Il blog di Italians for Darfur

lunedì, settembre 30, 2013

Confindustria incontra il Ministro degli Esteri del Sudan a Roma

Il Sudan è uno dei più estesi Paesi africani, il cui presidente e le principali figure chiave del regime godono da anni delle attenzioni del Tribunale Penale Internazionale per crimini contro l'umanità. 
E' anche un Paese che gode di grande attenzione per investimenti e interscambio da parte dell'Italia, che si aggiunge ad altri come Cina e Regno Unito. 
Secondo analisti del settore il Sudan si configura come una delle potenziali frontiere dell'espansione imprenditoriale italiana. 
Per questo motivo, Confindustria, in collaborazione con l’Ambasciata del Sudan a Roma ed italiana a Khartoum, tenta di coinvolgere un maggior numero di imprese italiane, in un momento in cui il mercato nazionale langue, e le invita il prossimo 3 ottobre a Roma, alla Country Presentation "The New Sudan: a trading bridge between African and Arab world". 

Come si legge nel comunicato ufficiale, "si tratta della prima presentazione in Italia del nuovo Sudan, cui interverrà il Ministro degli Esteri del Sudan, l'Ambasciatore italiano a Khartoum, l'Ambasciatore del Sudan in Italia, rappresentanti del Ministero degli Esteri assieme a imprese e rappresentanti del mondo imprenditoriale sudanese".



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sabato, settembre 28, 2013

La violenta repressione di Khartoum non fermerà la voce della democrazia e della libertà del popolo sudanese



Il governo sudanese cala la maschera e mostra il suo volto più feroce per reprimere la nuova ondata di proteste contro i rincari del carburante. Per l’opposizione le vittime sarebbero 140, per Amnesty International 50, per Khartoum 30… A parte il balletto delle cifre una cosa è certa: il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Nonostante la mano dura del governo contro i manifestanti, i gruppi universitari e gli esponenti dei partiti politici antagonisti del National congress party (il partito del presidente Omar Hassan al-Bashir) che hanno animato la rivolta non hanno intenzione di demordere.
Dopo la manifestazioni dei giorni scorsi i sudanesi dissidenti, stanchi del regime, stanno pianificando una nuova protesta antigovernativa nel centro della capitale.
E l’allarme delle organizzazioni per i diritti umani, tra cui la nostra – da sempre partner di Amnesty International e Human Right Watch nella campagna per il Sudan – cresce. L'uso della forza arbitraria e illegale nei confronti dei manifestanti che da giorni protestano contro il taglio dei sussidi alla benzina potrebbe essere ancora più dura.
Sotto accusa, tanto per cambiare, gli spietati servizi nazionali di sicurezza e d'intelligence del Sudan (Niss) che usano di prassi il pugno di ferro nei confronti di oppositori politici e attivisti, a cui non vengono risparmiati maltrattamenti di ogni genere e torture.
La situazione è precipitata tra il 24 e il 25 settembre a seguito dell'annuncio della sospensione dei sussidi per il carburante alla popolazione locale. Il prezzo del carburante è più che raddoppiato. In migliaia si sono riversati in piazza e nelle strade in tutto il paese, da Khartoum a Omdurman, da Port Sudan a Wad Madani, fino al Sud Darfur, Nyala e molti altri centri urbani dove sono stati assaltati stazioni di polizia, edifici governativi e molti distributori di benzina.
In soli due giorni sarebbero state uccise oltre cinquanta persone, colpite da armi da fuoco alla testa e al petto. Ma per opposizione e attivisti locali i morti sarebbero oltre 140.
Il Centro africano di studi sulla giustizia e la pace denuncia che solo a Omdurman sono arrivati all'obitorio 36 cadaveri, che i feriti in ospedale sono centinaia e gli interventi di urgenza eseguiti in 24 ore sono stati una quarantina.
Le vittime maggiori, ancora una volta, giovani e giovanissimi tra i 19 e i 26 anni.

Nonostante il governo abbia bloccato la rete internet per giorni e abbia intimato ai quotidiani di Khartoum di pubblicare solo notizie ‘autorizzate’ da fonti ufficiali, l’eco di quanto stia avvenendo nel Paese si sta amplificando sempre di più. 

E come nel 2011, quando incoraggiati dalla Primavera araba nei paesi del  Mediterraneo e mediorientali diedero vita a una grande manifestazione nella Capitale,  i ragazzi sudanesi si sono affidati al web sia su Facebook sia su Twitter e in migliaia aderiscono e supportano la rivolta diffondendola il più possibile. 
Anche questa volta dalla pagina ufficiale dei manifestanti, il cui slogan tradotto dall’arabo è “gioventù per il cambiamento in Sudan”, partono gli appelli alla disobbedienza civile e a manifestare contro il governo. Sui telefonini sudanesi circola un messaggio che fissa appuntamenti in vari quartieri di Khartoum e non ci saranno divieti di attività politica e restrizioni della libera espressione e di associazione, nonché il rischio di arresti, detenzioni arbitrarie, maltrattamenti e torture, che potranno fermare questa nuova ondata di proteste.

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martedì, settembre 24, 2013

Violente proteste in Sudan per il caro petrolio, raddoppiano i costi per le famiglie

Ai cittadini di Wad Madani, la seconda città del Sudan per grandezza, non è andata giù la decisione del governo sudanese di aumentare del 100% circa il costo del carburante e di ridurre drasticamente i sussidi alle famiglie per il suo consumo. La città si è risvegliata ieri in preda a violenti scontri e sassaiole tra manifestanti e forze dell'ordine.
I social network hanno fatto da cassa di risonanza, ancora una volta, agli eventi: un ragazzo di 23 anni, portato in spalla da alcuni abitanti del quartiere di Auodh, avrebbe perso la vita, ucciso da una raffica di mitra sparata da un pick-up. 
La notizia è stata solo in parte confermata dalle forze di sicurezza governative, impegnate ad arginare le manifestazioni per le strada della città.
Post di Mauro Annarumma pubblicato su TPI

lunedì, settembre 16, 2013

Sudan, 300mila sfollati in sei mesi ma la crisi per i media non esiste


Una tenda logora quattro metri per quattro. Sette brande rabberciate, tre donne e cinque bambini, altrettante siringhe da 5 millimetri di latte. Questo è l'ultimo ricordo visivo, seppur non il più forte, del mio viaggio in Darfur dello scorso inverno. 
Sono passati dieci mesi ma quell'immagine è ben nitida nella mia mente perché, nonostante la profonda disperazione che trasmettesse, era l'unico barlume di speranza in un contesto drammatico. Una millesima goccia di 'vita', rappresentata da quel latte artificiale che sostituiva quello materno delle donne darfuriane che, sfinite dalla malnutrizione e traumatizzate dal conflitto, non ne hanno più.

Nonostante la crisi umanitaria in questo angolo di mondo sia più pressante che mai e la recrudescenza degli attacchi armati, sia da parte delle forze militari governative sia di ex miliziani, non c'e' media che se ne occupi. La Siria occupa, da sola, quei già residui spazi dedicati alle notizie su conflitti e tragedie umanitarie in corso nel mondo.

A poco è valso l'impegno di organizzazioni come la nostra o la denuncia di Amnesty International, che ha di recente presentato un nuovo rapporto sulle violenze nella regione e in altre aree limitrofe dalla fine del 2012 e che negli ultimi mesi hanno registrato un'escalation che non lascia adito a dubbi. È in atto una nuova forte repressione nei confronti della ribellione e della popolazione civile del Darfur. Ma la coltre calata su questo conflitto è impenetrabile. 

Eppure almeno duecento persone sono rimaste uccise negli ultimi due mesi in Darfur nei violenti scontri tra fazioni rivali. L'ultimo bollettino umanitario fornito dalle Nazioni Unite traccia un quadro allarmante e tragico: un centinaio di esponenti della tribù Reizegat sono morti nei combattimenti, altrettanti tra le fila dei Maaliya, oltre trecento i feriti e decine di migliaia di persone, tra rifugiati del Darfur e ciadiani rimpatriati, costrette ad abbandonare i propri villaggi. Pesanti bombardamenti hanno, invece, interessato l'area del del Jebel Marra, roccaforte storica dei ribelli e in altre regioni del Nord Darfur. 

Il flusso più ampio di sfollati dai violenti scontri in Darfur è stato registrato tra gennaio e giugno 2013, poi per un paio di mesi si era ridotto per riprendere nelle ultime settimane. La maggioranza dei profughi ha cercato rifugio nella zona di Tissi, nel sud-est del Ciad. Da un’indagine retrospettiva sulla mortalità pubblicata di rcente da Medici Senza Frontiere ha rilevato che il 93% delle morti tra gli sfollati è avvenuto in Darfur, prima che potessero raggiungere il Ciad, ed è stato causato principalmente dalla violenza.
Se nella regione occidentale del Sudan a fare vittime sono gli scontri tra fazioni contrapposte, in Kordofan sono i bombardamenti delle forze armate di Khatoum. L’aeronautica sudanese da maggio scorso ha intensificato i raid sui villaggi dei Monti Nuba nonostante una dichiarazione di cessate il fuoco proclamata dal governo.

La denuncia di nuovi attacchi contro la popolazione civile mossa dal Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord è stata riportata dal Sudan Catholic Radio Network. Un cacciabombardiere Mig sudanese avrebbe sganciato quattro bombe sul villaggio di Umserdiba e altre due su quello di Genesia, distruggendo colture e abitazioni rurali. Un Antonov da trasporto convertito in rudimentale bombardiere, avrebbe poi sganciato otto bombe sui villaggi di Hejerat e Habab. 
Le Montagne Nuba si trovano nel Sud Kordofan, al confine tra Sudan e Sud Sudan, dove dal 2011 è in corso un conflitto tra l’esercito di Khartoum e l’Splm-N. 
A confermare bombardamenti e scontri ci sono foto satellitari ottenute dal Progetto Enought. L'ultimo episodio pochi giorni fa. I satelliti posizionati sull'area hanno documentato che l’aviazione sudanese ha effettuato un raid nei pressi del villaggio di Jau nello Stato sud-sudanese di Unity. 

Il bombardamento sarebbe avvenuto a pochi giorni dagli accordi raggiunti il 3 settembre tra il Presidente sudanese Omar Al-Bashir e il suo omologo sud-sudanese Salva Kiir, volti a mettere fine al lungo contenzioso sulle esportazioni di petrolio sud-sudanese attraverso le strutture controllate da Khartoum. 
I sopravvissuti raccontano le stesse storie: uomini armati, spesso in
uniformi dell'esercito, arrivano su Land Rover o altri mezzi pesanti, bruciano i loro villaggi, uccidono gli uomini, violentano le donne e fanno razzia di tutto quello che trovano.
Sono ormai 10 anni, da quando è iniziato il conflitto in Darfur, che ciclicamente si verificano episodi simili. Ma i mezzi di informazione ne parlano poco e solo se ci mette la faccia un personaggio famoso cone George Clooney. 
E questo silenzio autorizza i leader del Sudan a riprendere e continuare a massacrare la loro gente, oggi come nel 2003.

I sopravvissuti degli ultimi attacchi dicono che a guidare questa nuova repressione sia una vecchia conoscenza della Corte penale internazionale, Ali Kushayb, su cui pende già un mandato per i crimini di guerra commessi in Darfur tra il 2003 e il 2006.
Le vittime della nuova ondata di violenze sono membri di due gruppi
etnici che finora non erano mai stati colpiti, i Salamat i Beni Hussein.
Secondo le denunce degli anziani dei villaggi il governo avrebbe come obiettivo quello di scacciare dalle proprie terre i Beni Hussein perché mirerebbe all'oro di cui si è scoperta ricca essere l'area. Diversa la motivazione dell'allontanamento forzato dei Salamat, scacciati per consegnare i terrerni che coltivavano o utilizzavano per la pastorizia a un gruppo arabo 'leale' a Khartoum, i Miseriya. 

Insomma il modus operandi del presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir, ricercato dalla Cpi oltre che per crimini di guerra e crimini contro l'umanità anche per genocidio, non è cambiato. E le cifre fornite dalle Nazioni Unite, che hanno stimato in oltre 300 mila i nuovi sfollati nei primi otto mesi di quest'anno - all'incirca tanti quanti negli ultimi due anni - dovrebbero scuotere le coscienze di quanti continuano a ostinarsi a ignorare questa crisi dimenticata.


Antonella Napoli,
presidente di Italians for Darfur

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Il governo italiano ha stanziato 20 milioni di euro per il Sudan

Con gli ultimi aiuti economici per l'emergenza inondazioni in Sudan, il contributo italiano ai progetti di cooperazione in Sudan ha raggiunto quota 20 milioni di Euro, nel triennio 2011-2013.
La maggior parte dei progetti ha interessato il settore sanitario e la regione orientale. 
Il governo italiano ha finanziato anche programmi internazionali sotto la guida di agenzie delle Nazioni Unite e altri promossi da ONG nazionali, come Intersos, Coopi, Vis ed Emergency.

Anche Italians For Darfur Onlus, pur non ricevendo fondi pubblici, impegna le proprie risorse per programmi di assistenza e sviluppo in Darfur, grazie agli accordi stretti con la Ong sudanese Correcting the track of Darfur Crisis.


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mercoledì, settembre 04, 2013

Antonov sudanesi bombardano Nord Darfur da metà agosto

Pesanti bombardamenti sono riportati nell'area del massiccio del Jebel Marra, roccaforte storica dei ribelli e in altre regioni del Nord Darfur da agosto. Ancora sfollati, a migliaia, si riversano nelle aree limitrofe in cerca di riparo.

Leggi anche: Nuove restrizioni a ONU in Darfur
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lunedì, settembre 02, 2013

Milizie attaccano ospedale MSF a Tawila, Nord Darfur

Fa male al cuore la notizia, non ancora verificata, che l'ospedale di Medici Senza Frontiere, la Ong  che da anni assiste e cura le vittime e i malati in Darfur, è stato preso d'assalto da uomini armati e violenti.

Secondo le prime ricostruzioni, un gruppo di soldati che vestivano le uniformi dell'esercito sudanese e milizie progovernative avrebbero sparato sulla struttura, per derubarne computer, strumentazioni e telefoni.


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