché molti per fortuna sanno, mi chiamano in altre città per illustrare le cose che stiamo facendo con voi in tutti i nostri viaggi e le nostre attività. Questo ve lo dico non perché serva a mettere una medaglia in più per noi, ma perché se è stato conosciuto tutto questo il merito è vostro delle scuole, di organizzatori come PES, che danno modo a una amministrazione, ad una giunta di stare a fianco dei giovani, di muovere qualche passo, provando a farlo insieme senza strattoni in avanti e senza perdere qualcuno. Quindi proveremo a impegnarci anche in questo settore dell’educazione alla legalità. Dal 15 al 18 marzo saremo insieme ai giovani che lavorano sulle terre confiscati alle mafie, rientreremo a Potenza per fare la manifestazione nazionale contro le mafie e poi il 21 celebreremo questa giornata a Padova contro le mafie. Spero di avervi in queste manifestazioni, di avere la vostra presenza anche in questi viaggi, spero che sia un altro tassello che fa crescere in umanità, in maturità civile, in democrazia e partecipazione le vostre vite e la vita della nostra comunità. Grazie davvero di cuore per il lavoro che avete fatto, ma soprattutto per l’impegno che certamente continuerete a portare avanti. Chiedo scusa di non potere essere stato presente perché per noi che abbiamo qualche responsabilità in più ascoltare quello che fanno gente come voi non può fare altro che bene, ma purtroppo non sempre ci riusciamo. Immagino che sia assodato che la prossima occasione ci vedremo in Sala Consigliare per la vostra assemblea. Grazie davvero.
Zennaro Giulio
L’assessore l’ha detto e quindi lo ribadiamo: il 14 marzo il PES TIENE LA SUA ASSEMBLEA PLENARIA NELLA SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE. RINGRAZIAMO L’ASSESSORE E TUTTA L’AMMINISTRAZIONE PER L’OSPITALITA’ E IL RICONOSCIMENTO CHE DA’ IN QUESTO MODO ALLA BUONA VOLOTA’ DI QUESTI GIOVANI.

martedì, febbraio 15, 2011

Sudan, nuovi attacchi nel Sud: 211 morti

Duecentoundici persone, in maggioranza civili, sono rimaste uccise in violenti scontri nella regione di Jongley. Tra le vittime molte donne e bambini. A denunciarlo le autorità del nuovo governo del Sud Sudan che accusano il Nord di essere i mandanti dei nuovi raid che stanno insanguinando la regione, in particolare l'importante area petrolifera.
A compiere quello che appare un vero e proprio massacro, secondo un portavoce dell’Splm, i ribelli guidati da George Athor, un ex ufficiale dell’esercito sudanese che, sconfitto alle elezioni del 2010, ha creato una propria milizia privata.
Queste violenze sono solo l'ennesimo episodio di sangue che sta caratterizzando i primi passi del Sud Sudan indipendente, che non cambierà nome e sarà una repubblica democratica, diventando il 54° Stato africano riconosciuto da un voto plebiscitario (il 98,83% dei sud sudanesi ha voluto l'indipendenza) e si avvia verso un futuro tutt'altro che semplice, già segnato da numerosi episodi di violenza e spargimenti di sangue.
Tra i più gravi l'attentato al ministro sudsudanese per lo Sviluppo rurale e le cooperative, Jimmy Lemi Milla, ucciso a colpi di arma da fuoco il giorno dopo l'annuncio dei risultati definitivi del referendum.

giovedì, febbraio 10, 2011

Il Sudan pronto a uscire dalla lista degli "Stati canaglia"

Ha preso il via a Washington, questa settimana, il processo che porterà il Sudan fuori dalla lista nera degli "Stati canaglia".
Per i prossimi sei mesi, salvo cambiamenti di rotta, l'amministrazione USA rivaluterà l'operato di Khartoum nelle operazioni contro il terrorismo condotte con la CIA, l'agenzia governativa statunitense.
Dal 1993, il Sudan era stato accusato di collaborazionismo con il terrorismo internazionale di stampo islamista, ma nel 1999, proprio l'avvento di Omar Bashir portò il governo di Khartoum ad essere uno dei migliori alleati della CIA contro Al-Quaeda. Bashir, con un colpo di Stato, allontanò il fondamentalista Hassan al Turabi, ancora oggi suo principale rivale e, probabilmente, ispiratore del JEM, il movimento armato ribelle del Darfur, il meno numeroso dei gruppi ribelli ma il meglio armato.
Il Sudan auspica ora che gli Stati Uniti cancellino anche le sanzioni economiche che investono il Paese dal 1997, sanzioni che difficilmente potranno essere però rimosse finchè non si raggiungerà la pace in Darfur.
Pace sempre difficile, in un Paese il cui nemico-amico sembra godere ancora di buoen credenziali.

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venerdì, febbraio 04, 2011

Sudan, appello per la libertà di giornalisti e studenti

FIRMATE PER CHIEDERE L'IMMEDIATA SCARCERAZIONE


Un appello al governo del Sudan per chiedere la liberazione di 19 giornalisti, arrestati nell'ultima settimana a Khartoum, e fermare l'ondata repressiva nel Paese che ha visto finire in carcere centinaia di persone tra studenti, operatori dell'informazione, attivisti per i diritti umani ed esponenti dell'opposizione. Italians for Darfur e Articolo 21, ancora una volta insieme, lanciano l'iniziativa affinché si accendano i riflettori anche sulla rivolta sudanese dopo quelle di Tunisia ed Egitto.
A quattro giorni dal fermo di sette cronisti, denunciato dal 'Network of Sudanese Journalists', con la sola 'colpa' di aver seguito la manifestazione del 30 gennaio organizzata nella Capitale dagli studenti universitari, giovedì 3 febbraio altri dodici colleghi sono stati arrestati per aver partecipato a un convegno del Partito comunista sudanese.
Le persone fermate, tra cui cinque donne, lavorano per un giornale dell'opposizione, Al-Maidan, e sono a rischio di torture.
Subito dopo gli eventi del 30 gennaio 'Italians for Darfur' e 'Amnesty International' avevano chiesto al presidente Omar Hassan Al Bashir di porre fine al giro di vite sulla libertà di espressione culminata con l'azione antisommossa dei giorni scorsi che ha causato la morte di un ragazzo, poco più che ventenne, e il ferimento di decine di manifestanti.


http://www.articolo21.org/75/appello/liberta-per-i-19-giornalisti-sudanesi-arrestati-a.html

martedì, febbraio 01, 2011

Appello al Sudan per stop a repressione e violenze

Italians for Darfur e Amnesty International hanno chiesto al governo del Sudan di porre fine al giro di vite sulla libertà di espressione, dopo la violenta repressione della manifestazione del 30 gennaio contro il regime e il presidente Omar Hassa Al Bashir.

Uno studente ucciso, decine di persone ferite e oltre 80 arrestate, tra cui 7 giornalisti, il bilancio del raid antisommossa della polizia e delle forze di sicurezza sudanesi che hanno usato manganelli e gas lacrimogeni per disperdere i cortei di domenica scorsa a Khartoum e Omdurman.

Tra gli atenei promotori dell'iniziativa, l'Università islamica di Omdurman e l'Ahila University. Giovani provenienti da Wad Medani, Al- Jazzirah e Al-Obeid, quasi duemila persone, si sono riversati nelle strade di Khartoum per manifestare contro il Governo e il presidente Omar Hassan Al Bashir, colpevoli dei rincari che vessano da mesi le famiglie sudanesi.
In un primo momento sembrava che il clima fosse pacifico, ma quando il corteo ha cercato di avvicinarsi alla residenza di Bashir si sono verificati violenti scontri con la polizia.
Centinaia di giovani sono stati picchiati e arrestati dalle forze di sicurezza con il chiaro intento di frenare le dimostrazioni anti-governativa ispirate dagli eventi in Tunisia e in Egitto.
Il Nord del Sudan, che perderà miliardi di dollari in proventi petroliferi a seguito della secessione del Sud, sta affrontando una profonda crisi economica e i prezzi dei beni di prima necessità continuano a salire. Per questo il governo è stato costretto a svalutare la propria moneta rispetto al dollaro.
I giovani hanno manifestato scandendo slogan contro la politica del regime e chiedendo al presidente Bashir di dimettersi.
I poliziotti hanno usato gas lacrimogeni e manganelli per disperdere la folla. Attraverso un comunicato ufficale, la polizia ha riferito che la protesta era stata contenuta e che la "sommossa limitata, messa in scena da alcuni studenti tra cui noti agitatori, non ha coinvolto più di un centinaio di persone".
Il bilancio della repressione è stato di un morto, venti feriti, 40 studenti e 30 cittadini arrestati. Tra i fermati anche numerosi giornalisti che seguivano l'evento, sette secondo il Network of Sudanese Journalists.
La vittima sarebbe Mohamed Abdel Rahman, uno studente poco più che ventenne dell'Ahlia University di Omdurman, morto in ospedale poche ore dopo la manifestazione a causa delle lesioni subite durante gli scontri.
Un portavoce del Governo, Kamal Ubayd, membro anziano del National Congress Party (NCP), ha smentito che il decesso del giovane sia da impuiutare alle Forze dell'ordine e ha sottolineato che le proteste "limitate e deboli, erano solo un tentativo da parte di alcuni partiti della minoranza di mettere in imbarazzo il governo"..
Ma i gruppi studenteschi che hanno organizzato la manifestazione rifiutano di essere etichettati come simpatizzanti di questo o quel partito e rilanciano la rivolta annunciando nuove dimostrazioni per il mese di febbraio.
Nel frattempo, l'opposizione ha lanciato accuse e critiche feroci contro la maggioranza, sia per gli arresti arbitrari dei manifestanti sia per il peggioramento delle condizioni socio - economiche del Paese. Il leader dell'UMMA Party, Mubarak al-Fadil Al-Mahdi, ha chiesto a nome della coalizione le dimissioni immediate di Bashir per poter dar vita a un governo di transizione, al fine di salvare il Sidan da un'ulteriore degenerazione delle condizioni di vita e di stabilità.
L'uso eccessivo della forza contro chi era sceso in piazza ha suscitato la reazione e la condanna di numerose organizzazioni civili e politiche.
Yasir Arman, leader del Sudan Popular Liberation Movement (SPLM) del Nord, ha dichiarato che i "metodi utilizzati dalla polizia e dalle forze di sicurezza nei confronti dei manifestanti sono stati una palese violazione della costituzione, dei diritti umani e dei costumi della nostra società". Arman ha chiesto la liberazione di tutti i detenuti per motivi ideologici tra cui il leader dell'opposizione, l'islamista Hassan Al-Turabi.
Anche l'Associazione degli Avvocati del Darfur ha deplorato l'uso della ''violenza ingiustificata'' e ha denunciato le vessazioni contro cittadini inermi picchiati e umiliati brutalmente per la sola colpa di voler esprimere il prorprio pensiero.
Ed è solo l'inizio.