Intervista a Kostas Moschochoritis, direttore di Medici Senza Frontiere - Italia
Chiunque può pubblicare e distribuire quanto segue, purchè se ne citi la fonte [Italian Blogs for Darfur]:
1. Dott. Kostas Moschochoritis, lei è direttore di MSF Italia. Chi è e cosa l'ha spinta a impegnarsi nella direzione di MSF Italia?
La mia prima esperienza con MSF Italia risale al 1996, quando ho lavorato come volontario in un progetto di assistenza ai nomadi rom bosniaci a Roma. Ho deciso di impegnarmi nella direzione di MSF Italia perché credo che il suo contributo al dibattito umanitario in Italia, e alle operazioni di MSF nel mondo, possa crescere ancora.
2. Da quando MSF opera nel Sudan, e in quali aree?
MSF lavora in Sudan dal 1979. MSF è presente in Sud Sudan, dove, nonostante la fine del conflitto tra il governo sudanese e l’Esercito di Liberazione del Popolo del Sud (SPLA) nel gennaio del 2005, la popolazione continua ad attendere un miglioramento delle proprie terrificanti condizioni di vita, e nel Darfur, dove una nuova escalation di violenza da parte di tutti i gruppi armati nei confronti della popolazione civile e anche degli operatori umanitari ha ulteriormente peggiorato la situazione degli oltre due milioni di sfollati. Nel Darfur, MSF è presente in tutti e tre gli stati che lo compongono, ovvero Nord Darfur, Sud Darfur, e Darfur occidentale.
3. Quali sono le emergenze mediche più gravi che MSF ha dovuto fronteggiare in Darfur e quali le difficoltà più grandi che incontrate sul campo?
Oggi, la situazione è molto differente. MSF è stata obbligata a ridurre le sue attività per l’intensificarsi dei combattimenti e dei pericoli crescenti nel Darfur. La riduzione dell’accesso alla popolazione per gli operatori umanitari ha delle conseguenze immediate per i nostri pazienti, in particolare per quelli che hanno bisogno di assistenza chirurgica. Non siamo più in grado di trasferire queste persone in strutture sanitarie adeguate, poiché la mancanza di sicurezza rende le strade impercorribili. Alcuni pazienti muoiono perché non possono più essere trasferiti in ospedale.
Allo stesso tempo, la comunità internazionale ha ridotto i finanziamenti destinati al Darfur. Le restrizioni di budget di molte organizzazioni internazionali hanno colpito le distribuzioni di viveri, la fornitura di acqua potabile e gli aiuti agli ospedali. Lo stato di salute delle popolazioni sfollate in Darfur, che vivono in “isole” dove l’assistenza era fino a oggi possibile, è rimasta a un livello accettabile unicamente poiché il sistema di aiuti è stato in grado di funzionare regolarmente per gli ultimi due anni. Queste famiglie si trovano in una situazione di dipendenza totale poiché sono costrette a vivere in campi sfollati che sono diventate delle prigioni a cielo aperto, e sono al tempo stesso private di qualunque mezzo autonomo di sussistenza. Quando si parla dei dati medici nelle cosiddette “isole di assistenza” - gli enormi campi per gli sfollati nelle città controllate dal governo - dove abbiamo ancora la possibilità di accesso, certi parametri sono validi per quanto riguarda la nutrizione e il tasso di mortalità. Tuttavia, c’è una grande sofferenza umana. Queste persone sono “recluse” in campi da più di 30 mesi, nel senso che, di fatto, non possono abbandonare i campi, non possono uscire per cercare cibo e acqua perché il rischio di essere uccisi o violentati è altissimo. Per le donne, poi, è molto pericoloso uscire dal campo per cercare della legna da ardere, mentre sono pochi gli uomini che escono, evitano persino di andare negli ospedali governativi, per paura di essere scambiati per sostenitori di un gruppo ribelle ed arrestati. E questi sono i fortunati, quelli che hanno ricevuto almeno un minimo di assistenza e che hanno trovato rifugio nei campi sfollati.
Molti altri, da quando sono drammaticamente aumentati gli attacchi nei confronti degli operatori umanitari, sono invece isolati e tagliati fuori da ogni tipo di assistenza. Gli sfollati del Darfur, tutti, stanno vivendo in una situazione insostenibile.
4. Il vostro lavoro è stato mai messo a rischio dalla violenza delle milizie armate o dei ribelli?
5. Cosa pensa della missione dell'Unione Africana in Darfur e del nuovo contingente di caschi blu dell'ONU che dovrebbe affiancarla?
Tuttavia, la responsabilità di un’organizzazione umanitaria come MSF è quella di stare al fianco delle popolazioni e sostenerle, testimoniando delle loro sofferenze. Nel momento in cui dovessimo essere coinvolti in negoziazioni di pace o in interventi militari, esuleremmo dalle nostre responsabilità. Se MSF dovesse richiedere un intervento armato, danneggeremmo e comprometteremmo la nostra neutralità. MSF deve restare neutrale per potere dialogare con le diverse parti in conflitto e avere accesso alle popolazioni in pericolo. Raccomandare un intervento armato in un contesto quale il Darfur significherebbe raccomandare che un altro attore entri nel conflitto. E questo è qualcosa che, in quanto organizzazione umanitaria, non possiamo fare. Non è il nostro ruolo quello di prendere posizione in un conflitto perché una simile azione comprometterebbe il concetto stesso di un’azione umanitaria indipendente fine a sé stessa e preoccupata unicamente di alleviare le conseguenze dei conflitti, e non è, non può essere un mezzo per un fine politico, per quanto giustificato questo possa essere. E perché, lo ripeto ancora una volta, la nostra neutralità è la sola che ci permette di avere accesso alle popolazioni che hanno bisogno del nostro aiuto.
6. Le ONG presenti in Darfur sono tante, almeno 80. Come e quali sono i rapporti tra MSF e le altre organizzazioni umanitarie? Agite da soli o operate nell'ambito di un progetto di aiuti più ampio?
In Darfur, come in tutti gli altri contesti di emergenza in cui opera, MSF agisce in maniera neutra e imparziale, valutando quindi in maniera indipendente le necessità della popolazione e agendo di conseguenza. La nostra indipendenza di azione è il risultato della nostra indipendenza economica, nel senso che oltre l’80% dei nostri fondi proviene da privati, e non da governi o istituzioni internazionali. Quindi, anche in Darfur non operiamo nell’ambito di un progetto di aiuti più ampio. Ovviamente, siamo in costante contatto con le altre ONG, con le Nazioni Unite, con le autorità nazionali e i diversi attori locali: questo ci permette di valutare i bisogni concreti della popolazione, e soprattutto di intervenire laddove nessun altro può farlo.
7. Ci sono mai stati tentativi di ingerenza da parte del Governo sudanese nel vostro operato?
MSF cerca sempre di collaborare con tutte le parti in conflitto e con le autorità nazionali e locali nei paesi in cui opera, in modo da potere ottenere accesso alle popolazioni in pericolo. In Darfur agiamo secondo lo stesso principio. Ovviamente, come ho detto prima, ci sono stati e ci sono tuttora difficoltà con tutte le parti in conflitto, legate alle garanzie di sicurezza, all’accesso alla popolazione e alla nostra azione di testimonianza delle sofferenze e delle violazioni dei diritti umani di cui sono vittime i civili.
8. In cosa consiste attualmente il vostro impegno in Darfur e come è possibile sostenere i vostri progetti in questa regione?
Medici Senza Frontiere (MSF) gestisce in Darfur numerosi progetti di assistenza: sostegno a ospedali e centri di salute, cliniche mobili, e offre servizi di assistenza chirurgica e post-operatoria, assistenza pediatrica, cure primarie, prenatali e nutrizionali. MSF cerca inoltre di intervenire rapidamente in tutta la regione in caso di epidemie, scontri o nuovi sfollamenti per fornire assistenza e cure d’emergenza.
Lo staff di MSF è composto da oltre 100 operatori internazionali e più di 2000 operatori sudanesi nelle tre province del Darfur (Darfur settentrionale, Darfur meridionale e Darfur occidentale). Con un budget totale, nel 2006, di oltre 20 milioni di euro, quella in Darfur è una delle operazioni più importanti di MSF a livello mondiale.
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