Il blog di Italians for Darfur

martedì, maggio 20, 2014

Attività della Croce Rossa Internazionale ancora bloccate dal governo sudanese

La Croce Rossa Internazionale non potrà ancora operare in Sudan, nonostante siano ormai passati tre mesi dalla sospensione delle attività imposte dal Governo sudanese in Kordofan, Darfur e Nilo Azzurro. Oltre 1,5 milioni di persone sono a rischio se la situazione non si sbloccherà al più presto.

Continua la raccolta fime èer salvare la dott.ssa Meriam


Oltre 7000 persone hanno già chiesto, oggi 20 maggio, la scarcerazione della dott.ssa Meriam, tramite l'appello di Italians for Darfur Onlus. Il peso delle vostre firme non permetterà che cada il silenzio sulla vicenda, soprattutto ora che l'interesse mediatico va scemando. 

Emilio caccaman, noto fumettista noir, cartoonist, illustratore e Medaglia di Bronzo al Valore/Encomio Solenne da Pres.Repubblica, da sempre al fianco del nostro movimento, ci invia il suo ultimo lavoro dedicato a Meriam e alle donne che sono spesso le prime vittime designate della Sharia. 


Firma anche tu l'appello:
http://www.italianblogsfordarfur.it/petizione 

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sabato, maggio 17, 2014

Avvocato Meriam ottimista, nostra battaglia continua. Superate 5300 firme

Oltre 5 mila firme raccolte in poche ore dalla petizione lanciata da Italians for Darfur per chiedere la sospensione della pena di morte per Meriam e centinaia e centinaia di mail di adesione all’appello di Amnesty International con cui si esorta il governo sudanese a garantire che Meriam Yehya Ibrahim sia rilasciata immediatamente e incondizionatamente perché è una prigioniera di coscienza, condannata solo a causa delle sue convinzioni religiose. Questo è molto altro è scaturito dalla mobilitazione per il caso della 27enne sudanese, incinta all’ottavo mese e madre di un bimbo di un anno e mezzo, condannata a morte per apostasia e adulterio. E la nostra azione continua. 
Chiediamo al governo del Sudan di rispettare il diritto alla libertà di religione, come dal 2005 è sancito nella Costituzione. Siamo certi che il giudizio finale sarà ben diverso da quello del Tribunale di primo grado come ci confermano Khalid Omer di Sudan Change Now, ong partner di Italians for Darfur, e l’avvocato di Meriam, Mohamed Jar Elnabi il quale sostiene anche che la costituzione del Sudan permette la conversione religiosa senza restrizioni. 
Elnabi è molto ottimista sul fatto che la corte d'Appello possa invertire la sentenza emessa dal giudice che ha avviato il procedimento a seguito della denuncia del fratello e degli zii paterni della ragazza. Oltre a continuare la raccolta di firme per Meriam sosteniamo l’appello lanciato dalla sezione Africa di Amnesty International che chiede di inviare mail che ‘invitino’ il governo del Sudan ad abrogare gli articoli 126 e 146 che criminalizzano l'apostasia e l'adulterio, in conformità degli obblighi del Sudan in base al diritto internazionale dei diritti umani e di stabilire una moratoria sulle esecuzioni, come primo passo verso l'abolizione della pena di morte e di fustigazione.

venerdì, maggio 16, 2014

Al-Mahdi sotto interrogatorio per aver denunciato crimini dei janjaweed

È ora sotto interrogatorio il leader del National Umma Party, Al-Sadiq al-Mahdi, per aver criticato pubblicamente l'operato delle Rapid Support Forces in Darfur e Nord Kordofan. I janjaweed, arruolati dall'esercito sudanese nelle RSF sono accusate di orribili crimini contro la popolazione, stupri e uccisioni indiscriminate. 

Il leader è stato prelevato dal Servizio di Sicurezza Nazionale con l'accusa di aver compromesso l'esercizio delle funzioni dello Stato con false affermazioni. In realtà, fonti della polizia locale avrebbero confermato i crimini delle RSF.

giovedì, maggio 15, 2014

APPELLO PER SALVARE MERIAM ISHAG, MADRE CRISTIANA CONDANNATA A MORTE PER APOSTASIA IN SUDAN


Basta solo un click a salvare la nostra coscienza? Noi di Italians for Darfur non lo pensiamo, ma, in questo caso, un click può davvero fare la differenza. 
Con un click, infatti, puoi contribuire a salvare la vita di un innocente, una donna sudanese condannata a morte per apostasia, così come è accaduto nelle precedenti iniziative di Italians for Darfur Onlus e delle organizzazioni per i diritti umani a livello internazionale. 
La sentenza per questa donna cristiana, Meriam Yahia Ibrahim Ishag, 27 anni, arrestata il 17 febbraio scorso dalle forze di polizia sudanese insieme al  figlio di 20 mesi, e in attesa di un secondo figlio, è stata pronunciata nonostante numerosi appelli per il rispetto della libertà di religione. 

Il giudice che l'ha emessa, Abbas Mohammed Al-Khalifa, leggendo il dispositivo a fine dibattimento ha affermato che erano stati concessi tre giorni all'imputata per abiurare, ma avendo deciso di non riconvertirsi all'islam meritava la condanna all'impiccagione. La donna, nata da padre mussulmano, è stata però cresciuta nella fede cristiana dopo l'abbandono del padre, ma per la Sharia anche la religione viene tramandata, di diritto, dalla linea paterna. Così, pur essendosi sposata con un cristiano, viene accusata non solo di essersi convertita ad altra religione, ma anche di aver commesso adulterio in quanto il matrimonio tra fedi diverse non può essere riconosciuto.
Per scongiurare l'esecuzione della pena chiediamo ancora una volta di firmare un appello che, come nel caso di Intisar e Ahisha, due donne condannate alla lapidazione per adulterio, permetta di scongiurare una atroce ingiustizia. 

Anche in questo caso, visto il successo delle precedenti iniziative della nostra associazione Italians for Darfur Onlus, è possibile sottoscrivere l'appello on-line attraverso il nostro sito http://www.italianblogsfordarfur.it/petizione . 

Le firme raccolte saranno inviate al presidente del Sudan Omar Al Bashir, l'unico che può concedere la grazia, prima che la donna partorisca e venga eseguita la condanna a morte. 

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lunedì, maggio 12, 2014

#DontLookAway: stop a nuovi stupri e violenze in Sudan

A ROMA LA GIORNATA MONDIALE PER IL DARFUR
INSIEME RIFUGIATI E ITALIANS FOR DARFUR

Mezzo milione di persone in Sud Kordofan e Nilo Azzurro rischia di morire di fame dopo essere scampato ai bombardamenti delle forze armate sudanesi. In Darfur sono ripresi, più violenti che mai, gli assalti di sanguinarie milizie che prendono d’assalto le popolazioni nella regione occidentale del Sudan con il nome di Rapid Support Forces. I miliziani, arruolati dal governo sudanese di Omar Hassan al Bashir come i janjaweed nel 2003, attaccano prevalentemente contadini e profughi. Fonti locali dirette riferiscono di pestaggi, furti ed estorsioni a danno di diversi villaggi, centri rurali e campi profughi sia nel Nord che nel Sud Darfur. Tra gli episodi più recenti quello raccontato qualche giorno fa da Radio Dabanga, unica radio libera e indipendente del Darfur. Gli studenti della scuola tecnica di Kutum sono stati selvaggiamente picchiati, costretti a stendersi e a subire la minzione degli assaltatori. Anche le ragazze, almeno 12, sono state malmenate, stuprate da quattro uomini armati e portate via dal villaggio. Per loro nessuno ha rilanciato un hastag che, diventando tendenza, sollevasse cori di indignazione e coinvolgesse personaggi famosi e i 'potenti' del mondo. Eppure una coalizione internazionale di cui fanno parte Italians for Darfur, Amnesty International, United to end genocide e molte altre organizzazioni, ha promosso dal 25 aprile all’8 maggio iniziative per chiedere l'attenzione della comunità internazionale. Da Washington a Roma, da Tel Aviv a Parigi attivisti e rifugiati sudanesi hanno manifestato per accendere i riflettori sulle nuove violenze in Sudan. Le testimonianze raccolte tra i profughi sia dei monti Nuba sia del Darfur raccontano di continui assalti seguiti in molti casi da raid aerei e scontri armati che hanno coinvolto milioni di persone. Da giugno 2011, quando è scoppiata una nuova fase della guerra tra il governo del Sudan e il Movimento di Liberazione Popolare del Sudan del Nord (SPLM-N), è stata un'escalation di scontri e razzie. Nonostante il governo abbia negato l’accesso ai giornalisti stranieri e alle Ong internazionali isolando la regione, le notizie dei massacri perpetrati dalle forze governative, ma anche dai ribelli del sud, sono filtrate ampiamente. Soprattutto grazie a emittenti coraggiose come Radio Dabanga. Anche numerosi villaggi oltre il confine, sono stati bombardati dagli aerei Antonov sudanesi come ha denunciato Mukesh Kapila, ex capo del Programma Onu di Sviluppo in Sudan. Kapila, come George Clooney, è stato sentito recentemente dal Congresso americano. Ha raccontato ciò che ha visto nel suo ultimo viaggio nel Paese: villaggi bruciati, coltivazioni distrutte, scuole e chiese danneggiate e mine antiuomo e bombe a grappolo disseminate nei luoghi dove donne e bambini, ogni giorno, vanno a prendere acqua e legna da ardere. Nonostante questo il silenzio perdura su una crisi che in oltre undici anni di violenze, sofferenze e morte ha avuto pochi, isolati, momenti di grande attenzione mediatica. Con il sempre più scarso interesse nei confronti di quanto avviene in Sudan di paesi che contano, come gli Stati Uniti, la speranza che qualcosa possa cambiare appare, poi, più lontana che mai. E’ per questo che è stata lanciata, e chiedo di rilanciare, una nuova campagna: #Don’t LookAway, non distogliamo lo sguardo… per non essere colpevoli quanto chi continua a violentare, affamare e uccidere senza scrupoli in Darfur, come in Sud Sudan e sui Monti Nuba.

giovedì, maggio 01, 2014

Indisturbati, i janjaweed uccidono e stuprano come dieci anni fa.

Continuano gli assalti dei janjaweed, più efferati che mai. Fonti locali riferiscono di pestaggi, furti ed estorsioni a danno di diversi villaggi e centri rurali nel Nord Darfur. 
Lunedì scorso, riporta Radiodabanga, gli studenti della scuola di Kutum sono stati selvaggiamente picchiati, costretti a stendersi, e a subire la minzione degli assaltatori. Anche le ragazze, tutte studentesse, almeno 12, sarebbero state picchiate violentemente, e una di esse violentate da quattro uomini armati.

Le Rapid Support Forces, così si fanno ora chiamare i janjaweed arruolati nelle Forze Armate sudanesi, attaccano prevalentemente contadini e profughi.