Oggi, nell'anniversario dell'inizio de conflitto in Darfur, il 26 febbraio del 2003, proponiamo un reportage (pubblicato su Repubblica) di Antonella Napoli, giornalista e presidente onoraria di Italians for Darfur, che alcuni mesi fa ha visitato alcuni campi che ospitano gli sfollati, che sono quasi due milioni.
Nonostante la caduta di Omar Hassan al Bashir, la situazione nella regione occidentale sudanese non è migliorata. Vi abbiamo raccontato nelle ultime settimane dei nuovi attacchi a El Geneina con decine di vittime.
Italians for Darfur continua a monitorare la situazione e a portare avanti i progetti avviati con le ONG locali.
Darfur, una crisi umanitaria senza fine
di Antonella Napoli
Un reticolo di quadrati irregolari senza soluzione di continuità. Un’immensa distesa nel deserto, che da Nyala si estende fino ai confini con il Sud Sudan, di capanne e baracche di fango e lamiere. Sorvolando in elicottero ‘al Salam’ già solo l’impatto visivo del campo ci racconta della vastità della crisi umanitaria in Darfur che nonostante resti tra le più gravi al mondo è ormai dimenticata da tutti.
Gli inizi della crisi. La crisi è iniziata con il deflagrare del conflitto fra i ribelli della regione occidentale del Sudan e l’esercito di Khartoum il 26 febbraio del 2013. Il governo sudanese non si è limitato agli attacchi militari verso il Sudan Liberation Army ma ha esteso l’azione repressiva nei confronti di tutta la popolazione del Darfur: oltre 400 mila morti e 2 milioni e 800 mila sfollati, di cui solo un milione ha fatto rientro nelle aree pacificate.A distanza di 16 anni, seppure la guerra ad alta intensità sia limitata ad alcune aree, la situazione per i profughi è più disperata che mai.L’Unamid, la missione delle Nazioni Unite, dispiegata nel 2008, ha abbandonato l’area concentrando le attività nel nord della regione nell’ottica di una smobilitazione progressiva concordata tra l’Onu, con un voto in Consiglio di sicurezza, e il Sudan.
Una crisi umanitaria incancrenita. Sotto il profilo umanitario la situazione appare incancrenita e con la fine della missione le condizioni di vita per la popolazione sfollata sono al limite della sopravvivenza. All'inizio, quando era stata dispiegata nel dicembre del 2007, la missione contava 26 mila caschi blu. Con la risoluzione 2063 del 31 luglio 2012, il Consiglio di sicurezza ha deciso di ridurre la forza delle componenti militari e di polizia portandole a poco più di 23 mila, 19.248 soldati e una componente civile di 4.495 peacekeepers (1.185 membri dello staff internazionale, 340 volontari delle Nazioni Unite e 2.970 membri del personale nazionale).
La situazione nella regione.I bisogni più acuti sono stati riscontrati in tutta la regione del Darfur, ma anche negli Stati del Nilo Azzurro, del Sud Kordofan, oltre che nel Sudan orientale e altre aree dove non si registrano fronti aperti di conflitto. Questi bisogni umanitari sono principalmente causati da scontri tra ribelli e milizie del Governo ma anche da tensioni intertribali, che a loro volta causano dislocamento e insicurezza alimentare.
La fine dei progetti delle ong. Anche le organizzazioni non governative coinvolte negli aiuti umanitari hanno lasciato Nyala decretando la fine di progetti fondamentali di assistenza ma anche di supporto sanitario e scolastico. Solo il World food program continua a garantire distribuzione di generi alimentari, anche se le forniture sono ridotte ormai al 10% di quelle iniziali. Senza contare la questione sicurezza: non c’e più nessun casco blu a proteggere l’incolumità di questa gente. Ma i rischi per chi esce dal campo restano gli stessi: 700 mila anime abbandonare a loro stesse.
Aumentate la mortalità infantile e la malnutrizione.
Negli ultimi tre anni, il ridimensionamento del contingente Onu e quello conseguente delle ong ha causato l’innalzamento della mortalità infantile e della malnutrizione, ha limitato le capacità di cure, solo grazie a medici volontari sudanesi è stato attivato un ambulatorio fuori dal campo. Praticamente azzerata l’istruzione, le donne del campo capaci di leggere e scrivere fanno da insegnanti ai bambini in ‘classi’ senza sedie e senza banchi. Gli alunni seguono la lezione seduti a terra.
Il racconto degli anziani del campo.
“Da tre anni cerchiamo di sopravvivere autonomamente - raccontano gli ‘anziani’ del consiglio del campo illustrando il quadro di quanto accaduto dal 2015 ad oggi - il peggioramento delle condizioni di sussistenza per le 1200 famiglie che vivono qui è stato progressivo. Da quando sono finite le scorte di medicinali e di fornitura scolastica nessuno ha provveduto a rifornirci delle stesse. Abbiamo avviato un’autogestione ma da soli non riusciamo a farcela. Abbiamo bisogno di aiuto. Manca tutto, il cibo è insufficiente, abbiano una sola pompa d’acqua per tutto il campo, non abbiamo scuole e per curarci c’è solo un ambulatorio precario con pochi mezzi e medicinali. Per ciò che riguarda la sicurezza, seppure gli scontri siano sempre più limitati nell’area del Jebel Marra ancora oggi se usciamo dal campo rischiamo rappresaglie e attacchi da parte delle milizie assoldate da Khartoum”.
Il conflitto non è finito.
Nonostante sia rimasto solo un fronte aperto, nelle aree montuose del Jebel Marra dove sono arroccati i ribelli del Slm, movimento armato guidato da Wahid Al Nour, il conflitto in Darfur non è finito come cerca di propagandare il governo del presidente Omar Hassan al Bashir, che negli ultimi mesi deve far fronte anche alle rivolte per il rincaro del costo della vita in tutto il Paese. Nell’ultimo anno e mezzo Khartoum ha deciso di impiegare nel contrasto alla ribellione in Darfur le Popular Defence Force (PDF) ritenute l’ala militare del National Congress Party (NCP) che al pari delle milizie dei famigerati janjaweed, accusati dalla Corte penale internazionale insieme allo stesso presidente sudanese di crimini di guerra e contro l'umanità, continuano a perpetrare violenze anche sui civili.
Resta la carestia a causa dei cambiamenti climatici l‘emergenza più grave.
L'esigenza degli aiuti umanitari è amplificata anche dalla povertà, dal sottosviluppo e dai fattori climatici che caratterizzano l'intero Stato. Ma nessuno al momento può assicurare ai profughi di ‘al Salam’ né l'assistenza salvavita immediata né la protezione cruciale per la loro sopravvivenza. E non solo per i residenti dei campi.
Nel 2018, secondo OCHA, 4,8 milioni di persone hanno richiesto assistenza umanitaria in Sudan, tra cui 3,1 milioni nel Darfur. In tanti, nelle aree inaccessibili ai cooperanti non ricevono alcun aiuto.