Il blog di Italians for Darfur

lunedì, febbraio 27, 2012

E' online il rapporto sulla crisi umanitaria in Darfur, 2011-2012

E' online il rapporto "Sudan, una terra in fiamme" di Italians for Darfur Onlus. Il testo propone un resoconto della situazione in Sudan, in particolare in Darfur, nel periodo 2011-2012. 
E' stato presentato a Roma, il 23 febbraio, dalla presidente dell'associazione, Dott.ssa Antonella Napoli, presso la Sala Nassirya del Senato. Testimonials della nuova campagna 2012 per i diritti umani, Tony Esposito e Mark Kostabi.

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Rapporto Darfur 2011-12. Fred Osuru: “Non vogliamo la guerra”. Yakub Abdelnabi “Subito la no-fly zone sul Darfur”*

*di M. Annarumma per MpNews.it

Giovedì 23 febbraio, nella prestigiosa Sala Nassirya di Palazzo Madama in Roma, è stato presentato il nuovo rapporto 2011-2012 sulla crisi umanitaria in Darfur “Sudan, un Paese in fiamme”, curato da Italians for Darfur ONLUS.

Un titolo quanto mai indicativo, da solo, della situazione in Sudan, che resta tesissima, nonostante si susseguano, per ora solo sulla carta, accordi e trattative di pace tra centro e periferie del grande stato africano.

Il rapporto è stato illustrato dalla presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli, insieme al senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione per i diritti umani del Senato, Beppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, i rappresentanti della comunità del Darfur in Italia e il presidente del Sudan People's Liberation Movement Italia, Fred Osuru. Alla conferenza sono intervenuti anche i testimonial della nuova campagna di sensibilizzazione, Tony Esposito (già impegnato per il Darfur dal 2010) e Mark Kostabi, artista di fama internazionale che ha realizzato per 'Italians for Darfur' un'opera inedita la cui vendita sosterrà i progetti in Sudan dell'associazione.

Non 'è pace in Sudan. Il rapporto parla chiaro: da quando l'80% dei proventi dalla vendita del greggio sud sudanese non giunge più a Khartoum dal Sud Sudan, che dal luglio scorso ha dichiarato la sua indipendenza, si registrano continui ammassamenti di truppe lungo i confini tra i due stati.

Risale a solo pochi giorni fa la firma dell’ultimo accordo di non belligeranza, quello di Addis Abeba, tra le due parti e subito violato dalle forze aeree di Khartoum, che avrebbero bombardato la città di Jau, in Sud Sudan.

“Non vogliamo la guerra”, ha ribadito più volte Fred Osuru, rappresentante in Italia del SPLM “ e non finanziamo nè sosteniamo i ribelli armati nel Nord Sudan e in Sud Kordofan.”. “Siamo uno Stato giovane, appena nato, che deve fondare le proprie radici democratiche, come possiamo pensare a una guerra?”.

E’ un accorato appello alla comunità internazionale, affinchè non permetta che l’ennesima questione petrolifera tra due Stati africani degeneri in una nuova sanguinosa guerra.

Non va meglio in Darfur, dove 1 milione e 900 mila sfollati continua a vivere nei campi profughi. Nei primi mesi del 2011 i nuovi transfughi dalla guerra erano già 80.000. Aumentano i rientri nei propri villaggi, ma sono ancora un numero che non conforta sebbene faccia sperare in meglio, visto il trend positivo dei primi mesi del 2012. Il rientro ai propri villaggi è comunque rallentato dalle continue violenze e dalla ripresa degli scontri in molte aree della regione.

Yakub Abdelnabi, in veste di rappresentante del Justice and Equality Movement in Italia, movimento che a Luglio ha perso il leader Khalil Ibrahim, rimasto ucciso in un bombardamento, ha chiesto che non venga dimenticato il dramma, ancora vivo, della gente del Darfur. Il 70% del Darfur, fatta eccezione delle capitali, dice Yakub, è in mano ai ribelli che cercano di garantire la protezione dei civili dalle incursioni armate. Unico problema, il bombardamento aereo. “Serve subito la no-fly zone”, insomma, una richiesta che da sempre le associazioni per i diritti umani hanno rivolto alla comunità internazionale, quale unica efficace soluzione del conflitto in Darfur.

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martedì, febbraio 21, 2012

Presentazione al Senato del Rapporto Darfur 2011

A quasi un decennio dall'inizio del conflitto si continua a morire:
settantamila i nuovi sfollati nell'ultimo anno

A nove anni dall'inizio della guerra in Darfur (26 febbraio 2003) sarà presentato al Senato della Repubblica, giovedì 23 febbraio, ore 11, il Rapporto 2011 sulla crisi nella regione occidentale del Sudan e sulle violazioni dei diritti umani nel Paese dopo la separazione dal Sud Sudan con la proclamazione dell'indipendenza del luglio 2011. Il rapporto sarà illustrato dalla presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli, affiancata dai rappresentanti della comunità del Darfur in Italia e dal presidente del Sudan people's liberation movement Italia, Fred Osuru, rientrato recentemente dal Sud Sudan con testimonianze di nuovi orrori perpetrati da forze militari del Nord e milizie filo governative. Interverranno il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione per i diritti umani del Senato, Beppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International e i testimonial della nuova campagna di sensibilizzazione, Tony Esposito (già impegnato per il Darfur dal 2010) e Mark Kostabi, artista di fama internazionale che ha realizzato per 'Italians for Darfur' un'opera inedita (grafica e olio su tela 110X150 con foto di Antonella Napoli tratte dal libro "Volti e colori del Darfur") la cui vendita sosterrà i progetti in Sudan dell'associazione.

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giovedì, febbraio 16, 2012

Un anno fa, Safia Ishaq, donna coraggio.

Un anno fa, il 13 febbraio 2010 a Khartoum, SAFIA ISHAQ, attivista del movimento giovanile non-violento Girifna, venne arrestata e poi brutalmente stuprata da tre membri del National Intelligence and Security Service (NISS).
Ebbe poi il coraggio di raccontare la sua storia, e denunciare gli abusi subiti, la prima volta in Sudan. Attualmente vive in Europa.
Gli studenti sono spesso al centro della lotta per tra centro e periferie del Paese. E' di ieri la notizia, riportata da Radio Dabanga, del pestaggio di studenti del Darfur nell'Università di Omdurman, alle porte della capitale sudanese.

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Juba: Antonov sudanesi bombardano il Sud Sudan.

Gli Antonov di Khartoum avrebbero violato i cieli del Sud Sudan, domenica scorsa, bombardando l'area di Jau, secondo quanto riferito da fonti sud sudanesi ai microfoni della AFP
Non sarebbe il primo bombardamento nelle aree di confine, ricche di petrolio, nonostante il patto di non aggressione siglato pochi giorni fa ad Addis Abeba tra i due Stati.
La tensione tra i due governi continua a crescere: dalla sua separazione, Khartoum soffre del mancato introito dei proventi della vendita del greggio del Sud Sudan.

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mercoledì, febbraio 08, 2012

Articolo su Limes

Bashir si prepara alla guerra col Sud Sudan


Torna il fantasma della guerra civile in Sudan, dove un conflitto durato oltre vent’anni ha già fatto milioni di vittime. Il rischio dl nuove ostilità sembrava ormai lontano dopo lo svolgimento pacifico del referendum, nel gennaio 2011, che ha spaccato in due il più grande Stato africano.
Il mancato accordo sulla suddivisione delle risorse petrolifere tra nord e sud, culminato con la sospensione della produzione del greggio a fine gennaio, ha però incrinato il già fragile equilibrio tra Juba e Khartoum i cui rapporti, dalla proclamazione di indipendenza del Sud Sudan dello scorso luglio, sono andati man mano deteriorandosi.
Da quanto trapela dalle indiscrezioni pubblicate dal ben informato quotidiano arabo Akhbar, che ha stretti legami con la presidenza sudanese, Omar Hassan al Bashir sarebbe pronto a lanciare un attacco su larga scala contro i suoi ex connazionali. Ne avrebbe parlato apertamente durante l’ultima riunione di gabinetto con i ministri del suo governo, convocata per fare il punto sui colloqui della scorsa settimana ad Addis Abeba con il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir.
All’incontro in Etiopia, organizzato dal primo ministro etiope Meles Zenawi, erano presenti anche il presidente del Kenya Mwai Kibaki e il rappresentante dell'Unione Africana per l’attuazione degli accordi ad alto livello Thabo Mbeki. Quest’ultimo ha esercitato una forte pressione su Kiir e Bashir per convincerli a firmare un accordo ad interim che ponesse fine alle misure unilaterali adottate da Khartoum e Juba in merito alla gestione del petrolio. Ma l'empasse esasperante non è stato rotto.
Da mesi il Sud Sudan, che non ha sbocchi sul mare, a causa della disputa sul pagamento delle tasse di transito ha rallentato l'esportazione di gran parte del greggio attraverso l'oleodotto settentrionale di Port Sudan. Juba sostiene che Khartoum abbia confiscato arbitrariamente risorse petrolifere per un valore di 815 milioni di dollari. Il Sudan ha ammesso l’abuso adducendo la giustificazione del fallimento dei negoziati per la ripartizione dei proventi dell’estrazione e dell’esportazione dell’oro nero. Non essendo stato ancora raggiunto un accordo, Bashir ha pensato bene di non attendere oltre, affermando di ‘non poterselo permettere’ a causa della profonda crisi economica scaturita dalla secessione del Sud Sudan e dal mancato incasso degli introiti degli oltre 500 mila barili di petrolio che il nuovo Stato produceva quotidianamente fino a qualche giorno fa.
Proprio questa è la chiave di lettura di una crisi diplomatica che sembra ormai prossima a sfociare in un conflitto armato. Leggendo i retroscena pubblicati su Akhbar, appare chiaro che il leader del National congress party sia pronto a sferrare l’attacco che scatenerebbe la reazione del Sudan people liberation movement e dei paesi che lo sostengono - in primis gli Stati Uniti. Il presidente ricercato dalla Corte penale internazionale per i crimini in Darfur avrebbe concluso la riunione con i suoi ministri con tono rabbioso avvertendoli di "aspettarsi il peggio con il Sud".
D’altronde poche ore prima aveva anticipato quei concetti in un'intervista alla tv pubblica dello Stato del Blue Nile, dove tra l’altro è in corso una rappresaglia delle Forze armate sudanesi, annunciando che il conflitto con il Sud Sudan era una “possibilità affatto remota”, che “il clima è più di guerra che di pace”, ma che non sarebbe stato il suo paese “a cominciarla”. Questa potrebbe essere un’affermazione verosimile, a voler dar credito alle notizie su un presunto allarme lanciato poco meno di un mese fa da diverse centinaia di ufficiali delle Sudanese army force (Saf).
I militari avevano avvertito Bashir e il ministro della Difesa, Abdel Rahim Mohamed Hussein, che la corsa alla guerra con il Sud Sudan poteva avere per loro conseguenze disastrose e di non essere pronti ad affrontare un ulteriore conflitto, essendo già impegnati su vari fronti. Al momento, oltre alla cronica crisi in Darfur, si registrano scontri e combattimenti anche nel Sud Kordofan e nel Nilo Blu.
Forse per questo la mediazione dell’Unione Africana, che ha portato sul tavolo negoziale una proposta per risolvere la questione di Abyei [vedi mappa] e dell’attribuzione di tutte le risorse petrolifere, potrebbe avere ancora una chance di successo. In una prima fase l’intesa, come anticipato dall’agenzia di stampa Suna, prevede un accordo per un periodo di transizione di 30 giorni. Fino a quando non saranno definiti i dazi di transito, il Sud Sudan potrà trasportare il proprio greggio attraverso il territorio del Sudan, a fronte di compensazioni finanziarie che coprano il debito e gli interessi contratti da Juba per i pedaggi arretrati. A premere affinché le parti accettino questo compromesso c'è sia il blocco africano guidato da Mbeki, sia quello mediorientale capitanato dalla Cina, il maggiore acquirente del petrolio sudanese.
Pechino, nonostante abbia sempre giustificato le azioni di Khartoum, non ha esitato a criticare le ultime decisioni di Bashir, forse anche per le mutate condizioni di sicurezza e per gli attacchi subiti da alcune sue società operanti nel paese. Nelle scorse settimane 29 lavoratori di una compagnia idroelettrica cinese sono stati rapiti e poi liberati il 7 febbraio da un gruppo armato non ancora identificato; uno degli operai è stato ritrovato morto la sera del 6 febbraio. La Cina ha chiesto con energia la ripresa del dialogo e la sospensione di azioni unilaterali che rischiano di portare a un nuovo conflitto che avrebbe conseguenze nefaste sia per i contendenti sia per quegli Stati che condividono con essi interessi economici e politici.
Proprio questi ultimi, più di qualsiasi altro elemento, possono disinnescare la polveriera virtuale pronta a esplodere sul confine tra Sudan e Sud Sudan.

Pubblicato il 7 febbraio 2012

giovedì, febbraio 02, 2012

Una voce per il Darfur, di Abdulwahab Suliman Ahmed*




Mi chiamo Abdulwahab Suleiman Amhed e vengo da un posto molto lontano, il Darfur.
Dal 2007 sono in Italia, ma mai mi sarei immaginato di dover lasciare la mia terra e venire in Italia. Grazie a mio padre, però, ho potuto salvarmi.
In Darfur, infatti, sono già otto anni che si combatte: moltissime sono le vittime, ancora si continua a morire.
La differenza più grande, tra il mio Paese e qui, è la musica.Quando ero in darfur non potevo sentire la musica, solo tanta paura e la voce delle armi. Prima della guerra si sentiva tanta musica però.
Dal 2005 ho frequentato la scuola superiore e la leva obbligatoria. Ero minorenne. Nel campo eravamo tanti darfuriani, di tutte le etnie, ma anche arabi, e facevamo tutti parte dell'esercito sudanese.
Ci facevano tante lezioni, ti entravano dentro al cuore. Mi hanno obbligato a imparare a fare la guerra, a come uccidere gli altri.

Lì abbiamo capito che il vero problema era chi ci governava. Bashir voleva dividere le persone.Siamo uniti, arabi, fur, zaghawa, però il governo ci costringe a lottare, a dividerci. Al campo di addestramento militare eravamo tantissimi gruppi, moltissimi minorenni di 13 14 anni mandati a fare il militare.

Importante è far studiare i bambini.
Ciò che può far cambiare il corso della guerra è, infatti, studiare.
Bisogna salvare i bambini. I vecchi fra un pò muoiono, ma ciò che può cambiare nel futuro del Paese è legato al nostro futuro: se studieremo potremo cambiare tante cose.
Mi piacerebbe che venissero aperte tante scuole, che tanti bambini soldato si salvassero.
Quando arrivai a Roma nel 2007, avevo detto a mio padre che avrei voluto studiare, ma per diversi motivi non ci sono riuscito fino a quando sono andato a Trento. Lì ho iniziato gli studi in un istituto professionale.
Ho scoperto anche il piacere di fare teatro. Non cambierà nulla nella mia vita, forse, il teatro, ma spero di poterlo continuare a fare.
Il mio pensiero ogni giorno va alla mia donna, ancora in Sudan. Voglio studiare e lavorare, qualsiasi lavoro, per offrire a lei e ai miei figli che verranno una vita nuova e dignitosa. Ma non è facile trovare lavoro, anche in Italia. Se mai questo non dovesse accadere, tornerò in Sudan, a sfidare il mio destino.

*pubblicato su MPNEWS.it in Gentes, racconti dal mondo

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Dal Darfur, Restiamo Umani

Non è molta la strada che separa El Fasher da Zam Zam. A tratti un rivolo di asfalto, un po' di sterrato, un paio di check point dell'esercito localizzati lungo il percorso, ed ecco che si materializza pian piano, con quella lentezza immobile che solo l'Africa conserva come dono ma anche come maledizione, un altro genere di paesaggio. Ammassi di rifiuti costituiscono barriera e protezione per le capanne di paglia disseminate lungo i lati della strada. Donne, uomini e bambini in groppa agli asini trasportano la legna che certamente gli servirà per accendere un piccolo fuoco, unico strumento attraverso il quale potranno prepararsi un pasto. Carrettini trainati da asini stanchi anch'essi del tanto dolore trascinano uomini soli, donne afflitte, bambini affamati.
Zam Zam appare all'improvviso. Non te ne rendi conto mentre il camioncino di Relief International si muove veloce, in netto contrasto con tutto quello che c'è intorno. Sembra un colpo di flash mal riuscito in una fotografia scattata all'imbrunire. Zam Zam Unamid ti avvisa che sei nei pressi del campo. Zam Zam restaurant/Zam Zam Rest: meticolosamente riservato ai militari e obbligatoriamente vietato ai civili, quelli che per mangiare dipendono dalle organizzazioni umanitarie presenti nel campo.
Sabbia ovunque. Sabbia densa, bianca, a volte rossa, sporca, maledetta sabbia che ti entra dappertutto.
Il cancello della clinica di Relief International si apre e già arriva il primo flusso umano. Donne belle, alte, altezzosamente avanzano portando a spalla i loro bambini bisognosi di cure e di cibo.
Io sono là, ferma, immobile, incredula di quel che sta scorrendo sotto i miei occhi. Sconvolta di quel che si consuma in Darfur ogni giorno, osservo quel che si muove intorno a me senza riuscire a pensare. No, non articolavo nessun genere di riflessione. Si era creato un vuoto, un abisso incolmabile, tra ciò che si definiva al mio sguardo e ciò che si muoveva con violenza sottile nella mia anima. Strane cose accadono da queste parti del mondo. Non solo intorno a te, addosso alla gente, ma anche dentro te, e si incastrano come ferite che con cura meticolosa, forse, un giorno potrai lentamente guarire.
Da una grata una mano anziana, rugata dal sole e dalla vita, distribuisce blister di medicine e piccole bottiglie di paracetamolo. Malaria, diarrea, infezioni acute respiratorie, meningite, morbillo. Bambini malati. Di primo mattino, la capanna riservata all'accettazione si riempie a vista d'occhio. Dignitosamente adagiati su stuoie, gli sfollati interni di Zam Zam, aspettano il proprio turno, rinfrancati dalla possibilità di ricevere assistenza. Ogni tanto un pianto di qualche bimbo a cui il medico ha appena fatto la puntura per le vaccinazioni delle prime malattie dell'infanzia. Molti altri, invece, non sono stati così fortunati da essere immunizzati, e così arrivano al campo malati e probabilmente riusciranno a guarire.
C'era una donna seduta ai piedi di un albero che allattava il suo piccolo coprendosi il seno con un velo rosa. Il bambino non riusciva a tenere la testa dritta, la buttava ripetutamente all'indietro. Quel bambino ha sette mesi, ma ha anche la malaria.
C'era un'altra donna. Molto giovane. Bellissima. Sconvolta si muoveva senza riuscire a rendersi conto di dove andare e di cosa fare. Urlava lamentandosi. Portava il suo bambino, anche lui di pochi mesi, credo affetto da gravi infezioni alle vie respiratorie. Quella donna cercava aiuto. Le avevano dato delle medicine e un flacone di antipiretico. Non le avevano però spiegato in che posologia dare quelle medicine al suo bambino. Forse non si erano resi conto che era sordomuta. Non aveva capito niente, per questo urlava disperata.

 Il Bollettino made in ONU riporta quanto accaduto oggi in Darfur:

-  Il 31 gennaio 2012 in Nord Darfur nella zona di Kutum Rural & Fata Burno, Kutum Guba Area, un padre e suo figlio, stando a quel che si dice, sono state vittime di una sparatoria all'interno del loro negozio da parte di due uomini armati vestiti in uniforma militare. Gli assassini hanno ucciso l'uomo e suo figlio perchè si erano rifiutati di collaborare al tentativo di rapina.

- Oggi, 2 Febbraio 2012 in Sud Darfur, Graida Abulala IDPs, alle 15:00 ora locale, è divampato un incendio all'interno del campo. Circa 80 capanne sono state distrutte completamente, mentre al 60 hanno subito danni parziali che tuttavia le rendono inagibili alla popolazione. La causa dell'incendio è sconosciuta.

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El Fashir si prepara alla cerimonia di inaugurazione dell'Autorità regionale del Darfur

El-Fashir si prepara all'arrivo del Presidente sudanese Omar Hassan al Bashir, che giungerà nella città del Nord Darfur per inaugurare a giorni il "Darfur regional Authority", come previsto dagli accordi di Doha, siglati tra il governo sudanese e alcuni gruppi minori del largo fronte ribelle del Darfur. Il JEM, il cui leader storico Khalil Ibrahim è stato ucciso lo scorso 25 dicembre dalle forze sudanesi, ha ribadito la sua contrarietà agli accordi, definiti una farsa dal nuovo comandante Gibril Ibrahim.
Alla cerimonia parteciperà anche il presidente ciadiano Idriss Deby e l'inviato speciale delle Nazioni Unite Ibrahim Gambari. I tre erano già stati immortalati pochi giorni fa a una festosa cerimonia nuziale in Ciad, sollevando l'indignazione delle maggiori organizzazioni internazionali per i diritti umani, e riaprendo la questione della necessità di riformare l'Organizzazione delle Nazioni Unite, ormai ridotto a un colosso di funzionari zelanti e corposi uffici stampa.
Nella capitale del Nord Darfur arriveranno anche rappresentanti dell'Unione Europea, della Lega Araba e dell'Unione Africana. Quest'ultima ha già fatto trapelare la volontà di interrogare la Corte Penale Internazionale circa la possibilità di immunità in favore del Presidente sudanese Omar Hassan al Bashir, ricercato internazionale per crimini contro l'umanità.

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