Il blog di Italians for Darfur

giovedì, agosto 27, 2009

Articolo sul Darfur di Mahmood Mamdani

Le presunte "distorsioni" delle associazioni internazionali
L’articolo (dal titolo L’emergenza sotto i riflettori, comparso sul britannico New Statesman e ripreso da Internazionale, n. 809 del 21 agosto 2009) sottolinea che a differenza del conflitto nel Sudan meridionale, quello nel Darfur in realtà è sempre stato al centro dell’attenzione della stampa internazionale, anche grazie all’attività di alcune associazioni (Mamdani cita Save Darfur), che tuttavia avrebbe prodotto anche alcune pericolose distorsioni, come dimostra, secondo l’autore, la denuncia di un numero di morti superiore a quello effettivo nel periodo 2003-2004 (l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha parlato di meno di 120.000 morti mentre Save Darfur e diverse fonti giornalistiche hanno parlato invece di oltre 400.000 morti).
Gli aspetti significativi
Ma aldilà di questo (ricordiamo che le cifre ufficiali dell’ONU, sicuramente per difetto, parlano ormai di 300.000 morti e di quasi 3 milioni di profughi dall’inizio del conflitto), l’articolo di Mamdani è significativo almeno per altri due aspetti. Il primo riguarda una riflessione sulle origini del conflitto (seconda metà degli anni ’80), dovuto soprattutto a un salto di qualità nelle dispute territoriali che hanno periodicamente riguardato le popolazioni nomadi e le tribù agricole stanziali. Infatti, in seguito alla progressiva desertificazione (il Sahara si è esteso di 100 km in quarant’anni) le popolazioni nomadi dedite alla pastorizia (di origine prevalentemente araba) sono state costrette a migrare da nord a sud entrando in contrasto con le tribù agricole (di origine africana) per il possesso delle terre più fertili. Questo in un quadro regionale confuso in cui il Chad è diventato una delle pedine del confronto tra i “blocchi” (Stati Uniti, Francia e Israele da un lato e Unione Sovietica e Libia dall’altro). Il secondo aspetto significativo riguarda invece le due “direttrici” lungo le quali si è sviluppata la violenza nella regione: quella da nord a sud che, come abbiamo detto, ha contrapposto popolazioni nomade e tribù agricole stanziali e quella da est a ovest, che ha riguardato invece le sole tribù nomadi. Secondo Mamdani, le associazioni e la stampa internazionale si sono concentrati solo sull’asse “nord-sud”, nel tentativo di concentrare l’attenzione sul tradizionale dominio degli arabi sugli africani (tesi nata nel periodo del colonialismo inglese) e sul conseguente contrasto arabi-africani, mentre alla base del conflitto ci sarebbe soprattutto la ricerca della terra e la crescente crisi ambientale. L’autore conclude l’articolo profilando per il Darfur due possibili scenari: il c.d. “paradigma di Norimberga” per cui “vittime e carnefici non dovranno convivere nello stesso paese e i sopravvissuti ricostruiranno una nuova identità in uno stato separato, come è successo nel caso di Israele” e il “modello del dopo apartheid” in cui tutti, vittime e autori dei crimini, dovranno imparare a sopravvivere sul modello di quanto accaduto in altri contesti, ad es. in Sud Africa.
Commenti
Certamente Mamdani, autore del volume Saviors and survivors: Darfur, politics and the war on terror (Pantheon, 2009) ha il merito di toccare temi al centro del conflitto del Darfur, in qualche caso dando anche spunti originali (come ad es. le tensioni del “fronte arabo”, elemento importante tanto è vero che una delle direttrici della mediazione congiunta ONU/Unione Africana mira proprio a ristabilire il dialogo al suo interno); tuttavia, a mio avviso, va fatta qualche considerazione. La prima riguarda il fatto che il censimento britannico della metà degli anni ’50 (che ha diviso la popolazione tra dominatori “arabi” e nativi “africani”) da solo non è sufficiente a spiegare le crescenti tensioni della seconda metà degli anni ’80, dovute anche alla decisione del regime del presidente del Sudan Nimeiri di cancellare il sistema di “native administration” che aveva regolato il sistema di proprietà della terra e di amministrazione locale, nonché all’affermarsi dell’”arabismo”, ideologia razzista che esaltava la “nazione” araba (a cui ha contribuito la presenza di militari libici che hanno usato il Darfur come retroguardia durante il conflitto con il Chad). Inoltre definire, come alcuni hanno fatto, il conflitto del Darfur come il primo esempio di conflitto per cause “ambientali”, come affermato anche dal segretario generale ONU Ban Ki-Moon fa correre il rischio di sminuire il triste peso del regime di Khartoum che invece, come dimostrato dalle incriminazioni della Corte Penale Internazionale, ha precise responsabilità nell’escalation del conflitto e nelle iniziative contro la popolazione civile.
Per chi volesse approfondire, riporto l’elenco dei volumi sul Darfur disponibili in lingua italiana:
- Stefano Cera, Le sfide della diplomazia internazionale, LED Edizioni, 2006
- Daoud Hari, Il traduttore del silenzio, Piemme, 2008
- Luca Pierantoni, Darfur, Chimienti, 2008
- Antonella Napoli, Volti e colori del Darfur, Edizioni Goreè, 2009

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