Il blog di Italians for Darfur

venerdì, maggio 10, 2013

"Darfur's Gold Rush", un nuovo dossier spiega chi è dietro la nuova barbarie in Darfur


L'organizzazione non governativa Enough Project, grazie al Satellite Sentinel Project, ha esaminato il recente scenario del Darfur, dove le milizie armate di Abbas seminano il terrore per prendere il controllo sullo sfruttamento delle mine d'oro nel Nord Darfur. Secondo gli autori, le evidenze raccolte attribuirebbero le violenze perpetuate in Darfur al governo sudanese, in continuità con le atrocità commesse negli ultimi dieci anni da Khartoum.
Lo studio, di Omer Ismail e Akshaya Kumar, è stato pubblicato nel rapporto "Darfur's Gold Rush",  ieri 9 maggio. 
Dieci anni dopo la denuncia delle milizie janjaweed che, su commessa del governo centrale, commettevano atrocità a danno della popolazione del Darfur, le violenze continuano nella regione occidentale del Paese. 
Sebbene il conflitto non sia mai realmente terminato in Darfur, dal gennaio 2013, ondate crescenti di violenza hanno martoriato la regione facendola precipitare nella peggiore crisi umanitaria degli ultimi anni. Susan Rice, ambasciatrice degli Stati Uniti nelle Nazioni Unite, ha sottolineato come, da gennaio ad oggi, si è registrato un numero oltre cinque volte maggiore di sfollati rispetto all'intero anno passato.
Oltre 150 villaggi sono stati bruciati e le Nazioni Unite stimano che almeno 150.000 persone siano state sfollate a causa di attacchi coordinati delle milizie di Abbala, tra le quali si annidano anche i janjaweed, storicamente legati al governo. In un ritorno del passato, la propaganda governativa , che sostiene che il conflitto in Darfur sia esclusivamente di origine tribale, è riuscita a prendere piede nell'immaginario collettivo e sulle interpretazioni dei recenti eventi.
Il dossier dà un'altra versione dei fatti, ricollocandoli entro una cornice storica e evidenziando il protagonismo del governo sudanese.
Grazie a molteplici interviste con fonti attendibili in Darfur, a Kartum e tra la diaspora dei rifugiati, Enough Project ritiene che le milizie di Abbala continuino la politica del terrore del governo per prendere il pieno controllo sullo sfruttamento delle nuove risorse minerarie del Darfur, che il governo ha recentemente scoperto essere ricco di oro. 
Nemmeno il più sprovveduto degli osservatori  del conflitto in Darfur non si accorgerebbe che le aree di maggiore violenza corrispondono alle periferie più ricche di risorse. 
Per oltre un decennio, il governo del Sudan ha perseguito una strategia di sfruttamento economico delle periferie, assoggetandole attraverso la violenza e il controllo demografico. Questa politica ha portato a ripetuti sfollamenti, frammentazione, omologazione delle diversità etniche, incluso il Sud Sudan, che ha sancito la sua secessione dal Nord nel 2011, Darfur, Abyei, Monti Nuba, Nilo Azzurro e est Sudan.  
Il partito di governo ha nuovamente rafforzato il proprio interesse in Darfur per via del recente ritrovamento di ricche vene d'oro nel sottosuolo, e le nuove ondate di violenza corrispondono alla storica politica di controllo del territorio attraverso l'impiego di milizie arabe armate.
L'urgenza di rimpiazzare i proventi dalla vendita di greggio, infatti, venuti a mancare dopo l'indipendenza del Sud Sudan, ha accelerato gli sforzi del governo per riprendere il controllo sulle aree ricche di risorse del Darfur. Ma se nel passato, le comunità arabe sedentarie e agricole erano state risparmiate dal conflitto, ora si vedono anch' esse oggetto di violenza dalle milizie armate, su cavalli o in più potenti e armate Land Cruiser, perchè occupano aree ricche di risorse. 
Il violento progetto delle milizie armate di Abbala, per consolidare il potere e il controllo sulle miniere del Nord Darfur, richiede grande attenzione dalla comunità internazionale, e una risposta coordinata. Il dossier propone sei raccomandazioni per una soluzione delle recenti ondate di violenza in Darfur, ma anche per le altre cause che sottendono ai conflitti nel Sudan: protezione e sicurezza per i civili, giustizia per le vittime dei crimini in Darfur, confronto e mediazione tra comunità e governo centrale, corridoio umanitario anche nelle aree oggi escluse all'ingresso di operatori umanitari, promozione di politiche di sviluppo economico sostenibile nella regione e controllo dei proventi dalla guerra dell'oro.

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