Il blog di Italians for Darfur

martedì, novembre 18, 2008

Darfur, il nuovo cessate-il-fuoco seguirà la sorte dei precedenti?

di Stefano Cera
Pubblicato su Articolo 21 - link: http://www.articolo21.info/4531/editoriale/darfur-il-nuovo-cessateilfuoco-seguira-la-sorte.html
Il 12 novembre il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir, al termine del “Forum delle popolazioni del Sudan”, ha annunciato un cessate-il-fuoco unilaterale, immediato e incondizionato nel Darfur, la definizione di un meccanismo di controllo dello stesso e la campagna per il disarmo di tutti i gruppi armati.
La dichiarazione unilaterale sarebbe stata “suggerita” al leader di Khartoum dalle conclusioni del forum (a cui ha partecipato anche il presidente dell’Eritrea Isayas Afeworki), che hanno evidenziato alcune iniziative ritenute essenziali per risolvere il conflitto nel Darfur: concreto supporto alla missione congiunta ONU/Unione Africana UNAMID prima della ripresa dei colloqui di pace con i movimenti di opposizione, creazione di un fondo di compensazione per le vittime del conflitto, agevolazioni per il ritorno degli sfollati ai loro villaggi e liberazione dei detenuti politici.
Incerta è invece la proposta di accorpare le tre regioni in cui è diviso il Darfur in un’unica regione amministrativa (come era prima della riforma amministrativa degli anni ’90); Bashir infatti ha sottolineato che verrà formata un’apposita commissione per realizzare studi specifici. Così come il presidente non si è impegnato su altri temi, come il rilascio delle persone coinvolte negli attacchi del JEM a Khartoum nel mese di maggio e la possibilità di creare una nuova carica di vice-presidente, specifica e rappresentativa del Darfur a livello nazionale. Il forum riunisce esponenti politici del Sudan (non dei movimenti di opposizione del Darfur) e personalità straniere ed è stato costituito da Khartoum all’indomani della richiesta di condanna del presidente sudanese da parte del procuratore della Corte Penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo.
E’ legittimo avere delle riserve sulle dichiarazioni di Bashir e il timore è che anche questo cessate-il-fuoco possa seguire la sorte dei precedenti (sottoscritti dal governo e dai movimenti di opposizione) e rimanere una bella affermazione di principio, rispetto al quale tuttavia non c’è stato alcun seguito. Infatti, esiste il sospetto che la dichiarazione del presidente sia “strumentale” rispetto alla volontà di attrarre a sé alcuni esponenti dei movimenti di opposizione, così come accaduto nel 2006 con il Darfur Peace Agreement (sottoscritto, tra le forze ribelli, solo dalla fazione del Sudan Liberation Army/Movement – SLA/M di Minni Minawi che, in virtù della firma dell’accordo, è diventato la quarta carica dello stato). Inoltre, le dichiarazioni potrebbero essere frutto della volontà del presidente di creare un ambiente internazionale favorevole che incida sulla richiesta di condanna della Corte Penale Internazionale. Le perplessità sono confermate dagli attacchi dei giorni scorsi alle forze ribelli vicino al confine del Chad, che secondo fonti ONU e il JEM sarebbero stati compiuti dall’esercito regolare del Sudan. Secondo il portavoce del JEM, Ahmed Hussein Adam, “questa è un’altra prova delle reali intenzioni del regime di Khartoum che continua a comportarsi sempre allo stesso modo. […] Il cessate-il-fuoco è solo una grande bugia e un’attività di pubbliche relazioni”. Analoghe critiche provengono da Abdel Wahid, esponente di punta dello SLA/M, uno dei fondatori del movimento e leader riconosciuto nel Darfur (soprattutto all’interno dei campi-profughi) che, dopo un periodo passato in “isolamento “ volontario è ritornato sulla scena della regione. La sua presenza e il suo contributo sono considerati importanti ai fini di un accordo politico.
A prescindere dal fatto che le dichiarazioni di Bashir siano di facciata o meno, la Francia ha già dichiarato che queste, nonostante siano promettenti, non sono comunque sufficienti a persuadere Parigi ad opporsi alla possibile incriminazione di Bashir da parte della Corte Penale Internazionale, se non è accompagnato da una modifica di atteggiamento più generale (es. supporto convinto al processo di pace, consegna di Ali Kushayb e Mohamed Harun, i due esponenti del regime incriminati dalla Corte, ecc.).
Peraltro, la dichiarazione francese mette in evidenza un argomento molto importante, che riguarda le relazioni tra la comunità internazionale e il presidente sudanese. Infatti, sostenere che in caso di cambiamento di atteggiamento da parte del presidente ci potrebbe essere un “occhio di riguardo” nei confronti della sua situazione con la Corte, lascia intendere, fra le righe, una sorta di “mutua concessione” (del tipo “tu dai una cosa a me, io do una cosa a te”), quasi che le accuse a Bashir (tra cui, ricordiamo, la più grave di tutte, quella di genocidio) fossero in qualche modo “negoziabili”. E’ vero che la volontà e la collaborazione di Bashir sono fondamentali per il buon esito di alcune attività (su tutti l’efficacia dell’UNAMID); tuttavia l’obiettivo della comunità internazionale è di ottenere un comportamento efficace a prescindere da eventuali “sconti” al regime di Khartoum.
In conclusione, le perplessità, all’interno del Darfur come a livello internazionale, riguardano non tanto la dichiarazione sul cessate-il-fuoco e il disarmo delle milizie dei janjaweed (che restano elementi considerati prioritari per arrivare ad una soluzione del conflitto, tanto che lo stesso Wahid sottolinea che l’attività di “conflict resolution” sarà possibile solo dopo quella di “conflict suspension”), quanto piuttosto l’effettiva volontà di darvi seguito, visto che già in passato (a partire dal 2004) sono stati firmati tanti accordi in tal senso, nessuno dei quali ha avuto un seguito concreto. Le questioni che riguardano il conflitto nel Darfur sono molteplici (basti pensare alle notevoli difficoltà della missione UNAMID) e su tutte Khartoum può fare qualcosa per convincere tutti, all’interno del Darfur e a livello internazionale, che stavolta “si fa sul serio”. Non resta, evidentemente, che aspettare (e sperare), consapevoli tuttavia che la speranza da sola non basta.

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