Il blog di Italians for Darfur

giovedì, febbraio 02, 2012

Una voce per il Darfur, di Abdulwahab Suliman Ahmed*




Mi chiamo Abdulwahab Suleiman Amhed e vengo da un posto molto lontano, il Darfur.
Dal 2007 sono in Italia, ma mai mi sarei immaginato di dover lasciare la mia terra e venire in Italia. Grazie a mio padre, però, ho potuto salvarmi.
In Darfur, infatti, sono già otto anni che si combatte: moltissime sono le vittime, ancora si continua a morire.
La differenza più grande, tra il mio Paese e qui, è la musica.Quando ero in darfur non potevo sentire la musica, solo tanta paura e la voce delle armi. Prima della guerra si sentiva tanta musica però.
Dal 2005 ho frequentato la scuola superiore e la leva obbligatoria. Ero minorenne. Nel campo eravamo tanti darfuriani, di tutte le etnie, ma anche arabi, e facevamo tutti parte dell'esercito sudanese.
Ci facevano tante lezioni, ti entravano dentro al cuore. Mi hanno obbligato a imparare a fare la guerra, a come uccidere gli altri.

Lì abbiamo capito che il vero problema era chi ci governava. Bashir voleva dividere le persone.Siamo uniti, arabi, fur, zaghawa, però il governo ci costringe a lottare, a dividerci. Al campo di addestramento militare eravamo tantissimi gruppi, moltissimi minorenni di 13 14 anni mandati a fare il militare.

Importante è far studiare i bambini.
Ciò che può far cambiare il corso della guerra è, infatti, studiare.
Bisogna salvare i bambini. I vecchi fra un pò muoiono, ma ciò che può cambiare nel futuro del Paese è legato al nostro futuro: se studieremo potremo cambiare tante cose.
Mi piacerebbe che venissero aperte tante scuole, che tanti bambini soldato si salvassero.
Quando arrivai a Roma nel 2007, avevo detto a mio padre che avrei voluto studiare, ma per diversi motivi non ci sono riuscito fino a quando sono andato a Trento. Lì ho iniziato gli studi in un istituto professionale.
Ho scoperto anche il piacere di fare teatro. Non cambierà nulla nella mia vita, forse, il teatro, ma spero di poterlo continuare a fare.
Il mio pensiero ogni giorno va alla mia donna, ancora in Sudan. Voglio studiare e lavorare, qualsiasi lavoro, per offrire a lei e ai miei figli che verranno una vita nuova e dignitosa. Ma non è facile trovare lavoro, anche in Italia. Se mai questo non dovesse accadere, tornerò in Sudan, a sfidare il mio destino.

*pubblicato su MPNEWS.it in Gentes, racconti dal mondo

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