Il blog di Italians for Darfur

sabato, gennaio 10, 2009

Riceviamo e pubblichiamo*

Darfur : una questione strumentale ai media o vice versa
I ku ya j'esin
(prima la morte che la perdita di dignità)

si sente dire in Africa a memento che la dignità veicola direttamente il significato del sé.
Mo, ti gun'ke, moti so.. faka, fiki..
(non ha futuro chi non influenza il presente)

si sente cantare in Africa a memento che non si può restare a guardare.

A distanza di quasi 6 anni ( a febbraio scatta il giro di boa) il Sudan continua ad essere devastata dalla più vasta emergenza umanitaria : la crisi nel Darfur.

A distanza di 6 anni, il Darfur è rimasto il luogo della più grande operazione di aiuto umanitario nel mondo, con più di 80 organizzazioni e di 15.000 operatori compreso il personale di 2.000 esponenti di MSF che forniscono assistenza in una regione in cui un terzo della popolazione è stato costretto al nomadismo dal conflitto. Ma nonostante gli sforzi internazionali, centinaia di migliaia di persone restano tagliate fuori dagli aiuti, migliaia sono a rischio di perdita dell'assistenza a seguito di Frontlines instabili, che oscillano su alleanze ballerine tra le fazioni armate, di attacchi mirati anche nei confronti degli operatori umanitari , e anche a causa dell'incremento delle restrizioni da parte del governo alla fornitura di assistenza umanitaria. Undici operatori sono stati uccisi nel Darfur nel 2008 e 189 i rapiti , secondo le Nazioni Unite. MSF è stato anche vittima di attacchi e saccheggi nella regione.

ascolta tu stesso Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che oltre 230.000 persone restano nei campi profughi nel vicino Ciad.

Quella del Darfur è attualmente la più grande emergenza umanitaria al mondo e rappresenta oltre il 70 per cento del bilancio delle attività del WFP in Sudan. WFP fornisce mensilmente cibo a circa 2 milioni di sfollati interni - circa un terzo della popolazione del Darfur .
Durante la stagione delle piogge (maggio-ottobre), il WFP fornisce inoltre prodotti alimentari per le persone più a rischio sia nelle comunità sia nelle aree rurali. Nel corso di questi mesi di picco, le distribuzioni di cibo in Darfur raggiungono più di 3 milioni di persone. Un suppletivo e terapeutico intervento alimentare è fornito a circa 120.000 persone, mentre la mensa scolastica è prevista anche per i circa 360.000 bambini nel Darfur quest'anno.

In questi scampoli d'inizio anno qualcosa si sta muovendo, anche dall'Italia, sul versante delle azioni congiunte ONU- UNAMID.

Sarà la svolta decisiva? E serviranno le numerose iniziative on line di richiesta di firme di petizioni da inviare al neo Presidente Obama?

Il potere che ci circonda ci inabissa.
L'attenzione dei media sul Darfur significa che ognuno conosce il conflitto . Ma negli ultimi quattro anni la situazione non è migliorata. Infatti per la maggior parte delle persone, le cose vanno peggio. Le condizioni di vita degli sfollati nei campi, nelle zone rurali si sono deteriorate, e l'insicurezza è una grande preoccupazione per la gente comune. Persone che vivono sotto il fuoco sempre acceso e vivo della paura. Ogni giorno la sopravvivenza è un punto interrogativo.

Banu Altunbas
Capo della missione di MSF in Sud Darfur

Se si cambia prospettiva, la stessa attenzione dei media verso la questione Darfur dimostra che il conflitto rientra in uno scontro di dimensioni più vaste, quello tra vecchie e nuove potenze economiche mondiali per garantirsi il controllo e l'accaparramento delle ultime risorse petrolifere.

"Genocidio", "crimini di guerra", "crimini contro l'umanità" sono le accuse presentate contro il presidente sudanese Omar Hassan el Beshir per il suo ruolo nel conflitto ma sono solo la punta dell'icerberg della questione che , di fondo, si assesta su un piano internazionale.

E a questo punto viene da chiedersi : è davvero uno scontro tra arabi e africani? . Le differenze tra la popolazione in Darfur sono tribali e non religiose come spesso si dice , per il semplice motivo che si tratta di un popolo quasi completamente musulmano. E la contrapposizione tra arabi e africani, con cui si stigmatizza la situazione nel Paese, non è corretta: gli "arabi" darfuriani sono differenti da quelli che si trovano al potere a Khartoum. Gli "arabi" darfuriani sono, secondo gli antropologi, popolazioni nere nomadi dedite alla pastorizia e di lingua araba, che per secoli hanno diviso in modo più o meno pacifico spazi e terre con le popolazioni "afro" e cioè Fur, Massalit (per citare alcuni gruppi maggiori), dedite all'agricoltura. Gli scontri per la terra non sono stati la una questione caretterizzante la regione : al contrario, le violenze e gli scontri sono stati risolti in base al codice tribale basato sulla pratica dell'indennizzo e così per anni la coesitenza è stata possibile.
Negli anni, però, le due anime del Sudan, quella araba e quella non araba, sono andate distanziandosi sempre di più e all’abbandono politico economico, nel quale Khartoum ha condannato le periferie del Paese, si è aggiunta una nuova presa di coscienza delle popolazioni nere. Tuttavie, non senza l'arguta strumentalizzazione delle rivolte da parte del Governo del Paese, dalle lance si è passati alle armi automatiche, le vittime si sono moltiplicate esponenzialmente e la saggezza mediatrice dei millenari codici tribali è stata sostituita dal fuoco, quello dei proiettili .

E dal febbraio del 2003 è iniziata la lotta tra i figli del Darfur , cuore della fanteria sudanese, e i partigiani darfuriani che poi altro non erano che loro fratelli. Il resto è storia ampiamente diffusa dai media.

I media! Che abbiano strumentalizzato la diffusione della notizia ? Oppure, mi chiedo : i media sono per caso stati strumentali a mirati interventi da parte dei Grandi per l'accaparramento delle risorse petrolifere del Paese nell'esatto momento in cui si prendeva atto, dopo accurate inosservate esplorazioni nelle terre darfuriane, dell'esistenza di tali fonti dal valore economico inestimabile?

Solo a un anno dall’esplosione del conflitto la guerra ha cominciato a suscitare interesse nel mondo (un po' tardi per le vittime di quel funesto anno!). Fino all’estate del 2004, la guerra del Darfur, l’unico ‘vero’ conflitto in corso in quel momento sul continente, sembrava destinata a entrare nella lista dei conflitti dimenticati.
È nell’estate del 2004, con la visita dell’allora segretario di Stato, Colin Powell, in Sudan, che la crisi del Darfur viene scoperta dai media occidentali e improvvisamente trova spazio su tutti i giornali del mondo. Su tutte le principali testate internazionali campeggia il dramma delle popolazioni del Darfur costrette dagli attacchi dei miliziani Janjaweed a lasciare i propri villaggi e le proprie terre per rifugiarsi in giganteschi campi profughi e le prime immagini fanno da catalizzatori sui grandi network televisivi del pianeta.

Fu allora che quella del Darfur, nel tempo che le notizie trasmesse a livello mondiale facessero il giro del globo, venne definita la “più grave crisi umanitaria del pianeta” e alle Nazioni Unite Washington si mette alla testa di una campagna anti-Khartoum. il Congresso degli Stati Uniti definirà “genocidio” la crisi in corso in Darfur.

Come spiegare l’improvvisa attenzione internazionale al Darfur, uscito dalla lista delle guerre dimenticate d’Africa per entrare improvvisamente per bisogno quasi impellente, nelle agende diplomatiche del pianeta?

La risposta secondo molti è da cercarsi nel potenziale petrolifero della zona. Il petrolio sudanese è una scoperta americana: il gigante statunitense Chevron individuò le prime riserve di greggio sudanesi off-shore all’inizio degli ’70 e, dopo la firma degli accordi di Addis Abeba, ottenne le concessioni per le prospezioni a terra da cui emersero gli importanti giacimenti presenti nel centro e nel sud del Paese. Erano dunque pronti i piani per la costruzione di un oleodotto che collegasse i giacimenti al Mar Rosso . Ebbene, dopo aver investito oltre un miliardo di dollari in ricerche e studi, la stessa Chevron blocca nel 1984 le sue operazioni e nel 1989, in concomitanza con l’ascesa di Beshir al potere, comincia una strana marcia indietro, finchè nel 1992 la Compagnia americana abbandonò il Sudan. I cattivi rapporti col nuovo governo che non vedeva l'ora di mettere a frutto i giacimenti e che era deciso ad aprire il mercato ad altri soggetti, visto che la Chevron si era defilata, nonché il contemporaneo conflitto in corso tra Sud e Nord Sudan, spinsero la Chevron a cedere i suoi diritti di prospezione per poco più di 200 milioni di dollari. Tali diritti sulle inesplorate riserve di greggio del più grande Paese africano, passarono di mano in mano prima di finire nel 1994 nel portafoglio di una piccola e poco conosciuta azienda petrolifera canadese e due anni più tardi, nel maggio 1998, hanno inizio i lavori di costruzione del gigantesco oleodotto (più di 1300 chilometri di condutture) che un anno dopo porterà il greggio della zona centro-meridionale sudanese fino a Port Sudan, il porto sul Mar Rosso, costruito in tempo record dagli ingegneri cinesi. Nello stesso anno, le concessioni passano a un'altra ancora meno nota compagnia canadese.
Da allora ben poco è cambiato. I giacimenti di petrolio scoperti in quegli anni e negli anni successivi hanno sempre interessato le zone che ora sono terreno di battaglie.
Alcuni sostengono che nelle carte degli ingegneri americani della Chevron fossero segnati in Darfur giacimenti ancora più importanti di quelli meridionali ma vista la situazione poco serena che si stava delineando nella regione per via dei conflitti interni, la Chevron preferì rimandare a tempi migliori l'operazione. Intanto molti furono gli osservatori che indisturbati vagliavano i terreni alla ricerca dell'oro nero. Si ritiene che negli anni dell’assenza americana, anche i cinesi si fossero accorti delle potenzialità petrolifere della regione occidentale sudanese e che le compagnie orientali sarebbero state disposte a lanciarsi nella scoperta.

Accanto a questa convinzione circola anche quella secondo la quale il Darfur sia una zona di passaggio fondamentale per terminare un altro gigantesco oleodotto che dovrebbe collegare i giacimenti del Sud Sudan con la Costa Atlantica, agganciandosi all’oleodotto che dal sud del Ciad, poche centinaia di chilometri dalla frontiera col Darfur, porta il greggio fino al porto di Kribi, in Camerun. Si comprende che congiungendo i giacimenti meridionali sudanesi con l’oleodotto costruito dalla Banca Mondiale, buona parte del greggio che oggi sgorga a Port Sudan da dove parte per la Cina, potrebbe essere deviato verso occidente fino alle coste dell’Oceano Atlantico.
Resta aperta un'altra questione ben più di fondo : il controllo geopolitico del mondo, di cui l'Africa è al centro, che vede si fronti opposti la superpotenza cinese da cui Bashir, alleato strategico , riceve armi e tecnologie, e gli USA . E a far capolino si affaccia anche la Russia di Putin che trae già benefici dalla produzione interna petrolifera.

Sin qui la prospettiva di chi pensa al rame, al silicio, all'oro nero, ai passaggi commerciali.

Poi vi è l'altra prospettiva : quella dei bambini, di migliaia di occhi neri grandi in cui passa il fuoco della paura, delle donne struprate, dei campi bruciati, degli uomini lacerati nel corpo perla malnutrizione e nell'animo per l'offesa alla dignità, dei morti e di quelli che invece "si salvano" e che piangono perché vedono una arte di sé in chi è stato portato via, di un popolo che resta inerme e che grida, grida nel silenzio e nel toprore del mondo in cui viviamo, il nostro. Un mondo in cui si sentono a pelle i pericoli di una rassegnazione troppo affrettata.

Savedarfur!

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Noi abbiamo da imparare da questo popolo: I Kuya j'esin!

Fonti:

WPF, UNAMID, UN, MSF,globalpolicy.org





* Titti Cimmino

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