Il blog di Italians for Darfur

giovedì, gennaio 15, 2009

Continuano i rapimenti e gli omicidi in Darfur

Le donne del Darfur sono da sempre le principali vittime del conflitto in atto nella regione sudanese dal febbraio 2003. Continuano sia nei villaggi che nei campi profughi, da parte delle milizie arabe, i rapimenti di giovani e adolescenti con lo scopo di utilizzarle come mano d'opera non pagata, per la schiavitù sessuale o per matrimoni forzati. L’ultimo tentativo, per fortuna sventato, è avvenuto nella zona Occidentale del Darfur.
Sei profughe ospitate nel campo di accoglienza di Hassa Hissa sono riuscite a scampare a un terribile destino solo grazie all’intervento dei militari della missione di pace dell’Onu.
Le sventurate protagoniste di questo episodio erano state catturate fuori dall’area sorvegliata mentre raccoglievano la legna da ardere per cucinare e riscaldarsi.
A lanciare l’allarme sono stati i cooperanti impegnati nel campo, che hanno inviato un’informativa al centro operativo della zona Ovest dell’Unamid.
Dopo i primi accertamenti, un convoglio composto da una squadra del comparto sicurezza ha raggiunto l’area in cui è avvenuto il rapimento ed ha effettuato un sopralluogo.
Nel giro di poche ore i peacekeeper sono riusciti a mettersi sulle tracce dei rapitori. Secondo le informazioni rese note dal comando generale, i fuggitivi sentendosi braccati e capendo che i militari erano ormai a pochi chilometri di distanza da loro, hanno rilasciato le donne che sono state trovate in discrete condizioni ma molto provate e spaventate.
Hassa Hissa, dove hanno fatto rientro le rapite, è uno dei cinque campi profughi nell’area di Zalingei che ospita120.000 persone.
Nelle scorse settimane un gruppo armato di miliziani ha attaccato il centro di accoglienza, distruggendo strutture ed equipaggiamenti, tra cui cinque pompe di acqua. Alcuni giorni dopo, gli stessi militari hanno ucciso il capo villaggio locale, Musa Abakr Posh, entrando nella sua abitazione e saccheggiando tutto quello che hanno potuto.
Ma l’obiettivo principale dei janjaweed restano le donne. Lo sono sempre state, dall’inizio di questa sporca guerra e lo saranno ancora perché più deboli.
Le loro denunce, le storie di queste vittime predestinate, sono uno squarcio profondo su una realtà per troppo tempo taciuta o riportata in modo distorto (da molti) e con grande difficoltà e rischi (da pochi). Tutto ciò perché le loro testimonianze riescono a superare raramente i confini della censura sudanese.
Ma non è tutto.
Le donne del Darfur sono due volte vittime. Alcune poco più che bambine, quando sopravvivono allo stupro e non riescono a nasconderlo vengono rifiutate dai mariti o dai padri e allontanate dalle comunità in cui sono nate, cresciute e hanno messo al mondo i loro figli. E nessuno può impedirlo.
Sono pochi gli uomini che decidono di contrapporsi alla retrograda mentalità di questa gente, che vive in un mondo maschilista, dove la donna viene considerata meno di niente.

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