sabato, ottobre 31, 2009
mercoledì, ottobre 28, 2009
Si riaccende la lotta per l'accesso all'acqua in Darfur
Fonti ufficiali dell'UNAMID, la missione delle Nazioni Unite e dell'Unione Africana in Darfur, riconducono gli ultimi scontri tribali nel Nord Darfur alla lotta per l'accesso alle fonti d'acqua .
Almeno 10 persone della tribù Birgid sono state uccise nella giornata di eri con alcuni uomini della comunità Zaghawa nei pressi di Shangil Tobaya, a circa 70 Km da El Fasher.
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martedì, ottobre 27, 2009
Palazzo Madama ospita il Darfur, per non dimenticare
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venerdì, ottobre 23, 2009
Missione in Darfur 2009
che si vuole mascherare da purgatorio
Italians for Darfur che nel 2006 ha lanciato una campagna e una raccolta di firme affinché si accendessero i riflettori sugli orrori di questa guerra coinvolgendo altre associazioni come Articolo 21, Amnesty International, Giovani ebrei d’Italia e molti altri, ha fornito un importante contributo a una causa che col tempo ha raccolto adesioni sia del mondo dello spettacolo e della politica sia della società civile.
Questa volta, però, andiamo oltre. Di ritorno da una missione in Sudan (la seconda in due anni) organizzata e promossa insieme all’Intergruppo parlamentare Italia Darfur, la consapevolezza - e passo a raccontarvi impressioni, emozioni e frustrazioni in prima persona - che tutto quello che si è riusciti a fare finora non sia sufficiente, che bisogna fare di più, è più forte che mai... e vi spiego il perché.
Rispetto al 2007, quando insieme a una delegazione della Commissione Esteri della Camera avevo visitato ‘Al Salam Camp’, nel nord Darfur, non ho trovato volti scavati dalla fame, fantasmi senza futuro che non avevano neanche la forza di chiedere aiuto. Stavolta non sono state le migliaia di persone che pelle e ossa vagavano per il campo con gli occhi sbarrati dal panico o le agghiaccianti testimonianze delle ragazze che raccontavano il terrore degli stupri subiti a segnarmi profondamente. Questa volta è bastato il ‘contesto’... Il degrado umano dilagante, l'assenza di ogni barlume di speranza negli sguardi che ti scrutano nel profondo, la delusione trasformata in rassegnazione di non poter cambiare uno ‘status’ incancrenito, che ti porta a perdere dignità e futuro.
E’ vero, la situazione alimentare non è al tracollo. Nonostante l'espulsione di 13 organizzazioni internazionali che garantivano la distribuzione del cibo e l’assistenza umanitaria a oltre un milione di profughi il sistema del Programma alimentare mondiale ha retto. Ma la rabbia repressa e il dolore immane per un’esistenza ai limiti della sopravvivenza e del decoro, hanno ‘inciso’ un marchio indelebile sulla pelle di questa gente. Avrei preferito trovarli con qualche chilo di meno addosso piuttosto che deturpati da una ferita aperta che neanche il tempo riuscirà a guarire.
Quando bambini di quattro – cinque anni si azzuffano e calpestano i fratellini di pochi mesi pur di strappare dalle mani di chi li porge quaderni e matite che probabilmente non useranno mai, comprendi che per loro il presente e il futuro sono segnati da abbandono, disinteresse e violenza.
Tutto questo e molto di più, o di peggio, è ancor oggi il Darfur. Eppure ci dicono che la fase critica è passata, che ai trecentomila morti causati dal conflitto che ha spinto alla fuga due milioni e mezzo di persone non si aggiungeranno altre vittime perché la guerra è finita!
E allora se la guerra è davvero ‘finita’ perché negli ultimi dieci mesi la popolazione di Zam Zam Camp, il centro di accoglienza visitato pochi giorni fa con il presidente del’Interparlamentare Italia – Darfur, Gianni Vernetti, è praticamente raddoppiato passando dai circa 60mila del 2008 agli oltre 100mila di quest’anno? E non è l’unico punto di approdo di questa marea di disperati che non si arresta in tutta la regione.
A spingerli lontani dai loro villaggi non sarà più la paura dei janjaweed, i cosiddetti ‘diavoli a cavallo’ – che secondo la Corte penale internazionale, hanno compiuto massacri indicibili sotto la guida del regime di Khartoum - ma la mancanza di sicurezza, che espone sia la popolazione locale sia gli operatori umanitari e gli stessi peacekeeper della missione Onu – Ua che dovrebbe garantire ad essi protezione, lo è di certo!
La crisi umanitaria, già gravissima, rischia di diventare incontrollabile a causa delle continue incursioni di gruppi criminali armati che sequestrano indifferentemente civili, militari e cooperanti persino nelle loro abitazioni e/o sedi di lavoro.
Nonostante la complessità della situazione che si è delineata nel corso delle ultime visite degli osservatori delle Nazioni Unite e le preoccupazioni esternate dagli operatori delle Ong ‘superstiti’, il governo sudanese - interpellato nel corso della visita - non è sembrato affatto preoccupato. Anzi. Il Governatore del Darfur ha annunciato che è in atto un flusso di rientro dei profughi nelle proprie abitazioni e che i villaggi abbandonati in passato per timori di attacchi, si stiano ripopolando.
Peccato che i capi tribali di Zam Zam, ai quali abbiamo chiesto informazioni in merito, abbiano smentito quanto sostenuto dagli esponenti governativi incontrati poco prima. Non hanno esitato un attimo nel confermare che nessuno potrà mai tornare nella propria casa se prima non saranno garantite le minime condizioni di sicurezza per rendere i rientri possibili. Basta parlare con i cooperanti presenti nella provincia di Al Fasher e i rifugiati per comprendere che i timori di nuovi attacchi e violenze siano più forti che mai. Nonostante il contingente di Caschi Blu schierato (ancora non completamente, siamo ancora al 75% dei 26 mila uomini previsti) per proteggere la popolazione darfuriana e chi in questa arida regione del Sudan è arrivato per portare aiuto.
Girando tra le capanne e le tende di Zam Zam è facile rendersi conto di quanto l’emergenza sia ancora pressante.
Dopo gli ultimi arrivi dell’estate scorsa non c'è più posto. Non viene più accettato nessuno.
Il messaggio degli sfollati e di chi li assiste è forte e chiaro. ''Abbiamo bisogno di voi più di prima”.
Il dramma che si vive qui è lo stesso di tanti altri centri di accoglienza: poca acqua, cibo appena sufficiente, rifugi di fortuna e tutt’intorno il nulla.
L’appello di aiuto viene pronunciato da tutti gli interlocutori che si incontrano. Un'invocazione che si legge sul volto delle donne e degli uomini assiepati nell’accampamento che dovrebbe garantirgli la sicurezza. E invece non è così.
Una situazione disperata, che coinvolge sempre più persone inermi, ataviche, prive di ogni interesse per la vita, che ormai chiedono elemosina per inerzia (aspetto paradossale di questa tragedia nella tragedia) anche se nel campo non dovrebbe mancargli nulla.
Sono soprattutto i bambini a tendere le mani, a tirarti per la giacca e a chiedere… ‘money?’, l’unica parola in inglese conosciuta.
Sono proprio loro le vittime maggiori di questa crisi umanitaria, crisi che ormai sembra cronicizzata, congelata nella sua mancata soluzione. Tutto ciò lascia davvero poche possibilità a questi piccoli di vivere, un giorno, un’esistenza migliore dei loro padri e delle loro madri.
Antonella Napoli
Presidente di Italians for Darfur
mercoledì, ottobre 21, 2009
SPLM lancia ultimatum a Khartoum
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Comunicato
(ANSA) - ROMA, 20 OTT - L'associazione Italians for Darfur auspica che, all'indomani della nuova strategia di ''pressioni e incentivi'' annunciata ieri dal presidente Usa Barack Obama nei confronti del Sudan, ''vengano attuate innanzitutto le maggiori pressioni, e non i promessi incentivi, in caso di una mancata risposta alle richieste rivolte al governo sudanese e, tra queste, oltre alla cessazione del 'genocidio e degli abusi', l'organizzazione di elezioni credibili nell'aprile prossimo (gia' rinviate due volte) e la collaborazione nel contrasto del terrorismo internazionale''. Lo si legge in una nota dell'associazione che da anni si occupa della campagna in favore del Darfur. La nuova strategia della Casa Bianca, avverte pero' l'associazione, ''rappresenta ancora un'incognita, soprattutto perche' l'uso stesso della parola 'genocidio' potrebbe intralciare con la politica dialogante intrapresa da Washington''. ''Di certo auspichiamo che ora si passi dalle azioni ai fatti e che innanzitutto gli Usa si impegnino a mantenere il dossier Darfur in cima all'agenda politica e umanitaria internazionale: solo non spegnendo i riflettori su questo conflitto - conclude la nota - sara' possibile avviare un'azione piu' determinata di quanto non sia stato finora da parte della comunita' internazionale nei confronti del regime guidato dal presidente Al Bashir, accusato di crimini di guerra e contro l'umanita'''.(ANSA).
COM-KVI
sabato, ottobre 17, 2009
Boom dell'edilizia e degli investimenti a Khartoum, ma nel resto del Paese si sopravvive solo grazie agli aiuti internazionali.
Negli ultimi anni, la capitale sudanese è, infatti, in pieno boom demografico ed edilizio, con agenzie ONU, uffici e sedi di aziende e multinazionali europee e dell'est asiatico che investono milioni di dollari nelle terre ricche di petrolio del Sudan.
Nel centro di Khartoum, un terreno edificabile tra i 400 e i 1000 mq vale 1-2 milioni di dollari. Un bilocale è affittato a non meno di 800-1000 dollari al mese.
Grandi complessi abitativi stanno sorgendo tutto intorno al centro della città e le banche offrono, per la prima volta nella storia del Paese, mutui fino a 15 anni.
Anche confrontando il prezzo degli appartamenti e dei terreni con altre città africane e straniere, come fa il Sudan Tribune, emerge un dato chiarissimo: il loro costo è altissimo.
Il valore di un appartamento a Khartoum è pari a quello di due o tre appartamenti a Il Cairo o a un trilocale a Chicago.
Approfondisci: Un morto e sei feriti per una scodella di sorgo in Darfur
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giovedì, ottobre 08, 2009
Rapporto di Amnesty International
Ma possono bastare 800 agenti, dispiegati in tutta l’area che ospita le istallazioni umanitarie, a proteggere 260mila persone, la maggior parte dei quali sono donne e bambini?“Gli agenti del Dis - si legge ancora nel rapporto di Amnesty - sono diventati bersagli della violenza locale ma si sono resi anche responsabili di violazioni dei diritti umani. Molte donne rifugiate affermano che questi agenti pensano solo a proteggere se stessi e che hanno fatto ben poco per garantire la sicurezza dei rifugiati”. Le fonti dell’organizzazione internazionale che ha stilato questo desolante resoconto hanno segnalato, inoltre, violenze ancor più, se possibile, vili e subdole. Sono state accertate, infatti, molestie da parte di insegnanti che abusano delle loro alunne promettendo voti alti in cambio. “Alcune bambine hanno dovuto lasciare le scuole – afferma con rammarico Tawanda Hondora - per questa ragione. Il propagarsi della violenza sessuale è, putroppo, dovuto alla cultura dell'impunità, profondamente radicata nel Ciad orientale. L'uso del metodo tradizionale del «negoziato» per risolvere le dispute e i conflitti mostra tutta la propria pericolosità quando si tratta di casi di stupro”."No place for us here: violence against refugee woman in eastern Chad", traccia quindi un quadro ben più drammatico di quello che vogliono ‘mostrare’ le Nazioni Unite e le organizzazioni coinvolte in progetti di cooperazione in Ciad.Il portavoce della missione Onu – Minurcat, Michel Bonnardeaux, ha ammesso con riluttanza la perpetrazione di atti di violenza contro le donne e ha difeso la polizia sostenendo che la situazione della sicurezza stia migliorando.Ovviamente dal Palazzo di Vetro contestano questi dati, affermando che la Dis ha ricevuto uno speciale addestramento per i casi di stupro, e che il documento "è un po' affrettato e basato su un campione molto piccolo e su una breve visita".Ma abbiamo già avuto modo, purtroppo, di verificare e denunciare che tra i caschi blu non mancano individui privi di scrupoli che approfittano del loro ruolo per compiere impunemente atti orribili. Congo, Ruanda e Uganda insegnano.
Presidente di Italians for Darfur
mercoledì, ottobre 07, 2009
La guerra in Darfur non è finita
L'organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, contraddicendo le recenti affermazioni dei responsabili della missione di pace nella regione dell'ovest del Sudan, teatro di una guerra civile, denuncia che ''nel Darfur gli scontri tra le Forze armate sudanesi guidate dal partito al potere a Khartoum e i ribelli e i bombardamenti alla cieca dimostrano che la guerra non si è conclusa".
Human Rights Watch ha anche esortato le autorità sudanesi ad impegnarsi nelle riforme per garantire il rispetto dei diritti fondamentali in vista delle elezioni nell'aprile 2010 e ha chiesto loro di mettere fine "agli arresti arbitrari" degli attivisti dell'opposizione. "Il Sudan è a un crocevia", scrive HRW, "può decidere di rispettare al meglio i suoi impegni o permettere che la situazioni si deteriori con le pratiche repressive", sottolinea Georgette Gagnon, direttore dell'organizzazione per l'Africa,.
In questi giorni, intanto, si è aperta a Mosca una riunione sul Darfur cui partecipano i rappresentanti di Sudan, Russia, Stati uniti, Cina, Francia, Regno unito e Unione europea ai quali è stata inviata una lettera aperta, firmata da varie organizzazioni non governative tra cui la nostra associazione, attraverso la quale si chiede un maggiore impegno nei confronti delle emergenze in Darfur e Sud Sudan, dove la tensione è sempre più alta. Il comandante uscente delle operazioni militari della FOrza Onu-Ua (Unamid) in Darfur, Martin Luther Agwai, aveva affermato a fine agosto che la fase di guerra era terminata: secondo le ultime stime Onu in Darfur sono morte 300mila persone e 2,7 milioni sono state costrette ad abbandonare le loro case.
(fonte afp)
domenica, ottobre 04, 2009
SLM: attacco dei governativi in Nord Darfur
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Elezioni 2010: ricandidato Omar Hassan al Bashir
Etichette: Darfur, elezioni, fai notizia, fainotizia, Sud Sudan