Il blog di Italians for Darfur

lunedì, luglio 13, 2009

Diplomazia e real-politik: la pronuncia dell’Unione Africana sulla vicenda-Bashir

di Stefano Cera
La decisione, da molti temuta, è arrivata: il 4 luglio, nel corso del vertice svoltosi a Sirte (in Libia), l’Unione Africana (UA) ha dichiarato di non voler cooperare con la richiesta di arresto per il Presidente del Sudan al-Bashir emessa dalla Corte Penale Internazionale (CPI) all’inizio del marzo scorso. Il testo della risoluzione è stato introdotto dal leader libico Gheddafi (Presidente dell’organizzazione degli stati africani) ed è stato approvato, per decisione consensuale, nel corso della riunione dei ministri degli esteri.
Le motivazioni della decisione e le reazioni contrarie
La decisione arriva al termine di un periodo in cui l'UA ha più volte richiesto il differimento dell’iniziativa contro Bashir, attraverso il ricorso all’art. 16 dello Statuto della Corte, che prevede la possibilità, su richiesta del Consiglio di Sicurezza ONU, di sospendere per un anno (rinnovabile) la procedura della CPI. I motivi sono legati alla preoccupazione che la richiesta di arresto possa indebolire gli sforzi per il processo di pace nel Darfur; per questo motivo, secondo il presidente del Ghana
John Atta Mills, la decisione dell’UA rappresenta “il meglio per l’Africa”: “Abbiamo bisogno di una soluzione durevole per il Darfur e il presidente del Sudan è una parte importante della soluzione. Con lui fuori, sarebbe molto difficile raggiungere una soluzione al conflitto nella regione. Per questo abbiamo richiesto il differimento della procedura della Corte”. Nonostante l’approvazione della risoluzione, nel vertice UA si sono registrate parecchie manifestazioni di dissenso; il ministro degli esteri del Benin Jean-Marie Ehozou (Sudan Tribune, 4 luglio 2009) ha commentato: “Consenso di solito significa unanimità, ma in questo caso si è registrato parecchio dissenso alla decisione”, riferendosi soprattutto ai tentativi di opposizione del Botswana e del Chad. Il primo è stato il primo a dissentire pubblicamente dalla decisione dell’organizzazione dei paesi africani (seguito dopo qualche giorno dall’Uganda), sottolineando di non voler osservare una risoluzione imposta da Gheddafi.
Significato della decisione e possibili sviluppi
L’impressione è che la risoluzione sia stata adottata in conseguenza di due forti spinte coincidenti. Innanzitutto le pressioni di Gheddafi affinché si adottasse una decisione favorevole a Bashir: per il leader libico infatti la Corte rappresenta una “nuova forma di terrorismo mondiale” e nei giorni precedenti la richiesta di arresto aveva minacciato di far ritirare tutti gli stati africani firmatari dallo Statuto della Corte, dimostrando poi particolare solerzia sia nell’esprimere solidarietà al presidente sudanese che nel riceverlo in visita dopo la richiesta di arresto. Inoltre, ha avuto un peso considerervole la preoccupazione di molti leader di stati africani che l’iniziativa contro Bashir fosse in realtà solo la prima di una serie di iniziative simili contro di loro.
In sintesi, la decisione dell’UA sembra essere un duro colpo al ruolo di mediazione svolto fino ad oggi dall’organizzazione, che d’ora in poi difficilmente potrà apparire come terzo neutrale, indipendente e imparziale nei colloqui di pace tra il governo e le forze di opposizione. Inoltre, potrebbe costituire un pericoloso precedente, in grado di indebolire la credibilità della stessa Corte; infatti, stabilendo una presunta “negoziabilità dei diritti umani”, metterebbe in secondo piano le responsabilità di Bashir nei confronti delle persecuzioni dei civili, che anzi potrebbero continuare anche grazie al “clima” di impunità creatosi. Infine, potrebbe colpire la credibilità di iniziative “parallele”, come ad es. il panel di esperti presieduto dall'ex presidente sudafricano Thabo Mbeki (promosso dall’UA nel febbraio di quest’anno) che mira a trovare meccanismi giudiziari alternativi alla CPI in grado di garantire in maniera efficace la punizione dei responsabili delle violazioni dei diritti umani in Darfur. Per questo motivo Mbeki, nei giorni precedenti l’incontro di Sirte, avrebbe tentato, senza successo, un’azione per evitare la decisione dell’UA.

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