Il blog di Italians for Darfur

domenica, marzo 30, 2008

ONG e attivisti arabi chiedono alla Lega Araba di intervenire in Darfur

"Anche se siamo musulmani, il mondo islamico non ha fatto nulla per proteggerci" *

A pronunciare queste parole è Yassin, un giovane architetto rifugiatosi in Israele da circa tre anni.
Come lui, migliaia di darfuriani fuggono ogni anno dal Darfur, assediato dalla guerra e dalla siccità, ma, pur essendo musulmani, non trovano ospitalità nei Paesi Arabi, che li osteggiano come "collaboratori" degli "Stati nemici". Responsabile, secondo Yassin, è la Lega Araba.
Venerdì scorso anche molte altre organizzazioni e attivisti arabi per i diritti umani hanno sottoscritto una petizione alla Lega Araba perchè assuma un ruolo più attivo nel processo di pace in Darfur. Il Sudan è infatti membro della Lega, e il Presidente Bashir sta partecipando proprio in questi giorni a un summit a Damasco, in Siria, ma il conflitto in Darfur non ha mai destato interesse nè politico nè mediatico nei Paesi Arabi.
La lettera, firmata dalla Islamic Human Rights Commission inglese, dai Friends of Al-Aqsa, Crescent International e da altre 20 organizzazioni , chiede in particolare alla Lega di esercitare la sua notevole influenza sugli stati membri per porre fine alle ostilità in Sudan, di contribuire al cointingente delle Nazioni Unite in Darfur e di chiedere il cessate il fuoco immediato.

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sabato, marzo 22, 2008

Prove di dialogo tra el Nour e le Nazioni Unite. Ma il fronte ribelle è sempre più diviso.

Il leader dell'SLM /AW, una delle più importanti fazioni ribelli in Darfur, Abd el Wahid el Nour, ha partecipato per la prima volta a un incontro con i rappresentanti dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a Ginevra. Condizione per la ripresa del dialogo con il governo, ha ribadito ancora una volta el Nour al Sudan Tribune, è una maggiore sicurezza sul campo: indiscutibile la necessità di un cessate il fuoco e del dispiegamento del contingente internazionale di pace.

Da quando ha avuto inizio il conflitto in Darfur, la compattezza del fronte ribelle è venuta meno, dando luogo a molte defezioni dai due gruppi prinicipali, il Sudan Liberation Movement (SLM) e il Justice and Equality Movement (JEM).
Lo stesso rapporto tra i due movimenti è piuttosto controverso: di pochi giorni fa le dichiarazioni di Khalil Ibrahim, che ha definito il JEM l'unico movimento ribelle del Darfur e si è proposto come unico interlocutore possibile per la pace tra i ribelli e il governo. Un colpo di mano che il carismatico leader dei Fur vorrebbe portare a riprova della condotta ambigua del JEM, che nasconderebbe, dietro la campagna militare per il Darfur, diversi interessi politici.
Il movimento di giustizia ed eguaglianza, ben armato ed equipaggiato, avrebbe strette relazioni con Hassan Al Turabi, islamista dapprima membro influente del National Congress Party, poi imprigionato ed allontanato perchè sospettato di preparare un colpo di Stato. Al-Turabi è noto per le sue relazioni con il movimento terrorista Al Qaeda, molto forte in Sudan, tanto da essere considerato, nei piani più recenti di Bin Laden, un secondo Afghanistan.

Nel Sud Darfur, intanto, alcuni capi tribù denunciano attacchi da parte della fazione di Minni Minnawi, unico signatario del DPA del Maggio 2006. Gli scontri sarebbero nati da divergenze con un altra piccola fazione del SLM, denominato "Free Will". Nel resto del Paese, invece, proseguono le incursioni dell' esercito sudanese e delle milizie arabe al soldo del governo, che l'ultimo rapporto delle NAzioni Unite accusa di "violazioni del diritto umanitario internazionale". Accuse, neanche a dirlo, respinte da Karthoum.

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venerdì, marzo 21, 2008

"Distanze"è il primo brano per il Darfur all'Arè rock Festival

Si chiama "Distanze" il primo dei due brani iscritti alla sezione speciale "Una canzone per il Darfur " dell' "Arè rock Festival", concorso per band emergenti organizzato dalla'associazione Europa Giovane a Barletta(BA), in collaborazione con Italians for Darfur.
Ad eseguirlo sono stati i Garnet, band salentina, che tramite un mezzo universale e a loro congeniale come la musica, hanno voluto dare a voce alla gente del Darfur, che da oltre quattro anni è costretta a subire ogni tipo di atrocità da parte dei Janjaweed e del governo di Karthoum.
Durante la serata è stata presentata la mostra di vignette denominata "Una vignetta per il Darfur, diamo colore all'informazione"con le tavole disegnate da numerosi vignettisti italiani tra cui Staino,Mauro Biani,Piero Tonin,Vincino e tanti altri.
Inoltre per le prossime serate sarà promossa una raccolta fondi per il campo profughi alla confluenza di Ciad, Sudan e Repubblica Centroafricana dove sono ammassate migliaia di persone scappate dalle proprie case a causa dei recenti attacchi al confine tra Sudan e Ciad e che non ricevono alcuna assistenza da parte delle ONG e dell'ONU.

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mercoledì, marzo 19, 2008

Rapporto "Crisi dimenticate": grande successo della campagna di Italians for Darfur

Nonostante il Darfur resti una delle più gravi crisi dimenticate dai media, come dimostrano i risultati del nuovo rapporto dell'Osservatorio di Pavia sulle crisi dimenticate, emerge dalla lettura del dossier la prova dell'efficacia della campagna che Italians for Darfur porta avanti contro l'indifferenza dei media mainstream, unica in Italia per il Darfur.
Da quando è attiva la campagna mediatica di Italians for Darfur, grazie ai due passati Global Day for Darfur, i primi in Italia, e al concerto all' Auditorium di Roma, si è registrato un forte aumento delle notizie dedicate alla martoriata regione del Sudan, sebbene il loro numero sia ancora del tutto insufficiente.
Scrive l'Osservatorio di Pavia:
"Nel precedente rapporto sulle crisi dimenticate la situazione del Darfur riceveva un’attenzione scarna (12 notizie), mentre nel 2007 i servizi che parlano di Darfur sono diventati 54. [...] molta della visibilità è stata garantita dalle iniziative di sensibilizzazione che si sono susseguite durante tutto l’anno, quali, per citarne alcune, il Global Day for Darfur (per la prima volta anche in Italia) alla fine di aprile, la giornata mondiale per il Darfur a settembre, il riconoscimento assegnato a George Clooney in occasione del Summit Mondiale dei Premi Nobel per la Pace, l’uscita del doppio CD contenente il rifacimento delle canzoni di John Lennon, il cui ricavato è stato destinato alle popolazioni vittime del conflitto.
Lo scopo di alcune di queste iniziative, al di là della raccolta di fondi, è stato proprio quello di far uscire dalla spirale mediatica del silenzio un paese che rimaneva dimenticato, nonostante la gravità della situazione; da questo punto di vista, non sono mancati servizi giornalistici che hanno dedicato una riflessione alla dimenticanza dei media."

Anche quest'anno l'azione di Italians for Darfur continua il 9 aprile dalle ore 17.00 all'Università RomaTRE, Scienze Politiche con un Workshop sul Darfur, in preparazione al GLOBAL DAY FOR DARFUR, il 12 Aprile ore 10.00 a Piazza Venezia, Roma.

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MSF pubblica il rapporto annuale sulle crisi umanitarie dimenticate dai media nel 2007

Roma, 12 marzo 2008 – Medici Senza Frontiere (MSF) pubblica oggi il nuovo rapporto sulle crisi umanitarie dimenticate dai media nel 2007. Il rapporto contiene la “top ten” delle crisi umanitarie più ignorate nel mondo e un'analisi realizzata in collaborazione con l'Osservatorio di Pavia sullo spazio dedicato alle crisi umanitarie dai principali telegiornali della televisione generalista in Italia. Le dieci crisi umanitarie identificate da MSF come le più ignorate sono: Somalia, Zimbabwe, tubercolosi, malnutrizione infantile, Sri Lanka, Repubblica Democratica del Congo, Colombia, Myanmar, Repubblica Centrafricana e Cecenia.
L'analisi delle principali edizioni (diurna e serale) dei telegiornali RAI e Mediaset mostra, innanzitutto, un calo delle notizie sulle crisi umanitarie nel corso del 2007 , che passano dal 10% del totale delle notizie (dato 2006) all'8% (6426 notizie su un totale di 83200). Di queste, solo 5 sono quelle dedicate alla Repubblica Democratica del Congo , dove il conflitto continua a infuriare nell'est del paese, e nessuna alla Repubblica Centrafricana , dove la popolazione è intrappolata nella morsa degli scontri tra gruppi armati, e dove lo scorso giugno un'operatrice umanitaria di MSF è stata uccisa in un attacco.
Una tendenza già riscontrata nei precedenti rapporti è quella, da parte dei nostri media, di parlare di contesti di crisi solo laddove riconducibili a eventi e / o personaggi italiani o comunque occidentali . Emblematici in questo senso sono la crisi in Somalia , cui si fa riferimento soprattutto in occasione di vertici politici cui partecipa il governo italiano o dell'omicidio di Ilaria Alpi; la guerra in Sri Lanka di cui si parla esclusivamente in occasione del ferimento dell'ambasciatore italiano; la Colombia, dove il conflitto tra governo, gruppi guerriglieri come FARC e ELN e gruppi paramilitari ha provocato la fuga di oltre 3 milioni di persone , portando il Paese al terzo posto tra i paesi con il più alto numero di sfollati dopo Repubblica Democratica del Congo e Sudan, entra nell'agenda dei notiziari soprattutto per il sequestro di Ingrid Betancourt. Alla tubercolosi , che ogni anno provoca due milioni di vittime, e a cui nel 2006 erano state dedicate solo tre notizie, nel 2007 i TG hanno dedicato 26 notizie, di cui tuttavia ben 15 sulla vicenda di un americano affetto da una forma di tubercolosi resistente ai farmaci che viaggiava in aereo tra Stati Uniti ed Europa.
Il Darfur , dove il conflitto tra il governo del Sudan e i diversi gruppi di opposizione armata ha provocato lo sfollamento di oltre due milioni di persone dal 2004, ha visto una copertura mediatica maggiore rispetto al 2006. Le notizie, tuttavia, erano soprattutto relative a iniziative di raccolta fondi e di brevi visite di personaggi celebri del mondo dello spettacolo .
Alla malnutrizione, che ogni anno uccide 5 milioni di bambini sotto i 5 anni , sono state dedicate solo 18 notizie, la maggior parte delle quali in relazione a generici appelli del Papa conto la fame nel mondo e alla campagna “Il Cibo non Basta” di MSF per promuovere l'utilizzo degli alimenti terapeutici pronti all'uso per combattere la malnutrizione infantile. All'AIDS, che uccide due milioni di persone ogni anno, 54 notizie. Alla malaria, che ne causa una ogni 3 secondi , solamente 3.

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martedì, marzo 18, 2008

Tibet, Birmania e Darfur: l'ombra lunga della Cina.

Mentre in Tibet la Cina reprime le proteste dei monaci contro le violazioni dei diritti umani, a meno di cinque mesi dall'inizio dei giochi Olimpici di Pechino, la Human Rights First, una delle principali ONG internazionali, rilascia un rapporto dettagliato sulla vendita di armi al Sudan: 'Investing in Tragedy: China's Money, Arms and Politics in Sudan'.
La Cina guida la classifica dei fornitori, con il 90% del totale, soprattutto armi leggere, nonostante l'embargo imposto dall'ONU.
Dal 2003, anno di inizio del conflitto in Darfur, al 2006, il colosso asiatico ha venduto al Sudan armi leggere per un valore di 55 milioni, ottenendo in cambio petrolio, di cui il Paese è ricco.
Dal 2000 ad oggi, infatti, l'estrazione del greggio è aumentata del 291% , pari a un valore per il produttore di 4,5 miliardi di euro, contro i 62 milioni del 1999. A una maggiore produzione di petrolio corrisponde un incredibile incremento nell'acquisto di armamenti, ben 680 volte in più.
Dopo un'inchiesta sui fondi pensione dei parlamentari europei, che aveva rivelato come si investisse anche in azioni della PetroChina/CNPC, il colosso petrolifero cinese, il Parlamento Europeo ha deciso pochi giorni fa di ritirare le sue quote azionarie.
E' presente in Darfur anche la francese TOTAL (approfondisci).

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venerdì, marzo 14, 2008

Darfur, firmato accordo Ciad-Sudan

Patto non aggressione sotto egida Onu
Un accordo di non aggressione per porre fine agli attacchi di gruppi ribelli sui reciproci territori, tra cui la calda regione sudanese del Darfur. E' l'intesa siglata dai presidenti del Ciad Deby e del Sudan al-Bashir a Dakar, a margine del vertice dell'Oci, l'Organizzazione della conferenza islamica, alla presenza del segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. L'accordo ristabilisce patti bilaterali rimasti lettera morta.
Da circa cinque anni tra il Sudan e il Ciad è aperta una crisi dovuta a un conflitto strisciante che ha provocato numerosi incidenti nella zona di confine tra i due Paesi. Nell'accordo, Idriss Deby e Omar Hassan al-Bashir si impegnano "solennemente" a proibire "le attività di tutti i gruppi armati" e a "impedire che i rispettivi territori vengano utilizzati per la destabilizzazione" dei due Paesi. I due presidenti promettono poi di rispettare gli accordi siglati in precedenza per "mettere definitivamente fine alle divergenze tra i due Paesi e ristabilire la pace e la sicurezza tra i due Paesi". Il testo dell'accordo è stato letto pubblicamente dal ministro senegalese Shaikh Tidiane Gadio
[Agenzie]

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mercoledì, marzo 12, 2008

JEM: Karthoum tinge i carri armati del colore dell'UNAMID

Giunge alla redazione del blog della campagna on-line di Italians for Darfur, il nuovo comunicato del Justice Equality Movement (JEM), che accusa l'esercito sudanese di aver colorato di bianco almeno nove carri armati, in palese violazione delle normative internazionali umanitarie. Sarebbero stati avvistati vicino a El-Fasher, Darfur. Il Sudan non sarebbe nuovo ad atti del genere: non molti mesi fa Amnesty International denunciò il bombardamento di alcune aree del Darfur ad opera di aerei dell'aviazione sudanese che portavano le insegne delle Nazioni Unite.
L'operazione - continua il comunicato - sarebbe condotta in parallelo a un ingente movimento di truppe dallo Stato del Nord (Shimalya) e da Geneina per attaccare Jebel Moon nel Darfur occidentale.

E' di pochi giorni fa, invece, la notizia dell'accordo di cooperazione militare siglato dai ministri della Difesa sudanese e iraniano, l'8 marzo scorso a Karthoum.

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lunedì, marzo 10, 2008

Allarme Pam

Atti di banditismo mettono a rischio
gli aiuti alimentari per il Darfur


Un nuovo grido si allarme per il Darfur arriva dal Pam. I rappresentanti del Programma alimentare delle Nazioni unite sono molto preoccupati per i continui atti di banditismo in Darfur che prendono di mira i convogli di aiuti destinati alle popolazioni darfuriane. Al momento il Pam sta trasportando nel Darfur la metà del cibo che di norma trasporta in questo periodo dell'anno e i tempi di carico e scarico sono rallentati perché i camionisti sono riluttanti ad accettare il rischio di guidare su strade così pericolose. Oltre alle incursioni di queste bande criminli che stanno rallentando le vitali consegne di cibo alla popolazione del Darfur, una mancanza di fondi potrebbe lasciare a terra, alla fine del mese, i velivoli dell'Humanitarian Air Service. Secondo quanto denunciato dal Pam in una nota, 37 tir carichi di provviste e 23 autisti risultano dispersi.
Il rappresentante del Pam in Sudan, Kenro Oshidari, afferma che si tratta di una situazione senza precedenti e che la crescente instabilità nell'ovest del Darfur e il fenomento di banditismo sulle strade della regione hanno reso la distribuzione aerea sempre più indispensabile
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Secondo Il Velino, dall'inizio dell'anno ad oggi, cinque veicoli Pam per passeggeri e 45 camion noleggiati dall'agenzia sono stati sequestrati. In totale, sono 37 i camion ancora dispersi, insieme a 23 autisti. Il Pam ha attualmente circa 60 mila tonnellate di cibo nel Darfur, equivalenti a due mesi di razioni per due milioni di persone che al momento contano sull'assistenza alimentare del Pam. Con l'avvicinarsi della stagione delle piogge, da maggio ad ottobre, il numero delle persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria e le loro necessita' alimentari aumenteranno fino al 50 per cento. Nel caso in cui non riuscisse a mantenere il flusso delle consegne, il Pam sara' costretto a ridurre le razioni in alcune zone. L'ultimo incidente, risalente al 4 marzo, ha registrato il furto di sette camion e il rapimento degli autisti che viaggiavano diretti a El Fasher nel Nord Darfur. I banditi hanno scaricato il cibo a terra e si sono allontanati a bordo dei camion. I continui atti di banditismo in Darfur che prendono di mira i convogli di aiuti preoccupano il Programma alimentare delle Nazioni Unite (Pam). Al momento il Pam sta trasportando nel Darfur circa la meta' del cibo che di norma trasporta in questo periodo dell'anno e i tempi di carico e scarico sono rallentati perche' i camionisti sono riluttanti ad accettare il rischio di guidare su strade cosi' pericolose. Dall'inizio dell'anno ad oggi, cinque veicoli Pam per passeggeri e 45 camion noleggiati dall'agenzia sono stati sequestrati. In totale, sono 37 i camion ancora dispersi, insieme a 23 autisti. Il Pam ha attualmente circa 60 mila tonnellate di cibo nel Darfur, equivalenti a due mesi di razioni per due milioni di persone che al momento contano sull'assistenza alimentare del Pam. Con l'avvicinarsi della stagione delle piogge, da maggio ad ottobre, il numero delle persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria e le loro necessita' alimentari aumenteranno fino al 50 per cento. Nel caso in cui non riuscisse a mantenere il flusso delle consegne, il Pam sara' costretto a ridurre le razioni in alcune zone. L'ultimo incidente, risalente al 4 marzo, ha registrato il furto di sette camion e il rapimento degli autisti che viaggiavano diretti a El Fasher nel Nord Darfur. I banditi hanno scaricato il cibo a terra e si sono allontanati a bordo dei camion.Le stesse preoccupazioni l'Agenzia Onu le rilancia per la mancanza di fondi di cui e' vittima l'Humanitarian Air Service (Wfp-Has). All'appello manca la copertura per il suo budget annuale di 77 milioni di dollari. Senza contribuzioni immediate in contanti, il Wfp-Has non potra' fare fronte ai suoi costi mensili di 6,2 milioni di dollari e sara' costretta a interrompere i voli alla fine del mese finche' non si troveranno nuovi fondi. Una media di ottomila operatori umanitari utilizza ogni mese il servizio Wfp-Has nel Darfur; tremila di loro usando elicotteri verso aree remote irraggiungibili via terra. La maggior parte dei passeggeri del servizio Wfp-Has consiste in personale delle organizzazioni non governative che svolge un lavoro cruciale nella cura della salute, negli interventi di natura igienica o di soccorso alimentare. Nel 2007, il servizio aereo gestito dal Pam ha trasportato quasi 160 mila passeggeri provenienti da 170 agenzie e organizzazioni non-governative in Sudan. Il servizio ha inoltre condotto 267 evacuazioni e trasferimenti d'emergenza per motivi medici o di sicurezza. La flotta conta al momento 24 veivoli, inclusi sei elicotteri nel Darfur. Malgrado la mancanza di donazioni per il 2008, Wfp-Has ha potuto continuare la sua attivita' fino ad ora grazie a 11 milioni di dollari di avanzo dal budget del 2007. I fondi per l'operazione aerea sono separati dal budget di soccorso alimentare del Pam in Sudan, che ammonta a 697 milioni di dollari per quest'anno e che prevede di fornire assistenza alimentare fino a 5,6 milioni di persone in tutto il Sudan.

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sabato, marzo 08, 2008

Souad Sbai: i crimini nel Darfur sono sulla coscienza di tutti

"Il silenzio assordante sulla situazione umanitaria e politica in Darfur sta lasciando morire nella totale indifferenza un'intera popolazione. Bambini e donne sono le vittime che non hanno nessun diritto di difesa e tutti crimini cui sono sottoposti, abusi, mutilazioni e mortificazioni delle anime e dei corpi nella totale assenza del rispetto della vita e della dignità, devono essere sulla coscienza di tutti e di ognuno di noi. Come donna, come rappresentante delle donne marocchine e soprattutto come direttrice di un giornale 'Al Maghrebiya' attraverso il quale ho sempre cercato di essere una voce, seppur flebile verso la sensibilizzazione per il Darfur, lancio un appello pubblico a tutte le ONG internazionali, agli Stati ed ai politici di ogni schieramento ad una mobilitazione generale ed ad un forte segnale di civiltà ed umanità. Una sorta di Telethon internazionale pro -Darfur non solo per gli aiuti economici ma per avviare con forza ed a gran voce, una richiesta agli Stati che hanno le maggiori responsabilità. Bisogna dire BASTA! a questa vergogna, dovuta ai contrastanti interessi economici da parte delle maggiori potenze che hanno fatto scendere il silenzio. Il grido di dolore delle donne e dei bambini deve rimbombare nella mente di tutti..non c'è più tempo e personalmente sarò in prima linea, con tutte le mie forze affinchè si possa agire per il ripristino dei diritti negati. Autorizzo Italian Blogs for Darfur alla diffusione della mia posizione, senza strumentalizzazioni di sorta, ma per il solo scopo di dimostrare che "mettendoci la faccia" tutti possiamo contribuire a cambiare le cose".
Dichiarazione rilasciata a Giulia Fresca per Italian Blogs for Darfur

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venerdì, marzo 07, 2008

Nasce a New York "Friends of UNAMID": gli USA stanziano 100 milioni di dollari per l' UNAMID

Il Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-Moon ha esultato ieri per la nuova iniziativa degli Stati Uniti di stanziare 100 milioni di dollari per l'addestramento e l'equipaggiamento delle forze di pace stanziate in Darfur.
La decisione è stata presa al meeting tenutosi ieri 6 marzo a New York, tra Canada e USA, in occasione della costituzione del gruppo "Friends of UNAMID", il quale aspira a coordinare iniziative e fondi per il dispiegamento e l'avvio della missione ONU-UA in Darfur, che sarebbe dovuta partire già a gennaio. Ad oggi, solo 9000 peacekeepers sono stati schierati, contro i 26000 circa previsti, e mancano ancora elicotteri e mezzi di trsporto per l'effettivo loro impiego, che potrebbe salvare la vita a centinaia di persone ogni giorno e allontanare dai campi profughi lo spettro dello stupro. Sono molte le donne, infatti, che la sera si allontanano dai rifugi per raccogliere legna e viveri e che divengono vittime di violenza sessuale.

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Prima operazione delle forze di polizia UNAMID nel Nord Darfur

Alcune unità del nuovo reparto di polizia composto da forze congiunte dell'Unione Africana e delle Nazioni Unite hanno dati il via martedì alla loro prima "operazione" nel Nord Darfur.
Michael Fryer, il Commissario Capo delle forze di polizia dell'UNAMID ha dichiarato che la prima attività è stato il pattugliamento di alcune aree controllate dai ribelli della fazione dell'SLM comandata da Minni Minnawi, per prendere confidenza con il territorio e per avviare un rapporto di collaborazione con le forze di polizia locali e la popolazione. "Garantire la sicurezza dei civili del Darfur è la nostra priorità" ha detto M. Fryer.
Attualmente la polizia UNAMID è composta da 1600 agenti, di cui 252 donne, provenienti da 32 Paesi diversi, la maggior parte transitati dalle forze dell'Unione Africana.

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giovedì, marzo 06, 2008

Intervista a Souad Sbai: donne “senza velo”.

Una persona eccezionale che, nonostante le minacce di morte continua la sua battaglia nella difesa dei diritti di chi soffre, soprattutto le donne e senza dimenticare "i luoghi dimenticati" come il Darfur. Grazie Souad.

L’8 marzo compie 100 anni, ma la donna non ha ancora raggiunto la pienezza dei diritti che una società moderna dovrebbe porre alla base. Il problema non nasce da fattori religiosi o culturali ma dal principio del “rispetto della dignità” dell’essere umano. La celebrazione della “festa” della donna, si è dunque svuotata di significati e viene richiamata da associazioni ed istituzioni solo per rivendicare i protagonismi su iniziative che spesso poco hanno a che fare con l’universo femminile.
Souad Sbai, da 29 anni in Italia è la direttrice del mensile in lingua araba “Al Maghrebiya” ma anche presidente dell’Associazione della Comunità Marocchina delle Donne in Italia (ACMID-DONNA) e membro della Consulta islamica e da anni sta portando avanti, quasi in solitaria, la lotta per l’integrazione delle comunità musulmane. La sua grinta e la sua voglia di togliere il bavaglio del silenzio, sulle violenze inaudite che le donne musulmane sono costrette a subire da parte degli uomini, non nella loro terra d’origine, ma nel mondo occidentale, ha caratterizzato la lunga intervista che con grande onore ci ha concesso.
Dottoressa Sbai, ACMID-DONNA due mesi fa ha messo a disposizione il N°verde 800.911.753 con il logo “mai più sola!”. Cosa sta accadendo?
Purtroppo quello che non avremmo voluto scoprire, ovvero storie di donne disperate, che subiscono violenze inaudite dai loro mariti, fratelli o padri. In poco più di due mesi abbiamo ricevuto oltre 780 telefonate, non solo dalle donne ma anche dai pronto soccorsi dove esse si recano per le botte ed i traumi cui sono sottoposte. Le volontarie del numero verde rispondono in arabo, francese ed anche in alcuni dialetti e questo offre l’immediata assistenza a chi, disperata, telefona.
Qual è la casistica territoriale e perché ciò accade?
Le telefonate giungono principalmente dal Nord e prevalentemente da quelle donne che si trovano in Italia da cinque anni. Riescono ad avere la forza di denunciare, ma quando si accorgono che la giustizia non tutela la donna musulmana, al massimo accettano di trasferissi nei pochi centri di accoglienza, molte però iniziano a tacere. Rispondere al perché tutto ciò accada è semplicemente una drammatica conseguenza di ciò che si sta verificando nel mondo occidentale
Può essere più chiara?
C’è una avanzata del radicalismo estremista “voluto” da alcuni potentati economici che investono nella islamizzazione dell’occidente. Molte delle persone che giungono in Italia ed in Europa sono “state “ convertite per creare la rete dell’Islam radicale, che nulla a che vedere con le posizioni religiose e culturale dei popoli musulmani. Per farle un esempio, in Italia, gli islamici che frequentano la moschea sono circa il 5% del totale. Di questi, tuttavia, i frequentatori regolari e assidui sono a loro volta una piccola minoranza, pari forse allo 0,5% del totale. Ma la presenza spesso deve essere “avvertita” ed uno dei modi per farsi notare è agire sui principi che regolano la vita delle donne. Per questo motivo la “finta paura” dell’occidentalizzazione della donna musulmana diventa un motivo per imporle il velo o peggio l’accettazione della poligamia.
Non è dunque rispetto delle tradizioni?
Assolutamente no. In Marocco esiste il “codice della famiglia” che introduce nuovi diritti per le donne arabe. Oggi una donna maggiorenne può contrarre matrimonio senza l'autorizzazione del padre o di un maschio della famiglia, può scegliere il marito liberamente, non sarà obbligata a sposarsi se non lo vorrà, e potrà farlo solo dopo i 18 anni. Per quanto riguarda la poligamia, è diritto della sposa includere nel contratto matrimoniale una clausola che vieta al marito di avere altre mogli. E’ abolito il ripudio della donna da parte dello sposo, ed è stato sostituito da un più moderno divorzio, inoltre essa potrà separarsi dal marito se questi le usa violenza o la lascia, e a lei potrà spettare l’affidamento dei figli. La trasformazione che sta travolgendo il Marocco, tuttavia, non sembra giungere alle comunità marocchine presenti in Italia, per lo più fossilizzate su tradizioni e comportamenti che nelle città della madrepatria stanno scomparendo. Anche la violenza domestica, il ripudio unilaterale, il rifiuto del marito a concedere il divorzio alla moglie, anziché scomparire a poco a poco per effetto delle nuove leggi, in terra straniera sembrano radicalizzarsi. La Moudawana innovata pare non essere ancora giunta tra le famiglie magrebine di Torino, Milano, Roma, ecc.
Le sue dichiarazioni sono molto forti e le stanno creando problemi personali a causa di attacchi e minacce che le sono giunte. Ha paura?
Se le mie parole mi fanno apparire estremista ebbene allora si, sono un’estremista!.Ma non ho paura. La verità è che occorre svegliarsi e svegliare le coscienze. Bisogna partire dalla gente, e imporre alla politica una ferma presa di posizione.
Dicono che lei possa essere candidata al parlamento italiano, è vero?
Non sono una persona “comoda” per la politica perché non accetto le strumentalizzazioni, nonostante sia fermamente convinta che la “Politica”, possa dare molto. Perché ciò avvenga è necessario credere fortemente in essa. Io porto con me l’esempio di mio padre se si è battuto ed ha pagato con la sua stessa libertà per i suoi ideali politici, felicitandosi quando essi risultarono vincitori in Marocco. Ideali e non ideologie. Personalmente sono stata invitata, con convinzione, a dare il mio contributo in termini di presenza alle prossime elezioni. Sto ponderando la mia scelta in funzione della garanzia di mantenimento della mia indipendenza e soprattutto di sostegno alle istanze di cui sono portavoce.
Oltre alla tutela dei diritti negati quali problematiche ha più a cuore?
Sulla questione del multiculturalismo si sono scritte centinaia di pagine senza che però fosse stato colto il vero significato. Il multiculturalismo sano è quello colorato, costituito dalle pluralità delle popolazioni, ma esso è ben lontano dall’accezione comune che invece ritiene di dover attuare le regole tradizionalistiche dei popoli di appartenenza. Quante sono realmente le donne che liberamente difendono il velo? Nessuna. Ma tante invece chiedono di poterlo togliere, altre, soprattutto giovani chiedono di poter avere il permesso di soggiorno italiano per poter conseguire un diploma. Ragazze italiane, che parlano, vivono e vestono italiano, ma che non essendo cittadine italiane si vedono negare dei diritti fondamentali. Occorre dunque rivedere le leggi e soprattutto il concetto di integrazione.
Ed allora stiamo tornando indietro?
Si. Occorre fare un “J’accuse” ad alta voce. Occorre denunciare chi non fa nulla e chi fa male. Abbiamo avuto ministri donna in Italia che non hanno manifestato alcun pensiero ed altre che hanno inserito nell’osservatorio sulla violenza alle donne 4 uomini, quasi come mettere un pedofilo in una scuola. Nessuno parla e chi parla viene tacitato.
Si riferisce a qualcuno in particolare?
Tanti. Una donna per tutte Giuliana Sgrena che nel suo ultimo libro è stata censurata per avere raccontato la verità e la volontà delle donne islamiche di velarsi. Lei ha colto, da donna che conosce e che ha vissuto il male, come dietro il velo si celi l’aspetto più visibile del tentativo di “reislamizzare” in modo radicale, interi Paesi e gruppi sociali, anche con mezzi inediti. Racconta come in Somalia molte donne vengono pagate dai gruppi integralisti per andare in giro velate, o in Bosnia, dove, donne che per la stessa ragione, ricevono uno stipendio di 300 euro al mese, che spesso vuol dire la sopravvivenza di un’intera famiglia. Ma non solo silenzi sulle donne. Ci sono silenzi atroci su interi stati, il Darfur, per esempio del cui dramma nessuno parla.
In Italia esiste un movimento Italian Blog for Darfur che sta cercando di sensibilizzare i mezzi di comunicazione. Ma la televisione parla d’altro!
È lodevole l’iniziativa che Italian Blog for Darfur porta avanti ma non basta. Anche noi con Al Maghrebiya oltre a dedicare molto spazio ad Darfur, ma mai abbastanza, abbiamo fatto un appello per cercare di mandare degli aiuti tramite il sistema dei messaggini telefonici. Le iniziative di sensibilizzazione però devono essere recepite dalla politica. Sono gli Stati che devono prendere posizione. Sarebbe interessante capire cosa vorranno fare i rappresentanti degli schieramenti che si apprestano a chiedere il voto, per risolvere i problemi veri: le donne, gli immigrati, le guerre dimenticate.
Un messaggio che riporta ai diritti negati. E pensare che c’è chi crede che il giorno della donna sia solo quello della mimosa.
intervista rilasciata a Giulia Fresca per ItalianBlogs for Darfur ed "Il quotidiano della Calabria"

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mercoledì, marzo 05, 2008

Limiti e opportunità dell'intervento umanitario

Julie Anderson*, studente all'Università di Nottingham, al corso post-laurea in Social and Global Justice, è ambasciatore per la Gran Bretagna di STAND, Student Anti-Genocide Coalition.
Alle spalle, molto attivismo e amore per il suo lavoro: ha viaggiato più volte in Africa per lavorare con piccole comunità in diversi Stati, come nel 2006, nel sud del Kenya, dove ha dato il via a una organizzazione non governativa per aiutare i Masai sostenendo progetti di scolarizzazione in Maasailand.

La passione per l'Africa l'ha portato ad affrontare il dramma del Darfur e ha deciso di canalizzare le sue energie per dare il suo contributo affinchè si giunga al più presto alla fine del genocidio in Sudan.
Julie* ci propone due suoi rapporti: "Humanitarian Intervention in Darfur - Justifying the right to intervene by mapping principles of the Just War paradigm", nel quale ricerca i principi che giustificano la tesi secondo cui l'intervento umanitario in Sudan non debba tenere conto della sovranità nazionale di quest'ultimo in quanto si palesano gravi violazioni ai diritti umani; "Opportunities and constraints confronting the UN when attempting to prevent, manage or settle intrastate conflicts -A comparative analysis between the current atrocities in Darfur and the Rwandan genocide", che delinea possibilità e limiti della gestione e prevenzione dei conflitti interni ai due Paesi da parte delle organizzazioni facenti capo alle Nazioni Unite e, localmente, all'Unione Africana. Pur avendo determinato reazioni diverse in ambito internazionale, i due conflitti hanno determinato la morte di centinaia di migliaia di civili evidenziando mancanze ed errori della gestione internazionale delle crisi in oggetto.

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martedì, marzo 04, 2008

Partenza difficile per l' EUFOR, al confine con il Sudan

L'EUFOR schierato in Ciad ha perso il suo primo uomo, un francese, dato per disperso sotto le bombe dell'aviazione sudanese: alcune componenti delle forze speciali francesi, penetrate "per errore" in Sudan, sono state attaccate dall'esercito sudanese. Anche un secondo uomo è stato ferito sotto attacco e il suo veicolo è stato distrutto. Sono i primi incidenti dall'inizio dello schieramento della missione di pace europea in Ciad, lungo i confini conil Darfur.
Ma non sono di certo i primi segni dell'escalation di un conflitto che pare rigenerare ogni anno il male che lo ha partorito.
Tre settimane fa, a Suleia, la popolazione era riunita al centro del paese, nel giorno del mercato. I janjaweed sono arrivati a cavallo e sui cammelli, sparando tutti quelli che si trovavano a tiro e devastando ogni cosa. Sono stati preceduti dalle dell'aviazione militare e seguiti poi dai soldati regolari sudanesi. Un'offensiva così pesante, dicono gli osservatori internazionali e le ONG, coordinata tra milizie arabe, aviazione e forze regolari terrestri, non si vedeva da anni. Il tentativo del governo sudanese di riguadagnare il terreno perso per mano del ben armato Justice and Equality Movement (JEM) va avanti da settimane nel Darfur occidentale.
Ufficialmente si combatte contro i ribelli, in realtà i sopravvissuti parlano di attacchi indiscriminati a civili indifesi, compresi bambini, che sono scappati dalle scuole nel bel mezzo del mattino e non hanno fatto più ritorno a casa.

Foto: The Faces of War in Sudan

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Azioni & media

Italians for Darfur lancia la campagna Wanted for War Crimes
40 associazioni chiedono la consegna dei criminali di guerra Harun e Kushayb

A un anno dalla citazione in giudizio da parte della Corte penale internazionale di Ahmad Harunh e Ali Kushayb, oltre 40 associazioni, tra cui Italians for Darfur, in Europa, Nord America, Medio Oriente e Africa hanno lanciato la campagna Wanted For War Crimes, che richiama il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a esercitare pressioni per un immediato arresto dei due esponenti del governo sudanese, nonché ad attivare sanzioni mirate, come la confisca dei beni, a quanti a Khartoum continuino a offrire loro rifugio.
Nel 2005, la Commissione d’inchiesta dell’Onu in Darfur ha redatto una lista di 51 nomi di individui sospettati di crimini contro l’umanità. Questa include 10 funzionari di governo centrale di grado elevato, 17 funzionari di governo locali, 14 membri dei Janjaweed, 7 membri delle diverse fazioni ribelle e 3 soldati stranieri. Secondo il mandato di comparizione emesso dalla CPI, Ahmad Harun e Ali Kushayb devono rispondere di oltre 40 capi di accusa, tra cui: omicidi di massa, stupri, incendi di moschee e l’espulsione di più di 60,000 persone da quattro cittadine nel Darfur Occidentale.
James Smith, Direttore Generale della Aegis Trust, tra i membri fondatori della campagna Wanted for War Crimes (“Ricercati per crimini di guerra”), ha dichiarato: “Dopo aver orchestrato le terribili violenze del 2003 e 2004, Ahmad Harun è ora responsabile del ritardo nella consegna degli aiuti umanitari e dell’ostruzionismo nei confronti degli operatori di pace, contribuendo così alle morti al rallentatore alle quali stiamo assistendo oggigiorno in Darfur. C’è un’ironia grottesca nel fatto che proprio lui sia oggi incaricato di sfamare le vittime dei suoi stessi sospetti crimini”
“Il Governo sudanese, ad ogni suo livello, pullula di presunti criminali di guerra”, ha detto Frank Donaghue, Direttore Generale di Medici per i Diritti Umani, un altro membro fondante della nuova Campagna. “E’ fondamentale che le indagini della CPI seguano la catena gerarchica e arrivino quanto più in alto possibile”.
In un’intervista rilasciata il 25 febbraio scorso, Ahmad Harun, attualmente ministro per gli Affari Umanitari ha dichiarato che le morti in Darfur sono “errori”.
Harun definisce gli attacchi compiuti in Darfur dall’esercito sudanese e dai Janjaweed “la naturale posizione assunta dal governo per difendere e proteggere i propri cittadini”. Inoltre, Harun ha aggiunto che non c'è stata nessuna "operazione sistematica finalizzata a colpire civili. Tuttavia, errori individuali sono stati commessi… se l’esercito bombardava un villaggio per sbaglio… io stesso e il Ministro della Difesa li compensavamo per le loro perdite. E’ quanto è successo a Um Kuzwine, a Abu Duma e a Hbila”.
Harun ha poi negato l’incompatibilità tra il suo incarico attuale di assistenza alle vittime in Darfur e quello precedente di capo dell’“Ufficio per la Sicurezza del Darfur”, sostenendo che in entrambi i ruoli egli era “responsabile per la sicurezza dei civili”.
In Darfur, secondo l’Onu, non meno di 200,000 persone sono morte e più di 2.5 milioni di civili sono stati costretti ad abbandonare le proprie case (cifre non ufficiali fornite dalle organizzazioni non governative parlano di 400mila vittime e 2.8milioni di rifugiati).

Roma, 4 marzo 2008

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lunedì, marzo 03, 2008

Centinaia di migliaia di bambini del Darfur non vanno a scuola

Nairobi "La metà di tutti i bambini della regione del Darfur, circa 650.000, non riceve una formazione scolastica, malgrado gli sforzi delle varie organizzazioni per fornire l'istruzione negli accampamenti e nelle città in tutta la regione occidentale". Ciò è quanto dichiarato dalle ONG internazionale . "L'istruzione è la base per avere società economicamente sostenibili e più pacifiche. Ma la comunità internazionale è stata restia a costituire e finanziare la scuola in situazioni di conflitto", ha dichiarato Charles MacCormack, presidente di Save the Children - Stati Uniti il 27 febbraio, aggiungendo: "Questa è pura miopia". Solo in Darfur ci sono, ogni anno, 200.000 bambini in età scolare, di cui 22.440 sono stati assistiti da Save the Children in 42 scuole negli accampamenti e nelle città.
"Non possiamo permetterci di aspettare, per iniziare a programmare l'istruzione, che cessi la violenza, e le famiglie possano tornare a casa", ha detto MacCormack. "Che cosa sarebbe dei bambini, il cui tempo di imparare è questo?"
Invitando le nazioni donatrici a fornire più assistenza per l'istruzione nelle zone di conflitto, la ONG ha detto chiaramente che gli attuali livelli di sostegno non sono riusciti a soddisfare tutte le esigenze.Nel Darfur, Save the Children ha aperto nuove scuole per migliaia di bambini, molti dei quali non l'hanno potuta frequentare per anni. Da ottobre 2005 ha supervisionato il ripristino o la costruzione di 250 aule, 35 uffici e 231 latrine. Inoltre è essenziale che ci sia la distribuzione di materiali per l’apprendimento, soprattutto quaderni, matite, gomme, lavagne, gesso, scrivanie, sedie e altro materiale didattico di vitale importanza. Ed occorre anche sviluppare programmi di formazione per genitori, insegnanti e associazioni su una serie di argomenti, tra cui la scuola elementare di gestione e di leadership, la protezione dei bambini, delle scuole, la preparazione alle emergenze e il valore dell'istruzione.
L'istruzione è fondamentale per proteggere i bambini durante i conflitti e nella ricostruzione delle nazioni. Si tratta di una necessità vitale per alleviare la povertà e ridurre i rischi di conflitto perpetuo, aiutando a gettare le basi per la crescita personale, lo sviluppo economico e la stabilità politica.
Tuttavia, nel Darfur ed in altre zone di conflitto l'istruzione è spesso una delle prime vittime. Si chiudono le scuole e gli insegnanti fuggono o sono assunti nel contesto militare; e nelle zone più critiche, la scuola perde il finanziamento. Questo mette a rischio i bambini, rendendoli obiettivi più facili per il reclutamento come bambini-soldati o nello sfruttamento di manodopera a basso costo. Inoltre aumenta la loro vulnerabilità a traffici illegali e abusi

Fonte. Nota stampa Save the Children del 28.02.2008 Trad. Giulia Fresca per Ib4D

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sabato, marzo 01, 2008

Vergognoso silenzio dell'ONU su uccisioni di civili in Darfur

(New York, 27 febbraio 2008) "Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe intraprendere un'azione decisiva nei confronti del Sudan per i recenti attentati . Il Consiglio di Sicurezza dovrebbe denunciare con forza il governo sudanese sul recente bombardamento di civili e villaggi del Darfur occidentale ed imporre sanzioni mirate ai responsabili" lo ha scritto in una lettera Human Rights Watch.

L''Human Rights Watch ha avvertito che l'inazione del Consiglio ha dato al Sudan una luce verde per continuare ad attaccare obiettivi civili, violando il diritto internazionale e le risoluzioni dello stesso Consiglio.

"Gli attentati recenti del governo sudanese ci riportano ai giorni più bui del conflitto", ha detto Georgette Gagnon, direttore di Africa, Human Rights Watch,. "Il Consiglio di Sicurezza non dovrebbe fare alcuna pausa come se si trattasse di una questione di consueta ordinarietà".

Dal 8 febbraio 2008, le truppe del governo sudanese e le milizie "Janjaweed" appoggiato da elicotteri gunships e bombardieri Antonov hanno effettuato una serie di attacchi uccidendo centinaia di civili. Decine di migliaia di persone sono state sfollate dai bombardamenti continui, che stanno anche impedendo all'assistenza umanitaria di raggiungere alcune delle zone più colpite per la prevenzione salva-vita.
Gli attacchi sono solo l'ultima manifestazione della negligenza e disprezzo del Sudan per le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e ai suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale, nessuna delle quali ha provocato una forte reazione da parte del Consiglio di Sicurezza. Questi includono per il Sudan, la ripetuta violazione di embargo sulle armi delle Nazioni Unite, la mancata attuazione di sanzioni delle Nazioni Unite, e l'ostruzione del mantenimento della pace "Questi orribili attacchi sui civili mostra la consapevolezza del Khartoum che non ci saranno conseguenze reali per le sue azioni", ha detto Gagnon. "E 'il momento per il Consiglio di Sicurezza a dimostrare che hanno torto."

Human Rights Watch ha invitato il Consiglio di Sicurezza a rilasciare una dichiarazione della presidenza di condanna del Sudan alle violazioni del diritto internazionale umanitario in West Darfur, la nomina del capo Musa Hilal di Janjaweed a 'consigliere presidenziale,' e il suo rifiuto di collaborare con la Corte criminale internazionale . Il Consiglio dovrebbe anche inviare un gruppo di esperti delle Nazioni Unite per indagare immediatamente gli attacchi in West Darfur, e dovrebbe imporre sanzioni mirate sui responsabili.

(Trad. Giulia Fresca da http://hrw.org/ e da http://english.aljazeera.net/ )

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Il Darfur uno stile di vita? Forse non più.

Non sono lontani i tempi in cui le Iene diffondevano uno sconfortante servizio che metteva a nudo l'ignoranza di una parte dei parlamentari italiani sul Darfur.
A ridosso della nuova tornata elettorale, ad aprile, il nuovo Partito della Libertà (PDl) pare voler metter al centro dei temi di portata internazionale proprio la martoriata regione sudanese.
E' così possibile leggere un dossier sul Darfur nella sezione "Osservatorio" del nuovo sito del PDl nel mondo.
Nella speranza che anche le altre forze politiche in corsa pongano il conflitto in Darfur al centro della loro politica estera, ci auguriamo che lo spazio on-line si traduca in altrettanto impegno nelle opportune sedi istituzionali.
Sono i politici, infatti, in quanto nostri rappresentanti, che governano e decidono leggi e misure da intraprendere anche per risolvere problematiche internazionali. E' nostro intento continuare a fare pressione sulle istituzioni e sulle rappresentanze politiche che si ispirano a principi democratici, oltre che sui media, perchè ciò avvenga anche per il Darfur.

Si rigrazia Mango di Treviso (ib4d) per la segnalazione.

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