Il blog di Italians for Darfur

mercoledì, ottobre 29, 2014

28 Ottobre, On. Scagliusi e altri deputati M5S presentano mozione per il Sudan

Pubblichiamo la mozione, indirizzata alla Camera in data 28 ottobre, dall'On. Scagliusi e da altri deputati del Movimento 5 Stelle, che fa seguito all'audizione del 22 settembre scorso, a cura del Prof. Mukesh Kapila, presso la Commissione affari esteri della Camera, e promossa da Italians for Darfur ONLUS e Aegis Trust.

Atto di indirizzo:
"La III Commissione, premesso che: 
in data 22 settembre 2014, il Comitato permanente per i diritti umani istituito presso la Commissione affari esteri della Camera dei deputati, ha audito l'audizione il professor Mukesh Kapila, rappresentante speciale per l'Aegis Trust per la prevenzione dei crimini contro l'umanità; 
sono ormai trascorsi più di dieci anni dall'inizio del conflitto, nel 2003, ed è tuttora difficile calcolare esattamente il numero dei morti di questo genocidio di cui si è reso responsabile il Governo sudanese; 
l'attuale situazione nel Sudan occidentale è tuttora segnata da diffusa violenza e impunità. Nonostante due accordi di pace, il Darfur è ancora lontano da una vera pace e la regione è segnata invece da miseria e consistenti ondate di profughi che tentano di lasciare il Darfur; 
la situazione attuale nei Monti Nuba appare molto più drammatica di quella in Darfur di 10 anni fa. I livelli di violenza in Darfur erano certamente elevati, ma i modi di portare avanti il conflitto erano più rudimentali: i Janjaweed (letteralmente «demoni a cavallo», un gruppo di miliziani arabi reclutati fra i membri delle locali tribù nomadi dei Baggara) si muovevano a dorso di cammelli con bombe di tipo rudimentale. Oggi, sotto altro nome, guidano Land Cruisers, sono armati di caccia bombardieri che lanciano missili balistici, bombe a grappolo, mine e anche carri armati; dunque, confrontando il Sudan di oggi con quello di 10 anni fa se ne può concludere che la violenza è aumentata e si è espansa ad altre regioni oltre al Darfur, dove la violenza continua, ovvero ad altre regioni di confine abitate da popolazione di origine tribale nera africana: la regione del Nilo Blu, dei Monti Nuba e di Abiey; 
nella regione dei Monti Nuba, un milione di persone vive dentro a grotte, poiché i bombardamenti sono costanti. I quattro ospedali nella zona controllata dai ribelli sono stati tutti bombardati dal Governo sudanese nel mese di giugno 2014. Questa è una chiara violazione della legge umanitaria internazionale, è un crimine di guerra e un attacco alla dignità umana. Cose simili accadono anche nella regione del Nilo Blu. Poiché si è registrato in questi anni un fallimento dell'intervento internazionale in Darfur, il regime sudanese si è ovviamente sentito incoraggiato a perpetrare i suoi crimini; 
in Sudan ci sono approssimativamente 7 milioni di persone coinvolte da un tentativo di pulizia etnica in diverse zone del Paese; ciò significa che la criticità della situazione umanitaria in termini di diritti umani in Sudan risulta essere tra le peggiori al mondo. In Darfur ci sono 2 milioni di persone incarcerate in campi per rifugiati interni, dove vivono come prigionieri. Le donne che escono dal campo vengono stuprate costantemente e sistematicamente ormai da dieci anni; 
le missioni di peacekeeping dell'ONU in Sudan hanno fallito gravemente nella protezione dei civili e i processi politici in Sudan risultano frammentati. Parte attiva di alcuni processi sono le Nazioni Unite, mentre di altri processi è l'Unione africana. C’è un processo separato per la regione di Abiey, un processo separato per il Darfur, un processo separato per il resto del Sudan e il presidente sudanese Omar al Bashir, di fatto non coopera né con l'Unione africana né con le Nazioni Unite, perché nel momento in cui dovesse essere adottato un approccio onnicomprensivo, egli dovrebbe rispondere di tutto quello che ha fatto; 
al momento, il Sudan è una minaccia per la sicurezza dell'Africa, e del mondo in generale, poiché nel regime del Sudan proliferano terrorismo, malattie e armi leggere. Anche la pace in Sud Sudan è altamente dipendente dalla pace in Sudan. La situazione nella Repubblica centroafricana (RCA) è anch'essa legata al Sudan, poiché il regime di Khai-tounn offre rifugio ai combattenti più estremisti della RCA; 
il Sudan oggi è in grado di permettersi l'acquisto di aerei moderni e armi moderne, alcuni dei quali fabbricati in Sudan, ma per la maggior parte importati. Le sanzioni applicate dagli Stati Uniti e da parte dell'Unione europea risultano essere non chiare, vaghe e facilmente eludibili; infatti, diversi Paesi promuovono singolarmente diverse azioni commerciali, alcuni segretamente, altri addirittura ignorano completamente e pubblicamente le sanzioni. Vengono inoltre tenute conferenze che incoraggiano il commercio tra il Sudan e i Paesi dell'Unione europea; 
ci sono molte organizzazioni umanitarie che non portano aiuto nelle aree dove l'accesso viene negato dal regime sudanese. Tali organizzazioni, temendo il regime, non intendono infrangere le restrizioni del Governo sudanese con il risultato che i fondi raccolti vanno a finanziare l'organizzazione invece che l'assistenza alla popolazione,

impegna il Governo:

a promuovere, nelle sedi internazionali, un approccio onnicomprensivo verso i processi politici in Sudan al fine di unificare e risolvere tutti i problemi assieme dal momento che non è possibile risolverli singolarmente; 
a supportare i mandati di arresto della Corte criminale internazionale contro Omar al-Bashir e altri esponenti del regime di Khartoum; 
a promuovere presso le Nazioni Unite, sanzioni economiche, finanziarie, commerciali e sugli armamenti contro il Sudan per favorire la riduzione dei mezzi del regime sudanese utilizzati per fare guerra al proprio popolo e per assicurare che il regime di Khartoum non continui a rafforzarsi attraverso le risorse che derivano dal petrolio e da altri mezzi, grazie alle quali può approvvigionarsi di armi per il controllo del suo popolo; 
a ritirare l'ambasciatore italiano a Khartoum e, al fine di isolare dal punto di vista diplomatico il regime sudanese, ad adoperarsi affinché tutti gli Stati membri dell'Unione europea avviino un'analoga azione che preveda il ritiro gli ambasciatori europei in missione diplomatica sostituendoli con ufficiali incaricati di minor livello, per mandare un segnale politico molto forte, facendo capire al regime che i Paesi europei non sono più disposti a tollerare il comportamento tenuto nell'ultimo decennio; 
a promuovere, nelle opportune sedi internazionali, iniziative umanitarie indirizzate anche alle aree meno accessibili, assicurando che i fondi raccolti siano utilizzati per assistere la popolazione con particolare attenzione alle persone maggiormente in difficoltà.


(7-00501) «Scagliusi, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Sibilia, Del Grosso, Grande».

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sabato, ottobre 25, 2014

Bashir ci ripensa e si ricandida alle presidenziali del 2015

Nel 2012, nel pieno della Primavera araba,il presidente sudanese Omar al Bashir, ricercato per crimini di guerra e genocidio dalla Corte penale internazionale, aveva annunciato che non si sarebbe ricandidato. E invece, giovedì scorso, l'assemblea del National Congress Party lo ha rieletto leader del partito e sarà quindi ricandidato alle presidenziali nell'aprile del 2015. Ad annunciarlo il suo consigliere, Ibrahim Ghandour mentre Bashir era impegnato in una visita ufficiale in Egitto.
L'ex generale, arrivato al potere con un colpo di stato nel 1989, è stato eletto con 266 voti su 522.

martedì, ottobre 07, 2014

Testimonianza di un dottore di Msf: il dramma Darfur è più grave che mai

Dieci anni di guerra, metà popolazione tra sfollati, rifugiati e morti. Dopo la tregua del 2011, in Darfur sono ricominciati gli scontri tra l'esercito sudanese, le milizie paramilitari alleate e i gruppi indipendentisti "neri": dall'inizio del 2014, sono 385mila i civili che hanno perso la casa, raggiungendo i due milioni di profughi già nei campi.
Tutto ciò che denunciamo da mesi, come fatto negli ultimi otto anni, lo conferma la testimonianza di uno psicologo di Medici senza Frontiere, il dottore Fabio Gianfortuna.
Prosegue il conflitto in Darfur, dove la minoranza araba detentrice del potere a Khartoum è opposta ai gruppi indipendentisti (Slm, Sla, Jem) delle etnie "nere" di questa zona occidentale del Sudan. L'ultimo scontro, il 6 ottobre, quando sono stati uccisi 16 militari in un attacco dei ribelli alla guarnigione di Guldo. Nel frattempo, nel Nord Darfur è stato proclamato lo Stato di Emergenza, vietando tra l'altro il kadamool, il turbante locale che copre gran parte della faccia.
Ma lo stillicidio è costante e quotidiano: secondo le Nazioni Unite, solo dall'inizio dell'anno 385mila civili hanno dovuto lasciare le loro case, soprattutto per gli attacchi delle forze paramilitari nella zona di Nyala. In un paese di 6 milioni di abitanti, dal 2003, anno in cui iniziò la guerra civile, si contano 400mila morti, più di 2 milioni di sfollati interni e 300mila rifugiati all'estero. In Darfur, oggi tutta la popolazione è divisa in sfollati, comunità di accoglienza e popolazioni rurali tagliate fuori dagli aiuti. Non ci sono alternative a queste tre categorie di vita. È una sorta di prigione a cielo aperto, perché è vietata la libertà di movimento al di fuori della propria area di insediamento.
Così fa il punto Fabio Gianfortuna, psicologo di Medici senza Frontiere che ha coordinato un progetto di salute mentale nel campo di Shanguil Tobaya: "In Darfur, la situazione è sempre incerta, si alternano tregue più o meno ufficiali a periodi di conflitto aperto. Dopo la firma del trattato di Doha del 2011 e la costituzione del Comitato misto Nazioni Unite/Unione Africana per il cessate il fuoco, la situazione sembrava più calma, ma nel 2013 il Governo ha intensificato i bombardamenti e le milizie arabe (Janjaweed) hanno ripreso ad attaccare campi di sfollati e villaggi, proteste pacifiche sono state soppresse nel sangue e sono ripresi gli arresti sistematici, mentre i vari gruppi ribelli si son nuovamente mobilitati". Human Rights Watch e un report di Foreign Policy hanno recentemente accusato di totale inefficacia la missione internazionale di peacekeeping, forte di 20mila soldati. Il segretario dell'Onu Ban Ki-moon si è detto "preoccupato" e ha aperto un'inchiesta. In ogni caso, oggi la situazione non è quella del 2004, con centinaia di migliaia di morti, ma le speranze del 2011 sono tornate a essere solo speranze.
Gianfortuna racconta come gli abitanti del Darfur vivano da un decennio in uno stato di pericolo costante e di violazione dei diritti umani. Shanguil Tobaya, nel pieno del Sahara, è solo uno delle decine di campi sorti nel Paese: "È vicino all'incrocio tra le due principali strade del Nord; dieci anni fa, la popolazione in fuga si è fermata lì per stanchezza, dopo un cammino di settimane. E negli anni successivi i profughi sono continuati ad arrivare, con alle spalle storie di violenza nei villaggi di origine e lungo il cammino". Tutto dipende da aiuti esterni: il Pam delle Nazioni Unite per il cibo, Oxfam per l'acqua, Medici senza Frontiere per la salute. Shanguil è stato completamente distrutto tre volte. Racconta Gianfortuna, che era là durante un bombardamento: "Le milizie girano intorno al campo, uccidendo gli uomini che escono e violentando le donne che cercano di raggiungere una misera fonte d'acqua distante un chilometro".
A fine settembre, nel campo di Nierteti e Nyala, piogge torrenziali hanno distrutto 3.700 abitazioni di fortuna e bloccato le strade. Gli sfollati, senza più nulla, si proteggono ora da pioggia e sole con sacchi di plastica. Nei campi, la stragrande maggioranza dei profughi sono bambini e ragazzi di meno di 12 anni, talvolta separati dalle loro famiglie. Non ci sono scuole, né spazi di incontro, niente che possa aiutarli a crescere. Spiega lo psicologo di Msf: "I genitori, se ci sono, sono spesso bloccati psicologicamente". Molte donne sono vittime di violenza, in Darfur lo stupro è usato come arma di guerra.
 Nei campi, dove la salute non è un diritto, Medici senza Frontiere ha costruito dei presidi sanitari. Gianfortuna si è occupato dell'aspetto psicologico, tentare di alleviare i traumi e disturbi derivanti dallo stress e dalle violenze subite da un lato, provare a salvaguardare un minimo di strutture comunitarie e familiari dall'altro. "Mi ricordo - racconta - una bambina di sette anni che non dormiva da mesi perché il suo villaggio era stato attaccato da truppe appartenenti ad un'altra etnia che parlavano un dialetto estremamente riconoscibile. Nel campo c'erano molti appartenenti alla stessa etnia e lei, ogni volta che sentiva il dialetto degli assalitori, cominciava a piangere e gridare di paura. Purtroppo questo succedeva di continuo, di giorno e di notte, e la bambina era veramente allo stremo delle sue energie psichiche. Sei mesi di lavoro quotidiano con lei, sono stati premiati da un sorriso e da un pupazzetto costruito con la sabbia che ho ancora in camera mia".
Accanto alla sofferenza delle persone, c'è anche un dato economico che spiega l'assurdità di questa guerra. Secondo Hamed El Tijani, direttore del dipartimento di Scienze politiche dell'Università americana del Cairo, il conflitto in Darfur costa 23 volte di più rispetto alle spese sanitarie dell'intero Sudan. Il professore ha calcolato che la guerra decennale è costata 50 miliardi di dollari, 5 all'anno, cioè il 23% del Pil a fronte dell'1% rappresentato dagli investimenti nella sanità.