Il blog di Italians for Darfur

lunedì, agosto 11, 2008

"La guerra armata è l’unica arma per liberare il Darfur e tutte le altre regioni dall’oppressione della dittatura."

1.5 Guerriglia totale

di Giorgio Trombatore
(Ex-Capo progetto della Cooperazione Italiana in Darfur)

La sentinella solitamente si appostava dietro ai ruderi di un mercato totalmente distrutto nell’area di Kidingir nel massiccio centrale del Jebel Marra in Sud Darfur.
Era un giovane Fur, uno di quegli uomini senza età.
Vestito di stracci con i capelli stile Rasta e con tutto il corpo ricoperto di Jujou, una sorta di amuleto locale , stava per ore a scrutare la savana contro possibili attacchi nemici.
A tracollo portava un vecchio Kalashnikov modello cecoslovacco.
Non appena il rumore di una jeep rompeva il silenzio della savana, la sentinella sparava un colpo nel cielo .

Era l’avvertimento, la sirena dei guerriglieri.
Subito dopo a qualche centinaio di metri, i ribelli destati dal colpo di Kalashnikov della sentinella si mobilitavano per preparasi a ricevere l’arrivo di ospiti indesiderati.
Oggi pero’ è un veicolo delle Nazioni Unite che porta aiuti umanitari. I ribelli lanciano uno sguardo al veicolo e poi si ritirano nelle loro capanne.
Scampato pericolo!.

Del gruppetto dei giovani soldati rimane solo il Sultano di Kidingir .
Da anni oramai il Sultano di Kidingir è rimasto l’unica autorità politica nel Jebel Marra. Da questa zona sono scappati tutti subito dopo gli attacchi dei governativi.
Il Sultano si sistema la sua jallabiah e si reca nei pressi della scuola secondaria appena ristrutturata dalla Cooperazione Italiana sperando di ricevere doni ed aiuti dalla delegazione dell’ONU.
La sentinella accenna un saluto ai veicoli con a bordo i funzionari dell’Unicef e poi torna a mimetizzarsi dietro dei cespugli.
Sempre in allerta , i janjaweed e le loro milizie sono in zona.
Nessun dorma !

Il terrore di un attacco è palpabile, visibile soprattutto negli occhi di giovani donne che hanno abbandondato i loro villaggi in fiamme .
Del villaggio non è rimasto niente, lo sanno bene anche le sentinelle .

Il compito della sentinella è fondamentale per l’intera sicurezza del villaggio. I Fur di questa zona lo sanno bene. I guerriglieri hanno poche munizioni in dotazione, e quelle poche armi vanno gestite con sapienza e cautela.
Quando si spara si deve essere sicuri di uccidere perché i predoni non perdonano e la morte per chi sceglie la lotta armata è sempre in agguato.

Non è un crimine uccidere quando si vive in mezzo alla savana in balia di uomini armati che possono piombare in qualsiasi momento del giorno e della notte. In pochi minuti si perde tutto e perdere la vita è l’ultimo dei problemi.
Pochi attimi e ti ritrovi la casa bruciata, il bestiame rubato, magari la sorella violentata ed il padre ucciso. Ti guardi intorno e ti senti perduto.

A quel punto l’alternativa è finire in un misero campo profughi dove ogni giorno fai la fila insieme ad altri centinaia di disgraziati per ricevere dal WFP una manciata di riso.
Nel momento che entri nel campo profughi non farai altro che metterti in coda sin dalle prime ore della mattina.
Senza accorgertene vieni risucchiato dalla vita degli orari inflessibili dei campi profughi.
C’è l’ora dell’appello, c’è la giornata per il controllo dei bambini presso la tenda dell’Unicef, e poi l’ora della distribuzione alimentare. In tutto questo devi sapere evitare anche i fastidi e le minacce della polizia sudanese sempre pronta per minacciare e sfruttaren questi poveri disgraziati.
In questo disgustoso quadretto c’è chi invece sceglie di prendere un fucile e raggiungere i ribelli nelle montagne per combattere l’odiosa dittatura araba di Al Bashir.

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Io personalmente supporto questa scelta:
La guerra armata è l’unica arma per liberare il Darfur e tutte le altre regioni dall’oppressione della dittatura.
Gli attacchi contro le squadre di polizia, le incursioni nelle caserme dell’esercito sudanese e la contro-offensiva contro le milizie dei janjaweed sono l’unico rimedio a questo silenzioso massacro. Sferrare colpi su colpi e colpire le truppe sudanesi nel cuore delle loro istituzioni.

Io non credo ai tavoli ed alle trattative, credo che alle armi ed alle oppressioni bisogna rispondere con altrettanto ferocia.
A chi sferra i colpi inermi contro i civili bisogna rispondere con attacchi ben studiati.

Quando mi incontravo con i dirigenti del JEM o dello SLA continuavo a ripetere che bisognava portare la guerra in capitale.
Una guerra che si combatte a migliaia di chilometri non viene sentita ne percepita come tale da chi vive tranquillo tra le code di un supermercato o innervosito dalla mancanza di un parcheggio.
Diciamo come le stanno le cose. La guerra nei Balcani non impediva certo agli italiani di andare con tanta spensieratezza in vacanza al mare mentre aerei della Nato si alzavano in volo per bombardare la Serbia.

Per questo Sono stato positivamente colpito quando qualche mese fa ho letto della notizia che un assalto condotto dalle milizie del JEM aveva colpito l’area residenziale di Ondurman a pochi chilometri da Khartoum.
Questa è la strategia vincente!!!.

La storia ci ha insegnato che tutti i movimenti di guerriglia hanno avuto successo solo quando si è riusciti a coinvolgere anche la popolazione.
Tornando al Darfur, come sappiamo negli ultimi anni il conflitto armato ha conosciuto una crescita esponenziale delle fazioni in lotta. Nuovi gruppi , nuove sigle si sono formate ed hanno segnato la regione con nuovi e tristi accadimenti.
Ma l’origine del conflitto deve essere ricercata nella decisione da parte di un gruppo di Zagawa che anni or sono decisero di attaccare una stazione di polizia nel Sud Darfur.

Sia Benedetto quel giorno!!!

Quell’attacco segno’ l’inizio della guerriglia dello SLA. Quell’attacco poteva essere un insignificante episodio di banditismo o di delinquenza locale , ma i leader sudanesi sono riusciti a trasformarlo nel tempo in una guerriglia organizzata che avrebbe destabilizzato uno dei paesi più grandi dell’Africa.
Del resto quello che fecero in quegli anni Abdel Uahid e Minnie Mennawie fu una scelta chiara e senza ritorno, quella della lotta armata.
Quei leader africani capirono che l’unica via percorribile era quella della guerra civile.
Non nelle aule dei tribunali, non attraverso l’inchiostro dei giornali, ma con la consistenza dei proiettili sparati contro i convogli militari del governo sudanese.

La storia dei recenti conflitti mondiali è piena di azioni che hanno sconvolto la geopolitica del globo, e spesso dietro a conflitti nazionali che hanno creato migliaia di vittime ed hanno ridisegnato il quadro politico di molte nazioni c’è dietro la volontà di pochi uomini .

A Cuba Fidel Castro e Che Guevara riuscirono organizzando una guerrigilia nella selva cubana a far cadere il regime dittaoriale di Batista, in Cina Mao Zedong si libero’ dei nazionalisti di Chang Kai sheik e delle potenze straniere.
Ma è l’Africa il paese per eccellenza dove pochi uomini hanno dato vita in breve a movimenti di guerrigilia che in alcune occasioni sono riusciti a prendere il potere.

In Sudan i Dinka guidati da John Garang per decenni hanno opposto una guerriglia organizzata che alla fine ha visto riconosciuto dal governo di Omar Al Bashir il suo ruolo in una nuova società sudanese.
Ma i risultati di John Garang sono stati raggiunti solo dopo grazie ad anni di guerriglia sapientemente organizzata.
In Mozambico la Renamo di Dhaklame ha opposto negli anni novanta una fiera opposizione al governo della Frelimo sino a giungere a vedere riconosciuto la sua lotta armata con le prime libere elezioni in Moambico nel 1994.
Poi c’è il caso dell’Angola di Jonas Savimbi, il Polisario nel Western Sahara, i guerriglieri in Chad, in Niger e nel delta in Nigeria.

I movimenti di guerriglia hanno sempre prodotto un cambiamento nella società anche se spesso questi cambiamenti hanno solo segnato un cambio della guardia al potere senza portare nessun beneficio della popolazione.
Chi giunge al potere con le armi spesso le perde con gli stessi mezzi.
Rari sono i casi di leader che una volta giunti al potere hanno amministrato la cosa pubblica con fermezza ed equità per il popolo.

Purtroppo i Museveni dell’Africa contemporanea sono tanti e si assomigliano tutti. Nati come ribelli, acclamati dal popolo in breve hanno disilluso le aspettative di milioni di africani instaurando regimi tribali clientelari.
Oggi in Zimbabwe un uomo chiamato Mugabe è riuscito a fare piombare il paese nel più disastroso e terribile scenario apocalittico, dove inflazione e disoccupazione sono ai livelli più alti della storia del continente. In Congo un figlio del già noto Kabila guida una delle Nazioni più vaste dell’Africa, in Ruanda il grande eroe della liberazione dei Tutsie è rimasto ancorato alla sua poltrona e tutto sembra fare intendere che vi resterà per anni.

Aldilà di queste speculazioni io credo nella lotta armata come unica via per interrompere la scia di massacri che sono avvenuti in Darfur.
Purtroppo il rischio più grande è quello di avere solo un cambio di persona al vertice della struttura di comando.
Meglio correre il rischio!
Bisogna altresì riconoscere che solo grazie alla guerriglia armata dello SLA e del JEM il governo di Al Bashir ha dovuto porre un limite ed un freno alle sue milizie filogovernative.

Non sono stati certi i colloqui di Abuja a fare tacere le armi per qualche periodo nel sud e nel nord Darfur. Questi sono gli effetti della lotta armata nel tempo, grazie al sacrificio e alla morte di molti giovani guerriglieri sudanesi che sono riusciti con il sangue a fermare le scorribande dei Janjaweed.


Autore del presente testo è Giorgio Trombatore. Italians for Darfur e IB4D non sono responsabili di quanto espresso dall'autore.

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