Il blog di Italians for Darfur

venerdì, novembre 23, 2012

Sudan: sventato complotto, 13 arresti

(ANSA) - KARTOUM - Il ministro dell'Informazione del Sudan, Ahmed Belal Osman, ha confermato che un complotto e' stato sventato nel Paese e che 13 persone sono state arrestate. Tra gli arrestati figurano l'ex capo della Sicurezza e dell'Intelligence, Salah Gosh, oltre a agenti della Sicurezza. L'accusa, per tutti loro, e' di ''incitamento al caos'', ''aver preso di mira'' alcuni leader e di aver diffuso indiscrezioni sulla salute del presidente Omar Hassan al-Bashir, riferisce il ministro dell'Informazione.

venerdì, novembre 16, 2012

Missione in Sudan, 4 - 10 novembre 2012

Parte un progetto per salvare sei bambini del Darfur

Cari amici, prima di iniziare il resonto della nostra ultima missione in Sudan voglio raccontarvi di un'esperienza che mi ha toccato molto all’ospedale di Nyala, che abbiamo visitato mercoledì 7 novembre,.
Ho trovato una situazione disperata. Tra i tanti piccoli ricoverati sei, in particolare, erano in condizioni critiche.

Tutti i bambini sono in uno stato di salute pessimo e i medici del posto non hanno le strutture e gli strumenti necessari al loro trattamento. Da quando il centro pediatrico di Emergency è stato chiuso, non c'è altro luogo che possa fornire assistenza sanitaria ad ammalati con patologie gravi. Serve subito un ospedale adeguato. L’unica soluzione possibile è di trasferirli a Khartoum, la capitale del Sudan.
Per poterli aiutare abbiamo deciso di promuovere un nuovo - urgente - progetto umanitario che ci auguriamo possa salvare la vita di questi sei pazienti. Grazie ai nostri contatti con UN saremo in grado di garantire un volo umanitario a questi bambini e ai familiari che li accompagneranno. Le spese mediche le copriremo noi. Speriamo che tutti voi possiate darci una mano.

DONA ORA PER DARE SPERANZA A QUESTI PICCOLI ANGELI...

Ed ora passo a raccontarvi le mie impressioni sull'intera missione... 

Solo pochi mesi fa pensavamo che l'accordo di pace firmato a Doha potesse finalmente porre finire alla lunga guerra in Darfur. E invece a soli quattro mesi da quell'accordo le violenze sono riprese più cruente che mai. Nella sola settimana in cui ero in Sudan per una missione dopo la stagione delle piogge, dal 4 al 10 novembre, un gruppo armato di miliziani ha fatto irruzione in un villaggio al nord di al Fasher e ha massacrato 13 persone, in un attacco a un convoglio diplomatico sulla strada da Kebkabiya a Nyala, capitale del Sud Darfur, sono rimasti uccisi un esponente politico locale e un funzionario Onu. Infine, a causa del ritardo della fornitura dei vaccini, bloccati a Khartoum per motivi di sicurezza subito dopo la ripresa degli scontri, è scoppiata un'epidemia di febbre gialla che ha causato la morte di 107 infettati in sei settimane.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha evidenziato la pericolosità della situazione e ha lanciato l’allarme della possibile diffusione della malattia nel resto del Paese. Anche le autorità locali hanno
 espresso grande preoccupazione soprattutto in relazione alle condizioni di scarsa igiene nei campi profughi che si sono moltiplicati ai confini del paese a causa della guerra civile.

E pensare che eravamo stati partecipi e testimoni di un progetto che aveva ridato una vita normale a tanti profughi del Darfur. Gli orti realizzati dai profughi, ai quali avevamo insegnato a coltivare vegetali e altri prodotti agricoli per uso familiare, avevano acceso una flebile speranza in coloro che erano tornati in quest'angolo pacificato della regione a nord di al Fasher.
Qualcosa sembrava stesse  cambiando. Un milione di sfollati aveva lasciato i campi profughi, che li avevano accolti dopo la fuga dagli scontri e dai bombardamenti, per far rientro nei villaggi di origine.
Oggi le notizie dei nuovi scontri spazzano via quella speranza, quell’illusione di ‘normalità’ e vanificano gli sforzi di quanti lavorano per trovare una soluzione a questa crisi umanitaria ormai incancrenita.
Nell’ultimo rapporto all’Onu i vertici della missione congiunta UNAMID, dispiegata nella regione sudanese dal 2008. avevano definito il conflitto a ‘bassa intensità’, non senza evidenziare che quella in Darfur era una guerra di tutti contro tutti: le forze armate governative che si scontravano con i movimenti ribelli; gruppi armati di banditi e di predoni che lottavano tra loro e contro le milizie filo governative per contendersi il territorio da razziare.
L’unico dato che ci confortava era che le vittime civili stavano diminuendo.
Quelle informazioni tracciavano un quadro della crisi ridimensionato. Ma chi era sul campo sapeva che non era così.
I nostri partner in Sudan ci chiedevano di non abbassare la guardia. E noi non lo abbiamo fatto. Soprattutto a fronte del peggioramento dell’emergenza umanitaria determinato dalla decisione del regime di Khartoum di espellere 13 organizzazioni non governative accusate di aver ‘inventato’ le notizie fornite alla Corte penale internazionale che aveva spiccato un mandato di arresto nei confronti del presidente del Sudan, Omar Hassan al Bashir, per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.           
La mancata sostituzione di queste ong aveva causato l’interruzione, per un periodo, e il ridimensionamento, poi, del flusso di aiuti e dei servizi alla popolazione e agli sfollati per lungo tempo, portando la crisi molto vicino a un punto di non ritorno.
Come abbiamo denunciato più volte noi di ‘Italians for Darfur’, rilanciando le informazioni del Coordinamento degli aiuti umanitari in Darfur delle Nazioni Unite, la situazione umanitaria è ancora pressante.
E dopo quest’ultima missione in Sudan non possiamo che confermarlo.
Il governo sudanese si era impegnato a fare entrare nuove organizzazioni nel Paese in grado di garantire le stesse capacità di aiuto delle precedenti, ma finora non ha onorato questo impegno e al momento possono operare esclusivamente cooperanti locali e poche altre ong che non riescono a far fronte ai bisogni di tutta la popolazione sfollata.                      
L'espulsione di Oxfam, Care International, Medici senza frontiere e Save the Children ha determinato la sospensione di programmi speciali di alimentazione destinati a migliaia di bambini affetti da grave malnutrizione e alle donne in stato di gravidanza e ha messo a rischio anche le cure sanitarie e i ripari per centinaia di migliaia di persone.
Le condizioni di vita degli sfollati assistiti nei campi profughi sono notevolmente peggiorate. Se Khartoum e le Nazioni Unite non riusciranno a colmare al più presto le lacune assistenziali che sia al Nord, sia al Sud rendono indegne le condizioni di vita di 1 milione e 800, la situazione non potrà che deteriorarsi ulteriormente. Ed è questa incertezza che spinge tanti esuli a pensare di tornare nei propri villaggi. Piuttosto che sopravvivere indegnamente preferiscono rischiare, ricominciare ancora una volta, a casa propria. Non importa se non ci sono strade, ospedali, scuole. Con il tempo ricostruiranno tutto. Inshallah!
E’ noi di Italians for Darfur gli saremo accanto proseguendo la nostra campagna per il Darfur, con un attenzione particolare rivolta ai bambini, le vittime che maggiormente pagano per questa lunga e spaventosa crisi.
Noi ci crediamo. Speriamo anche voi!

Antonella Napoli
presidente di Italians for Darfur

martedì, novembre 13, 2012

Cooperazione e investimenti italiani in Sudan

 di Mauro Annarumma per Mpnews.it
 L'Italia è tra i Paesi più generosi in termini di donazioni per il Sudan. Ma lo è anche negli scambi più propriamente commerciali e negli investimenti, dai quali molti di quei fondi derivano.
...continua su Mpnews.it


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sabato, novembre 03, 2012

Si riaccende il conflitto in Darfur, noi saremo lì

Tredici morti in un villaggio del Nord, sale la tensione fra le etnie

Riprendono le violenze in Darfur. Nelle ultime ventiquattro ore si sono susseguiti vari scontri e attacchi nei villaggi nel nord della regione del Sudan in guerra dal 2003. Dalle prime notizie diffuse da Suna, l'episodio più grave si è verificato q 30 km a sud-est di Al-Facher, capitale dello Stato del Nord del Darfur.
Un gruppo di ribelli ha attaccato il villaggio di Sigili e ucciso tredici persone.
L'agenzia sudanese, che cita una fonte locale che per motivi di sicurezza ha chiesto di non essere citatata, ha parlaro di violenze tribali che hanno visto contrapposte milizie locali e sudanesi di etnia Zaghawa.

PS. Alla vigilia della mia partenza per il Sudan non sono notizie tranquillizzanti ma questo non mi fermerà di certo. Vi terrò aggiornati. Intanto un caro saluto a tutti voi che ci seguite e supportate con affetto!