Il blog di Italians for Darfur

martedì, settembre 22, 2009

Luce alla fine del tunnel in Darfur?

di Stefano Cera, in Affari Internazionali - http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1249

Prima di lasciare il loro incarico ai vertici, rispettivamente civile e militare, dell’Unamid (la missione ibrida Onu-Unione africana in Darfur), Rodolphe Adada e Martin Luther Agwai hanno sollevato, alla fine del mese di agosto, un interessante interrogativo: la guerra in Darfur può considerarsi conclusa? Dai primi mesi di quest’anno è certamente diminuito il numero di azioni condotte su larga scala nella regione da parte dell’esercito sudanese, così come il numero di decessi mensili (secondo i dati Onu, dai 200 del solo gennaio 2005 si è scesi a 150 del periodo gennaio 2008 - aprile 2009). Per questo il conflitto nella regione occidentale del Sudan non costituisce più un’emergenza ed ha assunto il carattere di ‘conflitto a bassa intensità’, sicuramente più accettabile dall’opinione pubblica mondiale.

Il Sudan meridionale va a rotoli
Secondo autorevoli esponenti della comunità internazionale la situazione del Darfur è ormai decisamente migliore rispetto a quella del Sudan meridionale; Lise Grande, coordinatrice umanitaria Onu per il Sudan mette in evidenza che mentre nella regione occidentale del Sudan “l’attenzione e la solidarietà internazionale stanno facendo la differenza”, nel Sud “si sta invece passando da una situazione disastrosa a una vera catastrofe” (Internazionale, n. 809, p. 38). Infatti, la situazione di transizione del Darfur rende il quadro tendenzialmente migliore rispetto a quello della zona meridionale del paese, dove da diverso tempo sono riprese le tensioni legate ai timori che Khartoum voglia impedire il referendum per l’indipendenza, previsto per il 2011. Ciò autorizza a pensare a un clima diverso, propizio a nuove e più convinte iniziative di pace. Purtroppo, però, la giustizia e l'ordine sociale sono ancora ben lungi dall’essere ristabiliti e proseguono gli episodi di banditismo e di violenza nei confronti degli sfollati e ai danni dello stesso personale civile e militare della missione Unamid.

Dalle insidiose iniziative di pace della Libia…
In questo clima si inseriscono le recenti iniziative della Libia e degli Stati Uniti per dare nuovo slancio unitario ai movimenti di opposizione del Darfur. Il 31 agosto scorso il governo libico ha annunciato la nascita del Sudan's Liberation Revolutionary Forces (Slrf), in seguito alla riunificazione di sei gruppi. Il paese del colonnello Gheddafi è legato a doppio filo alle vicende della regione, a partire dalle origini del conflitto: il Darfur è stato infatti utilizzato come retrovia durante la guerra con il Chad nella seconda metà degli anni ’70 e il leader libico ha avuto un ruolo di primo piano nel supporto all’Arab Gathering, il cui fine era la presa del potere nell’area centrale sub-sahariana e nell’Africa occidentale.Ma la Libia è stata anche coinvolta nelle diverse iniziative legate al processo di pace, di cui l’ultima due anni fa, quando il tentativo di favorire la riunificazione delle forze ribelli è fallito in seguito alla mancata partecipazione di alcuni fra i più importanti fra loro. Inoltre, Gheddafi è fra i maggiori sostenitori del presidente Bashir; è stato uno dei primi ad ospitarlo all’indomani della richiesta di arresto da parte della Corte penale internazionale (Cpi) e, nelle vesti di presidente dell’Unione Africana (UA), nel recente mese di luglio ha promosso la dichiarazione di non cooperazione con la richiesta di arresto della Corte, gettando gravi ombre sull’azione dell’organizzazione e sull’efficacia della pronuncia della Cpi. Infine, nei giorni scorsi, il presidente dell’UA (nel corso del summit africano sul tema della risoluzione dei conflitti nel continente) ha accusato Israele di dare supporto alle forze ribelli, facendo proprie le argomentazioni delle autorità sudanesi.

… a quelle degli Stati Uniti
L’inviato speciale Usa, Scott Gration, sta concentrando la propria attenzione su tre gruppi, URF, SLM-Juba di Ahmed Abdel Shafi e SLM-Unity di Abdalla Yahya. Anche gli Usa hanno avuto un ruolo importante nel Darfur (nel 2004 l’allora segretario di stato Colin Powell è stato il primo a parlare di “genocidio”) e l’iniziativa del nuovo inviato speciale Gration indica l’intenzione di Washington di partecipare più attivamente alla ripresa del dialogo sia fra le forze ribelli che tra queste e Khartoum. Tuttavia ad alcuni il suo operato non piace: alcune fazioni locali lo hanno paragonato a un ministro degli esteri sudanese, mentre alcuni attivisti americani gli rimproverano di distogliere l’attenzione dai gravi crimini contro l'umanità perpetrati ai danni della popolazione per ottenere dal Sudan un compromesso per la stabilità nella regione.

Successi e debolezze della presenza internazionale
Alla fine di luglio si sono celebrati i due anni dall’inizio della missione Unamid, considerata da molti un fallimento a causa soprattutto dell’ostruzionismo del governo sudanese, del mancato adempimento degli impegni da parte della comunità internazionale e della cronica mancanza di risorse (tra cui la ormai tristemente “famosa”mancanza di 18 elicotteri da trasporto, ritenuta necessaria per rendere efficace l’azione di peacekeeping in un territorio grande come la Francia). A tal fine, il Dipartimento della Difesa americano sta valutando la possibilità di inviare “consiglieri” per dare supporto alla missione per le questioni logistiche, mentre l’inviato speciale Gration ha dichiarato che, per garantire un cessate il fuoco duraturo tra le parti , è necessaria la presenza sul territorio di una forza di intelligence in grado di effettuare un continuo monitoraggio del processo di pace. Nonostante le indubbie difficoltà, la missione è spesso riuscita a fare la differenza; il rifiuto di abbandonare Muhajeria (come invece richiesto dal governo sudanese) nel mese di febbraio ha impedito un attacco su larga scala e dopo l’espulsione di 13 Ong avvenuta a marzo, l’Unamid è intervenuta per colmare le lacune nel programma di protezione e ristabilire così un efficace accesso umanitario. Sul piano diplomatico invece il mediatore congiunto Djibril Bassolè ha annunciato per la fine del mese di ottobre lo svolgimento del prossimo round negoziale tra il governo e i movimenti di opposizione, preceduto da due workshop: il primo che riunirà a Doha tutte le forze ribelli, finalizzato alla discussione di tutti gli aspetti legati al processo di pace, comprese le iniziative per garantire una più efficace sicurezza della popolazione e lo sviluppo socio-economico; il secondo, il forum della società civile, che si svolgerà in parallelo rispetto all’incontro di Doha e permetterà a tutte le comunità della regione di dare il proprio contributo alla pace, alla riconciliazione e alla promozione dello sviluppo nella regione. In conclusione, anche se molti dei problemi che affliggono in Darfur restano ancora non risolti, la speranza è che, con il maggior sostegno da parte dell’amministrazione Obama, le diverse tessere che compongono il mosaico del processo di pace possano finalmente integrarsi per arrivare alla definizione di una pace durevole.

Stefano Cera è il Responsabile della Formazione dell’Associazione “Italians for Darfur”; autore del volume “Le sfide della diplomazia internazionale – Il conflitto nel Darfur – L’escalation della questione cecena: i sequestri di ostaggi del teatro Dubrovka e della scuola di Beslan”.

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