Il blog di Italians for Darfur

lunedì, marzo 19, 2012

La Repubblica: Sudan, cortei in tutto il mondo per fermare i bombardamenti

ROMA - Mezzo milione di persone in Sud Kordofan e Nilo Azzurro rischia di morire di fame dopo essere scampato ai bombardamenti delle forze armate sudanesi. Per chiedere l'intervento della comunità internazionale una coalizione di organizzazioni, tra le quali Amnesty International, United to end genocide e Italians for Darfur, ha promosso iniziative in tutto il mondo. Da Roma a Washington - dove è stato arrestato Geaorge Cloney, suo padre di 78 anni e altri due attivisti, manifestanti e rifugiati sono scesi in piazza per richiamare l'attenzione dei media e delle istituzioni sulle nuove violenze in Sudan.

Un escalation di violenze. "Le testimonianze raccolte tra i profughi dei monti Nuba in Sudan - si legge nella nota di Italians for Darfur, promotrice in Italia della campagna di sensibilizzazione sui diritti umani in Sudan - che sono fuggiti a Unity State in Sud Sudan, raccontano di raid aerei e scontri armati che hanno coinvolto 1,2 milioni di persone in poco meno di 9 mesi di guerra. Da giugno 2011, quando è scoppiata una nuova fase della guerra tra il governo del Sudan e il Movimento di Liberazione Popolare del Sudan del Nord (SPLM-N), è stata un'escalation di violenze. Nonostante il governo abbia negato l'accesso ai giornalisti stranieri e alle Ong internazionali isolando la regione, le notizie dei massacri perpetrati dalle forze armate sudanesi, ma anche dai militari del sud, sono filtrate ampiamente".

I bombardamenti. "Circa 20/30mila nubiani sono riusciti a scappare a piedi per rifugiarsi a Yida - sottolinea Antonella Napoli, giornalista e presidente di Italians for Darfur - dove conducono un'esistenza precaria, con penuria di cibo e carenze sanitarie. E anche lì, oltre il confine, sono stati bombardati dagli aerei Antonov delle forze armate sudanesi, come ha denunciato Makesh Kapila, ex capo del Programma Onu di Sviluppo in Sudan. Kapila, come George Clooney sentito recentemente dal Congresso americano, ha raccontato di aver visto villaggi bruciati, coltivazioni distrutte, scuole e chiese danneggiate e mine antiuomo e bombe a grappolo disseminate nei luoghi dove le donne e i bambini di solito vanno a prendere l'acqua e la legna da ardere".


FOTO: Le foto della coalizione internazionale United to End Genocide, della quale è membro Italians for Darfur ONLUS, unica associazione per l'Italia parte attiva dal 2006 del movimentismo internazionale per i diritti umani in Sudan.

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giovedì, gennaio 07, 2010

Tony Esposito: è online il contributo italiano alla campagna SUDAN 365 "A BEAT FOR PEACE"

E' on-line l'anteprima del contributo italiano alla campagna SUDAN 365 " Un ritmo per la pace"

Il 9 gennaio 2010 prenderà il via la nuova campagna internazionale SUDAN 365 "A BEAT FOR PEACE", alla quale aderisce, per l'Italia, Italians for Darfur Onlus, con il sostegno delle associazioni Articolo 21 e Artisti Socialmente Utili.




Invia anche tu il tuo "Ritmo per la pace" a Italians for Darfur Onlus.
info: www.italiansfordarfur.it

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giovedì, agosto 27, 2009

Articolo sul Darfur di Mahmood Mamdani

Le presunte "distorsioni" delle associazioni internazionali
L’articolo (dal titolo L’emergenza sotto i riflettori, comparso sul britannico New Statesman e ripreso da Internazionale, n. 809 del 21 agosto 2009) sottolinea che a differenza del conflitto nel Sudan meridionale, quello nel Darfur in realtà è sempre stato al centro dell’attenzione della stampa internazionale, anche grazie all’attività di alcune associazioni (Mamdani cita Save Darfur), che tuttavia avrebbe prodotto anche alcune pericolose distorsioni, come dimostra, secondo l’autore, la denuncia di un numero di morti superiore a quello effettivo nel periodo 2003-2004 (l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha parlato di meno di 120.000 morti mentre Save Darfur e diverse fonti giornalistiche hanno parlato invece di oltre 400.000 morti).
Gli aspetti significativi
Ma aldilà di questo (ricordiamo che le cifre ufficiali dell’ONU, sicuramente per difetto, parlano ormai di 300.000 morti e di quasi 3 milioni di profughi dall’inizio del conflitto), l’articolo di Mamdani è significativo almeno per altri due aspetti. Il primo riguarda una riflessione sulle origini del conflitto (seconda metà degli anni ’80), dovuto soprattutto a un salto di qualità nelle dispute territoriali che hanno periodicamente riguardato le popolazioni nomadi e le tribù agricole stanziali. Infatti, in seguito alla progressiva desertificazione (il Sahara si è esteso di 100 km in quarant’anni) le popolazioni nomadi dedite alla pastorizia (di origine prevalentemente araba) sono state costrette a migrare da nord a sud entrando in contrasto con le tribù agricole (di origine africana) per il possesso delle terre più fertili. Questo in un quadro regionale confuso in cui il Chad è diventato una delle pedine del confronto tra i “blocchi” (Stati Uniti, Francia e Israele da un lato e Unione Sovietica e Libia dall’altro). Il secondo aspetto significativo riguarda invece le due “direttrici” lungo le quali si è sviluppata la violenza nella regione: quella da nord a sud che, come abbiamo detto, ha contrapposto popolazioni nomade e tribù agricole stanziali e quella da est a ovest, che ha riguardato invece le sole tribù nomadi. Secondo Mamdani, le associazioni e la stampa internazionale si sono concentrati solo sull’asse “nord-sud”, nel tentativo di concentrare l’attenzione sul tradizionale dominio degli arabi sugli africani (tesi nata nel periodo del colonialismo inglese) e sul conseguente contrasto arabi-africani, mentre alla base del conflitto ci sarebbe soprattutto la ricerca della terra e la crescente crisi ambientale. L’autore conclude l’articolo profilando per il Darfur due possibili scenari: il c.d. “paradigma di Norimberga” per cui “vittime e carnefici non dovranno convivere nello stesso paese e i sopravvissuti ricostruiranno una nuova identità in uno stato separato, come è successo nel caso di Israele” e il “modello del dopo apartheid” in cui tutti, vittime e autori dei crimini, dovranno imparare a sopravvivere sul modello di quanto accaduto in altri contesti, ad es. in Sud Africa.
Commenti
Certamente Mamdani, autore del volume Saviors and survivors: Darfur, politics and the war on terror (Pantheon, 2009) ha il merito di toccare temi al centro del conflitto del Darfur, in qualche caso dando anche spunti originali (come ad es. le tensioni del “fronte arabo”, elemento importante tanto è vero che una delle direttrici della mediazione congiunta ONU/Unione Africana mira proprio a ristabilire il dialogo al suo interno); tuttavia, a mio avviso, va fatta qualche considerazione. La prima riguarda il fatto che il censimento britannico della metà degli anni ’50 (che ha diviso la popolazione tra dominatori “arabi” e nativi “africani”) da solo non è sufficiente a spiegare le crescenti tensioni della seconda metà degli anni ’80, dovute anche alla decisione del regime del presidente del Sudan Nimeiri di cancellare il sistema di “native administration” che aveva regolato il sistema di proprietà della terra e di amministrazione locale, nonché all’affermarsi dell’”arabismo”, ideologia razzista che esaltava la “nazione” araba (a cui ha contribuito la presenza di militari libici che hanno usato il Darfur come retroguardia durante il conflitto con il Chad). Inoltre definire, come alcuni hanno fatto, il conflitto del Darfur come il primo esempio di conflitto per cause “ambientali”, come affermato anche dal segretario generale ONU Ban Ki-Moon fa correre il rischio di sminuire il triste peso del regime di Khartoum che invece, come dimostrato dalle incriminazioni della Corte Penale Internazionale, ha precise responsabilità nell’escalation del conflitto e nelle iniziative contro la popolazione civile.
Per chi volesse approfondire, riporto l’elenco dei volumi sul Darfur disponibili in lingua italiana:
- Stefano Cera, Le sfide della diplomazia internazionale, LED Edizioni, 2006
- Daoud Hari, Il traduttore del silenzio, Piemme, 2008
- Luca Pierantoni, Darfur, Chimienti, 2008
- Antonella Napoli, Volti e colori del Darfur, Edizioni Goreè, 2009

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giovedì, agosto 06, 2009

"UNAMID non è un fallimento.E’ il malandato prodotto dell’ostruzionismo del Governo sudanese e di una comunità internazionale negligente"

Sono trascorsi due anni dall'approvazione della Risoluzione 1769 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dava il via alla missione ibrida dell' Unione Africana e delle Nazioni Unite in Darfur, Sudan (UNAMID).
In occasione del rinnovo del suo mandato, ventitrè ONG, tra cui ITALIANS FOR DARFUR ONLUS per l'Italia, impegnate da anni nella campagna internazionale in difesa dei diritti umani in Darfur, hanno stilato e sottoscritto un documento congiunto sullo stato dell'UNAMID, evidenziandone i limiti e gli interventi necessari e improrogabili per garantire una efficace protezione dei civili coinvolti dal conflitto, in corso da oltre sei anni.
Il contingente di peacekeepers, infatti, sebbene sia riuscito a garantire in alcuni casi il miglioramento delle condizioni di sicurezza in ristrette aree della regione, paga il costante ostruzionismo del governo sudanese e la negligenza e irresponsabilità della comunità internazionale, che non riesce a fornire le basilari risorse logistiche, in particolare i velivoli da trasporto, fondamentali in un'area grande quanto la Spagna.

Ma ciò non significa che non possa essere potenziato e messo nelle condizioni di ottemperare al proprio mandato. UNAMID è stato stanziato in Darfur per il lungo termine e, se la comunità internazionale è effettivamente votata a costruire una pace sostenibile in Sudan, deve allo stesso modo impegnarsi per creare un UNAMID efficace.
Negli ultimi sei mesi, alcuni barlumi di speranza hanno illuminato il potenziale impatto positivo che UNAMID può avere nella stabilizzazione della sicurezza e nella creazione di una situazione favorevole per i negoziati politici. Ci riferiamo alla forte risposta da parte dell’UNAMID alle violenze scoppiate a Muhajeria a al ruolo positivo della missione a seguito dell’espulsione di alcune organizzazioni umanitarie all’inizio di marzo.
Purtroppo, questi esempi rimangono una rara eccezione piuttosto che la norma.
C’è un urgente bisogno di una chiara dimostrazione di volontà politica da parte della comunità internazionale che sostiene UNAMID. E’ il necessario ingrediente per porre fine all’ostruzionismo del Sudan e per fornire risorse indispensabili alla missione.
La comunità internazionale deve raccogliere tutta la sua determinazione per dare seguito alle promesse che riguardano l’ UNAMID e per sostenere il conseguimento della pace in Darfur.

Il rapporto completo, in italiano, delle ONG sulla missione UNAMID è disponibile sul blog di Italians for Darfur : "Building a better UNAMID"

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