Il blog di Italians for Darfur

martedì, ottobre 07, 2014

Testimonianza di un dottore di Msf: il dramma Darfur è più grave che mai

Dieci anni di guerra, metà popolazione tra sfollati, rifugiati e morti. Dopo la tregua del 2011, in Darfur sono ricominciati gli scontri tra l'esercito sudanese, le milizie paramilitari alleate e i gruppi indipendentisti "neri": dall'inizio del 2014, sono 385mila i civili che hanno perso la casa, raggiungendo i due milioni di profughi già nei campi.
Tutto ciò che denunciamo da mesi, come fatto negli ultimi otto anni, lo conferma la testimonianza di uno psicologo di Medici senza Frontiere, il dottore Fabio Gianfortuna.
Prosegue il conflitto in Darfur, dove la minoranza araba detentrice del potere a Khartoum è opposta ai gruppi indipendentisti (Slm, Sla, Jem) delle etnie "nere" di questa zona occidentale del Sudan. L'ultimo scontro, il 6 ottobre, quando sono stati uccisi 16 militari in un attacco dei ribelli alla guarnigione di Guldo. Nel frattempo, nel Nord Darfur è stato proclamato lo Stato di Emergenza, vietando tra l'altro il kadamool, il turbante locale che copre gran parte della faccia.
Ma lo stillicidio è costante e quotidiano: secondo le Nazioni Unite, solo dall'inizio dell'anno 385mila civili hanno dovuto lasciare le loro case, soprattutto per gli attacchi delle forze paramilitari nella zona di Nyala. In un paese di 6 milioni di abitanti, dal 2003, anno in cui iniziò la guerra civile, si contano 400mila morti, più di 2 milioni di sfollati interni e 300mila rifugiati all'estero. In Darfur, oggi tutta la popolazione è divisa in sfollati, comunità di accoglienza e popolazioni rurali tagliate fuori dagli aiuti. Non ci sono alternative a queste tre categorie di vita. È una sorta di prigione a cielo aperto, perché è vietata la libertà di movimento al di fuori della propria area di insediamento.
Così fa il punto Fabio Gianfortuna, psicologo di Medici senza Frontiere che ha coordinato un progetto di salute mentale nel campo di Shanguil Tobaya: "In Darfur, la situazione è sempre incerta, si alternano tregue più o meno ufficiali a periodi di conflitto aperto. Dopo la firma del trattato di Doha del 2011 e la costituzione del Comitato misto Nazioni Unite/Unione Africana per il cessate il fuoco, la situazione sembrava più calma, ma nel 2013 il Governo ha intensificato i bombardamenti e le milizie arabe (Janjaweed) hanno ripreso ad attaccare campi di sfollati e villaggi, proteste pacifiche sono state soppresse nel sangue e sono ripresi gli arresti sistematici, mentre i vari gruppi ribelli si son nuovamente mobilitati". Human Rights Watch e un report di Foreign Policy hanno recentemente accusato di totale inefficacia la missione internazionale di peacekeeping, forte di 20mila soldati. Il segretario dell'Onu Ban Ki-moon si è detto "preoccupato" e ha aperto un'inchiesta. In ogni caso, oggi la situazione non è quella del 2004, con centinaia di migliaia di morti, ma le speranze del 2011 sono tornate a essere solo speranze.
Gianfortuna racconta come gli abitanti del Darfur vivano da un decennio in uno stato di pericolo costante e di violazione dei diritti umani. Shanguil Tobaya, nel pieno del Sahara, è solo uno delle decine di campi sorti nel Paese: "È vicino all'incrocio tra le due principali strade del Nord; dieci anni fa, la popolazione in fuga si è fermata lì per stanchezza, dopo un cammino di settimane. E negli anni successivi i profughi sono continuati ad arrivare, con alle spalle storie di violenza nei villaggi di origine e lungo il cammino". Tutto dipende da aiuti esterni: il Pam delle Nazioni Unite per il cibo, Oxfam per l'acqua, Medici senza Frontiere per la salute. Shanguil è stato completamente distrutto tre volte. Racconta Gianfortuna, che era là durante un bombardamento: "Le milizie girano intorno al campo, uccidendo gli uomini che escono e violentando le donne che cercano di raggiungere una misera fonte d'acqua distante un chilometro".
A fine settembre, nel campo di Nierteti e Nyala, piogge torrenziali hanno distrutto 3.700 abitazioni di fortuna e bloccato le strade. Gli sfollati, senza più nulla, si proteggono ora da pioggia e sole con sacchi di plastica. Nei campi, la stragrande maggioranza dei profughi sono bambini e ragazzi di meno di 12 anni, talvolta separati dalle loro famiglie. Non ci sono scuole, né spazi di incontro, niente che possa aiutarli a crescere. Spiega lo psicologo di Msf: "I genitori, se ci sono, sono spesso bloccati psicologicamente". Molte donne sono vittime di violenza, in Darfur lo stupro è usato come arma di guerra.
 Nei campi, dove la salute non è un diritto, Medici senza Frontiere ha costruito dei presidi sanitari. Gianfortuna si è occupato dell'aspetto psicologico, tentare di alleviare i traumi e disturbi derivanti dallo stress e dalle violenze subite da un lato, provare a salvaguardare un minimo di strutture comunitarie e familiari dall'altro. "Mi ricordo - racconta - una bambina di sette anni che non dormiva da mesi perché il suo villaggio era stato attaccato da truppe appartenenti ad un'altra etnia che parlavano un dialetto estremamente riconoscibile. Nel campo c'erano molti appartenenti alla stessa etnia e lei, ogni volta che sentiva il dialetto degli assalitori, cominciava a piangere e gridare di paura. Purtroppo questo succedeva di continuo, di giorno e di notte, e la bambina era veramente allo stremo delle sue energie psichiche. Sei mesi di lavoro quotidiano con lei, sono stati premiati da un sorriso e da un pupazzetto costruito con la sabbia che ho ancora in camera mia".
Accanto alla sofferenza delle persone, c'è anche un dato economico che spiega l'assurdità di questa guerra. Secondo Hamed El Tijani, direttore del dipartimento di Scienze politiche dell'Università americana del Cairo, il conflitto in Darfur costa 23 volte di più rispetto alle spese sanitarie dell'intero Sudan. Il professore ha calcolato che la guerra decennale è costata 50 miliardi di dollari, 5 all'anno, cioè il 23% del Pil a fronte dell'1% rappresentato dagli investimenti nella sanità.