Nuovi scenari post indipendenza del Sud Sudan
Finiti i festeggiamenti per la nascita del nuovo Stato, si teme la disgregazione di altri paesi africani. Il Nord continua a rivendicare la regione di Abyei, minacciando l'intervento armato; il Darfur potrebbe presto chiedere l'indipendenza. Ecco una analisi scritta per Limes sul post-indipendenza e sulle conseguenze e i risvolti per tutta la regione.
Buona lettura.
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Il Sud Sudan e la paura dell’effetto domino
L'indipendenza del Sud Sudan era attesa come un evento di portata epocale, una svolta che avrebbe cambiato per sempre il profilo geopolitico di quello che fino al 9 gennaio 2011, data del referendum che ha sancito la separazione tra Nord e Sud, era il più grande paese africano.
Ma chi conosce la storia e gli sviluppi del Comprehensive peace agreement, l'accordo di pace del 2005 che determinò la fine di una guerra civile ultra ventennale, e ha ben chiaro ruolo e coinvolgimento dei principali 'attori' ed artefici del nuovo corso sud-sudanese, sa bene che c'è molto di più.
L'incognita di un effetto domino per tutta l'Africa sub-sahariana, a seguito della costituzione del primo Stato indipendente al di fuori dei confini coloniali è ampia materia per analisti e osservatori delle questioni africane che non a caso segnalano nervosismi da attendismo in tutto il 'continente nero' ma anche in Medio Oriente.
La cerimonia di Juba per l'independence day è apparsa a molti come una rappresentazione poco convincente delle 'buone intenzioni' dei protagonisti delle trattative ancora in corso, da cui dovrebbe scaturire la stabilità dei due Stati, separati da un confine definito solo in parte, che coinvolgerà tutta la regione.
Ai festeggiamenti per la proclamazione dell'indipendenza del meridione il presidente sudanese Omar Hassan al Bashir, per anni nemico numero 1 del Sud, ha sfoderato il suo miglior sorriso per "i fratelli del Sud Sudan" e ha offerto un gesto di pace "in una situazione non facile".
Tornato a Khartoum non ha però esitato a 'profetizzare' che la regione di Abyei, ricca di petrolio e collocata sul confine tra Nord e Sud, possa essere all'origine di un nuovo conflitto con Juba. Bashir ha sempre rivendicato l'area quale territorio del Sudan settentrionale e continua a chiedere il rispetto dei protocolli che la riguardano ribadendo con fermezza che ogni tentativo di imporre una "nuova realtà'' sarà contrastato con interventi armati.
Eppure il mese scorso era stato firmato un accordo per il ritiro delle truppe che si erano scontrate in città causando decine di vittime, sia militari che civili, e per la creazione di una zona cuscinetto di circa 20 km lungo il confine. Ma l'attuazione dell'accordo appare più che mai difficile, proprio perché alcune parti dei margini territoriali restano ancora da definire.
Per il presidente sudanese, Abyei appartiene al nord e solo le tribù arabe locali, con un referendum, potrebbero decidere un suo passaggio al sud, un'ipotesi che ha lui stesso definito ''improbabile''. La questione del controllo dell'area, attualmente con amministrazione a statuto speciale, come molte altre è originata e condizionata dalle lotte tra gruppi di diversa appartenenza etnica.
Da lungo tempo i Nuer, filoarabi, e i Dinka, neri e cristiani, si contrappongono con scontri violenti e sanguinari per conquistare il territorio ricco non solo di petrolio ma anche di terra fertile e di sorgenti d'acqua. Spesso le ripercussioni e le conseguenze di questi contrasti sono andate ben oltre i confini sudanesi gravando su contesti altrettanto frammentari, sia per tessuto sociale che politico.
Nella regione non c'è paese che non abbia tribù e villaggi di varie culture, religioni, etnie e lingue. Un esempio: la Nigeria 'parla' ben 521 lingue compreso l'inglese, che si affianca ai tanti idiomi dei 250 gruppi etnici che all'interno dello stesso 'ceppo' spesso ha costumi e tradizioni diverse.
Per capire la condizione di gran parte degli Stati africani bisogna tener presente che le divisioni interne sono il prodotto della corsa alle colonie dell'Africa, iniziata su larga scala nel 1880, che vide in prima linea paesi come Inghilterra, Francia, Spagna, Italia, Germania, Belgio e Paesi Bassi.
L'obiettivo principale della conquista del Continente nero era l'accaparramento delle sue ricchezze a discapito delle popolazioni locali, atteggiamento devastante che ha avuto il suo culmine quando furono elaborati i confini alla Conferenza di Berlino (1884-1885). Ancor oggi le delimitazioni degli Stati in Africa e in Medio Oriente risalgono al periodo coloniale; il Sud Sudan è stato il primo paese costituitosi al di fuori di esse.
L'effetto delle disparità demografiche create da questa situazione è stata la causa non solo delle guerre civili in Sudan che hanno poi determinato l'indipendenza del Sud, ma anche di molti altri conflitti africani. A fronte di quanto è avvenuto dopo la firma del Comprehensive peace agreement del 2005 e dell'impegno dei paesi garanti dell'accordo e all'indomani della proclamazione dell'indipendenza di Juba, il timore di scenari simili a quello sudanese, in alcuni casi già in atto sia in Africa sia del Medio Oriente, ha assunto consistenza.
Sorvegliato speciale resta il Sudan, che non riesce a disinnescare la 'bomba' Darfur nonostante l'ennesimo accordo di pace a Doha che dovrebbe portare, a detta dello stesso Bashir, alla definizione di un piano di sviluppo per la regione. Non passerà molto tempo prima che il popolo darfuriano del Sud, che si considera africano, pretenda l'indipendenza da Khartoum.
Tutti i paesi in fermento, in Africa e non, sono o saranno posti presto di fronte a due opzioni: rimanere passivi e affrontare situazioni simili a quella sudanese, o impegnarsi fattivamente per porre rimedio alle fratture tra i diversi gruppi sociali, cercando soluzioni alle proteste e alle recriminazioni, soprattutto per le questioni economiche, e creando comunità unite e democratiche a prescindere dalle divisioni interne: etniche, religiose o linguistiche che siano. L'impegno è arduo, ma non impossibile.
Ma chi conosce la storia e gli sviluppi del Comprehensive peace agreement, l'accordo di pace del 2005 che determinò la fine di una guerra civile ultra ventennale, e ha ben chiaro ruolo e coinvolgimento dei principali 'attori' ed artefici del nuovo corso sud-sudanese, sa bene che c'è molto di più.
L'incognita di un effetto domino per tutta l'Africa sub-sahariana, a seguito della costituzione del primo Stato indipendente al di fuori dei confini coloniali è ampia materia per analisti e osservatori delle questioni africane che non a caso segnalano nervosismi da attendismo in tutto il 'continente nero' ma anche in Medio Oriente.
La cerimonia di Juba per l'independence day è apparsa a molti come una rappresentazione poco convincente delle 'buone intenzioni' dei protagonisti delle trattative ancora in corso, da cui dovrebbe scaturire la stabilità dei due Stati, separati da un confine definito solo in parte, che coinvolgerà tutta la regione.
Ai festeggiamenti per la proclamazione dell'indipendenza del meridione il presidente sudanese Omar Hassan al Bashir, per anni nemico numero 1 del Sud, ha sfoderato il suo miglior sorriso per "i fratelli del Sud Sudan" e ha offerto un gesto di pace "in una situazione non facile".
Tornato a Khartoum non ha però esitato a 'profetizzare' che la regione di Abyei, ricca di petrolio e collocata sul confine tra Nord e Sud, possa essere all'origine di un nuovo conflitto con Juba. Bashir ha sempre rivendicato l'area quale territorio del Sudan settentrionale e continua a chiedere il rispetto dei protocolli che la riguardano ribadendo con fermezza che ogni tentativo di imporre una "nuova realtà'' sarà contrastato con interventi armati.
Eppure il mese scorso era stato firmato un accordo per il ritiro delle truppe che si erano scontrate in città causando decine di vittime, sia militari che civili, e per la creazione di una zona cuscinetto di circa 20 km lungo il confine. Ma l'attuazione dell'accordo appare più che mai difficile, proprio perché alcune parti dei margini territoriali restano ancora da definire.
Per il presidente sudanese, Abyei appartiene al nord e solo le tribù arabe locali, con un referendum, potrebbero decidere un suo passaggio al sud, un'ipotesi che ha lui stesso definito ''improbabile''. La questione del controllo dell'area, attualmente con amministrazione a statuto speciale, come molte altre è originata e condizionata dalle lotte tra gruppi di diversa appartenenza etnica.
Da lungo tempo i Nuer, filoarabi, e i Dinka, neri e cristiani, si contrappongono con scontri violenti e sanguinari per conquistare il territorio ricco non solo di petrolio ma anche di terra fertile e di sorgenti d'acqua. Spesso le ripercussioni e le conseguenze di questi contrasti sono andate ben oltre i confini sudanesi gravando su contesti altrettanto frammentari, sia per tessuto sociale che politico.
Nella regione non c'è paese che non abbia tribù e villaggi di varie culture, religioni, etnie e lingue. Un esempio: la Nigeria 'parla' ben 521 lingue compreso l'inglese, che si affianca ai tanti idiomi dei 250 gruppi etnici che all'interno dello stesso 'ceppo' spesso ha costumi e tradizioni diverse.
Per capire la condizione di gran parte degli Stati africani bisogna tener presente che le divisioni interne sono il prodotto della corsa alle colonie dell'Africa, iniziata su larga scala nel 1880, che vide in prima linea paesi come Inghilterra, Francia, Spagna, Italia, Germania, Belgio e Paesi Bassi.
L'obiettivo principale della conquista del Continente nero era l'accaparramento delle sue ricchezze a discapito delle popolazioni locali, atteggiamento devastante che ha avuto il suo culmine quando furono elaborati i confini alla Conferenza di Berlino (1884-1885). Ancor oggi le delimitazioni degli Stati in Africa e in Medio Oriente risalgono al periodo coloniale; il Sud Sudan è stato il primo paese costituitosi al di fuori di esse.
L'effetto delle disparità demografiche create da questa situazione è stata la causa non solo delle guerre civili in Sudan che hanno poi determinato l'indipendenza del Sud, ma anche di molti altri conflitti africani. A fronte di quanto è avvenuto dopo la firma del Comprehensive peace agreement del 2005 e dell'impegno dei paesi garanti dell'accordo e all'indomani della proclamazione dell'indipendenza di Juba, il timore di scenari simili a quello sudanese, in alcuni casi già in atto sia in Africa sia del Medio Oriente, ha assunto consistenza.
Sorvegliato speciale resta il Sudan, che non riesce a disinnescare la 'bomba' Darfur nonostante l'ennesimo accordo di pace a Doha che dovrebbe portare, a detta dello stesso Bashir, alla definizione di un piano di sviluppo per la regione. Non passerà molto tempo prima che il popolo darfuriano del Sud, che si considera africano, pretenda l'indipendenza da Khartoum.
Tutti i paesi in fermento, in Africa e non, sono o saranno posti presto di fronte a due opzioni: rimanere passivi e affrontare situazioni simili a quella sudanese, o impegnarsi fattivamente per porre rimedio alle fratture tra i diversi gruppi sociali, cercando soluzioni alle proteste e alle recriminazioni, soprattutto per le questioni economiche, e creando comunità unite e democratiche a prescindere dalle divisioni interne: etniche, religiose o linguistiche che siano. L'impegno è arduo, ma non impossibile.
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