La violenta repressione di Khartoum non fermerà la voce della democrazia e della libertà del popolo sudanese
Il governo sudanese cala la maschera e mostra il suo volto
più feroce per reprimere la nuova ondata di proteste contro i rincari del
carburante. Per l’opposizione le vittime sarebbero 140, per Amnesty
International 50, per Khartoum 30… A parte il balletto delle cifre una cosa è
certa: il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Nonostante la mano dura del governo contro i manifestanti, i
gruppi universitari e gli esponenti dei partiti politici antagonisti del
National congress party (il partito del presidente Omar Hassan al-Bashir) che
hanno animato la rivolta non hanno intenzione di demordere.
Dopo la manifestazioni dei giorni scorsi i sudanesi
dissidenti, stanchi del regime, stanno pianificando una nuova protesta
antigovernativa nel centro della capitale.
E l’allarme delle organizzazioni per i diritti umani, tra
cui la nostra – da sempre partner di Amnesty International e Human Right Watch
nella campagna per il Sudan – cresce. L'uso della forza arbitraria e illegale
nei confronti dei manifestanti che da giorni protestano contro il taglio dei
sussidi alla benzina potrebbe essere ancora più dura.
Sotto accusa, tanto per cambiare, gli spietati servizi
nazionali di sicurezza e d'intelligence del Sudan (Niss) che usano di prassi il
pugno di ferro nei confronti di oppositori politici e attivisti, a cui non
vengono risparmiati maltrattamenti di ogni genere e torture.
La situazione è precipitata tra il 24 e il 25 settembre a
seguito dell'annuncio della sospensione dei sussidi per il carburante alla
popolazione locale. Il prezzo del carburante è più che raddoppiato. In migliaia
si sono riversati in piazza e nelle strade in tutto il paese, da Khartoum a
Omdurman, da Port Sudan a Wad Madani, fino al Sud Darfur, Nyala e molti altri
centri urbani dove sono stati assaltati stazioni di polizia, edifici
governativi e molti distributori di benzina.
In soli due giorni sarebbero state uccise oltre cinquanta
persone, colpite da armi da fuoco alla testa e al petto. Ma per opposizione e
attivisti locali i morti sarebbero oltre 140.
Il Centro africano di studi sulla giustizia e la pace
denuncia che solo a Omdurman sono arrivati all'obitorio 36 cadaveri, che i feriti in ospedale sono centinaia e gli interventi di urgenza eseguiti in 24 ore sono stati una quarantina.
Le vittime maggiori, ancora una volta, giovani e
giovanissimi tra i 19 e i 26 anni.
Nonostante il governo abbia bloccato la rete internet per giorni e abbia
intimato ai quotidiani di Khartoum di pubblicare solo notizie ‘autorizzate’ da
fonti ufficiali, l’eco di quanto stia avvenendo nel Paese si sta amplificando
sempre di più.
E come nel 2011, quando incoraggiati
dalla Primavera araba nei paesi del
Mediterraneo e mediorientali diedero vita a una grande manifestazione nella Capitale, i ragazzi sudanesi si sono affidati al web sia su Facebook
sia su Twitter e in migliaia aderiscono e supportano la rivolta diffondendola il
più possibile.
Anche questa volta dalla pagina ufficiale dei manifestanti, il cui
slogan tradotto dall’arabo è “gioventù per il cambiamento in Sudan”, partono
gli appelli alla disobbedienza civile e a manifestare contro il governo. Sui
telefonini sudanesi circola un messaggio che fissa appuntamenti in vari
quartieri di Khartoum e non ci saranno divieti di attività politica e
restrizioni della libera espressione e di associazione, nonché il rischio di
arresti, detenzioni arbitrarie, maltrattamenti e torture, che potranno fermare
questa nuova ondata di proteste.
Etichette: #SudanRevolts, comunicato
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