Il blog di Italians for Darfur

mercoledì, gennaio 04, 2012

La guerriglia in Darfur andrà avanti senza Khalil *

Khalil Ibrahim, leader carismatico e indiscusso del Justice and equaliment movement, il principale gruppo armato del Darfur, è stato ucciso dall'esercito del Sudan nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 2011 in un attacco a circa 440 miglia ad ovest di Khartoum, nei dintorni di Wad Banda nello stato del Nord Kordofan. Il raid ha causato la morte di altre 30 persone.
La colpa più grave del capo della ribellione darfuriana, che ha fatto scattare quella che è apparsa come una vera e propria esecuzione a colpi di bombe, è l'ideazione di un'offensiva contro il quartier generale del potere sudanese. Migliaia di guerriglieri sarebbero in marcia per sferrare un attacco simile a quello del 2008 alle porte di Omdurman, città satellite della capitale.
La morte di Ibrahim rappresenta una grave battuta d'arresto per la rivolta (attiva da nove anni) al regime guidato dal presidente Omar Hassan al Bashir. Il Jem, da tempo il movimento meglio organizzato della regione occidentale del Sudan, non ha mai accettato di sottoscrivere accordi di pace che non contemplassero l'affermazione della giustizia per il popolo del Darfur e una serie di compensazioni per chi, oltre alla casa, nel conflitto avesse perso familiari e subito violenze e abusi.
Questa contrapposizione dura, che ha portato alla mancata firma del documento finale del tavolo di confronto promosso dall'Unione Africana a Doha, in Qatar, è culminata con la ripresa degli scontri nel maggio 2010. Il cessate il fuoco raggiunto faticosamente nel febbraio dello stesso anno, dopo una lunga fase di colloqui che per la prima volta aveva visto seduti allo stesso tavolo governo e ribelli, è stato violato pochi mesi dopo.
Senza l'appoggio del movimento di Ibrahim ogni accordo di pace raggiunto da Khartoum con i gruppi minori non ha mai goduto di grande credibilità.
Nonostante il conflitto non sia più ad alta intensità dal 2006, il Jem ha continuato a contrapporsi alle Forze armate sudanesi con sporadici combattimenti, nonostante la presenza della missione ibrida Nazioni Unite e Unione africana impegnata in operazioni di peacekeeping dal 2008.
Khalil Ibrahim, pupillo dell'islamista Hassan al Tourabi, ispiratore della 'repubblica islamica' poi trasformata in regime militare da Bashir, ha fatto parte del Fronte nazionale islamico che prese il potere in un incruento colpo di Stato nel 1989.
Ministro di Stato per il Darfur, ma lontano dal potere centrale, stanco della continua marginalizzazione delle etnie africane nella regione occidentale del Sudan, Ibrahim si unì a un gruppo di dissidenti che pubblicò nel 2000 il "Libro Nero", una pungente denuncia del predominio arabo nella politica e nella gestione delle risorse nel paese - precluse a detta del fronte di opposizione agli abitanti 'neri' di quelle aree.
Quell'azione di contrasto politico fu il preludio allo scoppio della guerra, nel febbraio del 2003.
Dopo l'attacco alla capitale che costo la vita a oltre 200 persone tra militari e civili - per il quale era stato condannato a morte dalla Corte penale del Sudan che l'aveva giudicato in contumacia - il leader del Jem aveva cercato rifugio nella vicina Libia sotto la protezione di Muammar Gheddafi. All'indomani della caduta del Colonnello, Ibrahim è rientarto in Sudan e ha stretto un'alleanza con il Sudan liberation army, guidato da Wahid al Nur e Minni Minnawi, per ridare vigore all'azione della rivolta e per rovesciare il governo di Bashir.
La sua eliminazione è apparsa agli analisti delle questioni sudanesi come un messaggio diretto a tutti i ribelli a riprendere, rimosso il principale 'ostacolo', il tavolo delle trattative per raggiungere una soluzione pacifica nell'interesse del paese. Senza più spargimenti di sangue. Che tale messaggio venga recepito, appare alquanto improbabile.

*Articolo pubblicato su Limes il 3 gennaio 2012