Il blog di Italians for Darfur

mercoledì, febbraio 24, 2010

Accordo di pace per il Darfur: è vera gloria?

di Stefano Cera
E’ destino che per il Darfur, il mese di febbraio abbia un significato particolare. Infatti è nel febbraio del 2003 che inizia il conflitto che ha prodotto almeno 300.000 morti (alcuni arrivano a parlare addirittura di 450.000 vittime) e quasi 3 milioni di profughi. E’ sempre nel mese di febbraio (dello scorso anno) che a Doha, nel Qatar, il governo del Sudan ha firmato un accordo con il Justice and Equality Movement (JEM) che, nelle intenzioni delle parti, avrebbe dovuto preparare il terreno a dialoghi successivi per porre fine al conflitto, ma che fallisce in seguito al rifiuto del governo di Khartoum di rilasciare i combattenti del JEM che avevano partecipato agli attacchi alla capitale nel maggio del 2008. Ed è infine di pochi giorni fa la notizia che, sempre a Doha e sempre con il JEM, Khartoum ha firmato il Framework and Ceasefire Agreement, di fatto un pre-accordo che prevede una tregua fino al prossimo 15 marzo, giorno in cui verrà firmata la pace definitiva.

I contenuti dell’accordo

In virtù della firma, il JEM ha ottenuto posizioni di rilievo nell’amministrazione centrale e locale, mentre la situazione amministrativa della regione sarà oggetto di una trattativa separata. Dopo la firma dell’accordo il governo ha liberato 57 combattenti del JEM, di cui 50 precedentemente condannati alla pena capitale e 5 all’ergastolo. La liberazione segue quella di altri detenuti nel periodo precedente (il ministro della giustizia di Khartoum ha commentato di aver «aumentato dal 30 al 50% il numero delle persone liberate»). Nel corso delle trattative il JEM avrebbe anche chiesto al governo di posticipare di un periodo ritenuto congruo le elezioni per meglio preparare la popolazione all’appuntamento, ma senza ottenere alcun risultato.

Le trattative dell’ultimo periodo

Le trattative sono iniziate circa sei mesi fa e si sono svolte anche attraverso i buoni auspici della Comunità di Sant’Egidio che, in un comunicato successivo alla firma dell’accordo, si è "congratulata" con le parti, con il governo del Qatar e con la mediazione congiunta Unione Africana-Nazioni Unite, sottolineando come «il raggiungimento dell'accordo sia un'ulteriore dimostrazione di quanto la sinergia tra realtà istituzionali e non istituzionali possa portare a risultati efficaci». In questo spirito la comunità annuncia che continuerà a impegnarsi affinché anche gli altri movimenti ribelli possano raggiungere un accordo con il governo.

Le motivazioni dell’accordo

Diverse sono le motivazioni che hanno spinto le parti al tavolo negoziale. Per il governo, le pressioni della comunità internazionale, la richiesta di arresto del presidente al-Bashir della Corte Penale Internazionale (CPI) del marzo scorso, ma anche le elezioni presidenziali che si dovrebbero svolgere tra due mesi e il referendum per l’indipendenza della parte meridionale del paese, che si svolgerà nel gennaio del prossimo anno. Per il JEM ha avuto certamente un peso determinante l’accordo precedente tra Chad e Sudan che, di fatto, ha aperto la strada all’accordo di Doha. In particolare il ruolo del Chad è di particolare rilievo, sia perché è considerato il “protettore” del JEM, sia per il ruolo che ha avuto nelle trattative che hanno portato all’accordo di Doha.

Quali speranze per il futuro?

L’accordo sembra finalmente aprire spiragli per il futuro. Innanzitutto, perché ha visto la firma, su basi completamente nuove rispetto al passato, del principale movimento di opposizione del Darfur. Poi, perché è stato rifiutato solo la fazione dello SLA di Abdel Wahid al-Nur, che continuando a ribadire il principio “no conflict resolution without conflict suspension”, sulla base del quale chiede al governo quale pre-condizione per il dialogo di disarmare le milizie dei janjaweed e di porre fine agli attacchi ai civili. Mentre altre dieci fazioni, appartenenti ai gruppi di Tripoli (riuniti attraverso la mediazione della Libia) e Addis Abeba (riuniti attraverso la mediazione dell’inviato speciale USA Scott Gration) si sono uniti nel Liberation Movement for Justice, guidato da El Tijani El-Sissi, già governatore del Darfur. Nel corso di una conferenza-stampa, il gruppo ha dichiarato che inizierà a breve dei colloqui di pace separati con il governo del Sudan. La Lega Araba, l’Organizzazione dei Paesi islamici (OIC), i vertici dell’UNAMID, la missione di peacekeeping “ibrida” ONU-Unione Africana che ha iniziato la sua attività in Darfur nel 2007 e molti paesi hanno salutato l’accordo come l’inizio di un nuovo periodo per il Darfur. La speranza è che sia davvero così e che non si ripeta quanto accaduto in passato, quando gli accordi per il cessate-il-fuoco sono stati sistematicamente disattesi. Se sarà un’era nuova per il Darfur, ce lo dirà certamente il prossimo periodo. Le condizioni sembrano finalmente esserci.

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